Nel 2003 l’ex presidente cinese Hu Jintao fu il primo a parlare e dare definizione al cosiddetto Malacca Dilemma, quello che, da allora, Pechino considera come la sua più grande criticità strategica[1]. Il Dilemma consta nella forte dipendenza cinese dell’attraversamento degli Stretti di Malacca e Singapore per i suoi traffici marittimi. Questi stretti sono infatti la raffigurazione più emblematica dei tre elementi distintivi di un “chokepoint” – strozzatura – come definiti da Lewis:
- Deve trattarsi di uno spazio ristretto, il cui accesso possa essere chiuso sia alla navigazione militare che a quella commerciale;
- Non deve essere prontamente presente una rotta marittima alternativa e rapidamente istituibile;
- La strozzatura deve essere ritenuta – economicamente e strategicamente – rilevante da un numero considerevole di attori[2].
Gli stretti di Malacca e Singapore, in effetti, rispettano largamente questi principi e sono probabilmente uno dei chokepoint più noti al mondo insieme a Suez, Bab el-Mandeb e Panama. Si tratta del principale collegamento tra l’Oceano Indiano e il Mar Cinese Meridionale, è la più breve rotta marittima che colleghi il Golfo Persico all’Oceano Pacifico e si estende per 600 miglia tra la penisola Malese e l’isola indonesiana di Sumatra. Il traffico marittimo è cresciuto enormemente negli ultimi anni; i vascelli che hanno attraversato lo stretto nel 2018 sono stati 85202, un aumento del 52% rispetto ai dati del 2000[3], tra questi le superpetroliere sono più che raddoppiate[4]. Pechino è proprio uno degli attori più presenti a livello commerciale in quest’area, dal momento che i 2/3 del suo traffico commerciale e l’80% delle sue importazioni di petrolio passano attraverso questo chokepoint.
Lo stretto di Malacca è divenuto, dunque, cruciale per la politica economica cinese e uno degli snodi più importanti della via marittima della Belt and Road Initiative. Tale dipendenza rappresenta per Pechino un grave rischio strategico: qualsiasi chiusura, blocco o interferenza nello Stretto, per cause politiche, accidentali o ambientali, metterebbe in seria difficoltà il commercio cinese e la sua proiezione marittima.
Ad aggravare la situazione per la Cina, vi è il fatto che le nazioni costiere che controllano lo Stretto – Indonesia, Malesia e Singapore – pur mantenendo ufficialmente una posizione neutrale[5], conducono una politica ambigua e restano diffidenti nei confronti di Pechino per via dello scontro sulla territorialità del Mar Cinese Meridionale. In uno scenario di crescente tensione con gli Stati Uniti, lo Stretto di Malacca rappresenta quindi un potenziale tallone d’Achille della strategia economica e commerciale cinese.
UN MALACCA BLUFF? L’INTERPRETAZIONE INDIANA
Non tutti, tuttavia, condividono la visione dell’estrema vulnerabilità cinese. Secondo l’analisi del Luogotenente Choudhary della Indian Air Force, il Malacca Dilemma sarebbe in realtà un artificio narrativo della diplomazia cinese: un’esagerazione strategica volta a mascherare la reale efficienza del sistema logistico di Pechino[6]. In questa prospettiva, la Cina disporrebbe di diverse rotte marittime alternative all’interno dell’arcipelago indonesiano, come gli stretti di Sunda, Lombok, Ombai e Wetar,; rotte alternative che garantirebbero comunque l’accesso all’Oceano Indiano in caso di crisi[7].
Tuttavia, tale visione risulta problematica per più ragioni. Questi stretti, infatti, sono molto più angusti e spesso attraversano acque aperte e turbolente, meno sicure rispetto al transito ben organizzato dello stretto di Malacca. Inoltre, non sarebbero in grado di assorbire l’enorme traffico marittimo che ne deriverebbe. Si tratta di stretti che, effettivamente, sono estremamente funzionali per manovre diversive militari o, come nel caso degli stretti di Ombai e Wetar, utili all’attraversamento in immersione da parte dei boomer[8] – sottomarini lanciamissili balistici – ma non garantiscono un’effettiva alternativa all’immenso traffico commerciale di Malacca.
L’interpretazione proposta dall’India appare quindi largamente influenzata dalla percezione di una sovrastimata potenza cinese, in grado di arginare qualsiasi problema con facilità, una percezione che rischia di condurre tale visione verso una sopravvalutazione delle alternative.
LA VIA DI TERRA CHE SALVA IL MARE…

Una soluzione più concreta al Malacca Dilemma si trova invece a percorrere vie alterative sul territorio continentale. La Cina ha infatti da tempo avviato una strategia di diversificazione logistica che poggia su fondamentali infrastrutture terrestri: il Corridoio economico Cina-Pakistan e quelloSino-Birmano. Mentre da un lato, il ben più noto e strutturato corridoio sino-pakistano è in fasi avanzate di completamento, il secondo, meno conosciuto ma non meno fondamentale, collega la città cinese di Kunming al porto di Kyaukpyu, in Myanmar[9]. Proprio in quest’ultimo insediamento prosegue da diversi anni il progetto di costruzione di un deepwater port, ovvero un porto ad alto pescaggio per permettere l’attracco delle superpetroliere. Questa direttrice, inserita all’interno della Belt and Road Initiative, consente alla Cina di accedere direttamente all’Oceano Indiano senza transitare per le acque di paesi potenzialmente ostili e evitando la necessità di attraversare vasti territori continentali, come avviene nella rotta sino-pakistana verso Gwadar.
La costruzione di autostrade, oleodotti e gasdotti attraverso il Myanmar rappresenta quindi una delle principali risposte strategiche al rischio di interruzione delle rotte marittime nel Sud-est asiatico. Non a caso, la Cina sostiene da decenni la giunta militare birmana, finanziando infrastrutture e accordi portuali. A partire dal 1988, Pechino, seguendo il modello del s, si stima che abbia concesso a Rangoon mediamente 800 milioni di dollari l’anno, una cifra progressivamente aumentata che oggi impone alla Birmania pesanti obblighi di debito che si attuano sotto forma di concessioni territoriali, sfruttamento idroelettrico e infrastrutture logistiche. Un chiaro esempio di ciò è lo sfruttamento delle dighe idroelettriche sull’Irrawaddy che, ad oggi, alimentano energeticamente i centri di produzione proprio di Kunming.
… E SE LA TERRA TREMA?
Tuttavia, anche questa strategia non è esente da rischi. Il colpo di Stato del 2021 ha minato la già fragile stabilità politica del Myanmar, generando una nuova fase di conflitti interni, soprattutto nello Stato Rakhine, dove si concentrano tensioni tra la giunta, i ribelli arakanesi e la minoranza Rohingya. Ad inizio marzo 2025 le forze ribelli dell’Arakan Army hanno ingaggiato una violenta battaglia nel sito in costruzione del porto di Kyaupkyu[10] contro i militari della giunta birmana e il personale militare cinese.
Nonostante queste difficoltà, la Cina continua a investire nella regione, perseguendo l’intenzione di sfruttare l’importanza geostrategica della Birmania[11]. Pur se instabile, il Myanmar resta un partner necessario per Pechino, trattandosi della soluzione più breve e semplice in grado di garantire l’aggiramento terrestre del controllo degli stretti.
CONCLUSIONI
In un contesto di crescente rivalità tra potenze nell’Indo-Pacifico, il Malacca Dilemma rimane un punto nevralgico della geopolitica cinese. Sebbene le alternative marittime risultino inefficaci, la rotta terrestre attraverso il Myanmar offre un corridoio strategico potenzialmente decisivo che, se in futuro dovesse essere adeguatamente securizzato, potrebbe addirittura risultare come più conveniente dell’alternativa marittima. Eppure, anche questa soluzione poggia su basi fragili: instabilità politica, conflitti etnici, dipendenza da una giunta militare screditata a livello internazionale.
Il porto di Kyaukpyu, una volta completato, rappresenterà uno snodo cruciale della strategia cinese nell’Oceano Indiano, ma anche un punto di frizione tra le grandi potenze regionali. In definitiva, i corridoi della via della seta rappresentano una soluzione rischiosa ma concreta e necessaria per l’aggiramento di Malacca.
[1] Forum Staff. ‘Malacca Dilemma’ a major security challenge for PRC. Indo-Pacific Defense Forum, 27 Ottobre 2023
[2] L. M. Alexander. The Role of Choke Points in the Ocean Context. GeoJournal, vol. 26, no. 4, Aprile
1992, pp. 503.
[3] Marine Electronic Highway, https://mehsoms.net/maritime-safety/straitrep-statistics/ships-passing-through/
[4] M. Hand. EXCLUSIVE: Malacca Straits VLCC traffic doubles in a decade as shipping traffic hits all time high in 2017. Seatrade Maritime News. 19 febbraio 2018
[5] Roach, J. Ashley. “ENHANCING MARITIME SECURITY IN THE STRAITS OF MALACCA AND
SINGAPORE.” Journal of International Affairs, vol. 59, no. 1, 2005, pp. 97–116.
[6] Choudhary, Mohit. “China’s Malacca Bluff – Examining China’s Indian Ocean Strategy and Future Security Architecture of the Region”. Journal Of Indo-Pacific Affairs, Gennaio-Febbraio 2023, Pp. 99-108.
[7] Ibidem.
[8] D. Borges. A maritime strategy for Timor-Leste. Royal Australian Navy, Sea Power Saundings, issue
20, 2021.
[9] Linter, Bertil. Myanmar a perfect fit on China’s Belt and Road, Asia Times, 27 Gennaio 2020
[10] Redazione DVB, ကျောက်ဖြူရေနက်ဆိပ်ကမ်း တိုက်ပွဲကြောင့် ဒေသခံ ၄၀၀၀ ခန့် နေရပ်စွန့်ခွာထွက်ပြေးရ (Kyaukphyu Deep Sea Port Battle Displaces 4,000 Locals), 6 marzo 2025
[11] Reed, John. China and Myanmar sign off on Belt and Road projects, Financial Times, 18 gennaio 2020

Laureato con Lode in Relazioni Internazionali all’Università degli studi di Milano con tesi intitolata “SAGAR – La Proiezione Marittima dell’India di Narendra Modi”. Ha maturato esperienze in vari settori, collaborando con la Marina Militare Italiana in qualità di Political Advisor e partecipando al Business Forum Italo Libico a Tripoli. Si è occupato più volte di eventi informativi su temi politici e sociali. Si definisce un navalista, appassionato di storia del sud est asiatico.