IL PROGETTO HESTIA TECHNOLOGIES
Introduzione
Sabotatori e black bloc a terra, pirati e avversari geopolitici in mare: ogni componente, ogni connessione, ogni anello della supply chain è ora potenzialmente a rischio. I droni stanno rendendo tutto ciò più facile, e proteggere ciò che conta di più è diventato molto complicato. Questa realtà allarmante evidenzia il contesto contemporaneo in cui tecnologia e conflitto si intersecano. La disponibilità di droni a basso costo ha inaugurato quella che potremmo definire “economia della guerra senza morti”: una formula di conflitto in cui l’investimento economico in nuove armi tende a sostituire (o ridurre) il costo umano diretto, e dove gli attacchi mirano sempre più a obiettivi strategici economici anziché alla mera eliminazione del nemico sul campo.
Questo elaborato è il risultato di un progetto nel quale mi sono imbattuto qualche mese fa e che mi ha costretto a cambiare prospettiva su un tema, talmente attuale, che credevo di conoscere. Hestia Technologies è una startup nata tra le aule dell’Università Cattolica e fondata da un gruppo di studenti. Non è una grande impresa militare, né un colosso industriale, ma proprio per questo rappresenta una chiave di lettura alternativa su come oggi si possa fare sicurezza – e guerra – in modo alternativo. La loro intuizione è semplice ma potente: nel mondo contemporaneo non vince chi più spende, ma chi spende meglio. Non chi ha il drone più avanzato, ma chi riesce a costruirne di economici, adattivi e difficili da fermare.
Ed è partendo da questa riflessione che prende forma l’analisi che segue. Troppo spesso quando si parla di droni, il dibattito si concentra esclusivamente sul progresso tecnologico, sull’hardware più sofisticato, sul velivolo più veloce o letale. Si celebra il drone come simbolo dell’avanzamento militare, una sorta di incarnazione della “guerra del futuro” al servizio delle grandi potenze. Eppure, la realtà che sta emergendo sui campi di battaglia – da Kiev al Mar Rosso, passando per il Caucaso – racconta un’altra storia: quella di una guerra sempre più “low-cost”, in cui è l’agilità economica a fare la differenza. Una guerra in cui poche centinaia di euro possono mettere fuori uso mezzi da milioni, spostando equilibri strategici in favore di attori prima considerati marginali.
L’obiettivo di questo lavoro è dunque quello di indagare una dimensione spesso trascurata: la rivoluzione geoeconomica innescata dalla diffusione di droni a basso costo. Dalla riduzione del costo umano diretto all’erosione dei vantaggi tecnologici delle superpotenze, dalle vulnerabilità infrastrutturali alle nuove dinamiche industriali, il drone low-cost è oggi molto più di una semplice arma: è uno strumento che sta riscrivendo le regole del potere. Analizzando casi concreti, dati economici, modelli industriali e soluzioni emergenti, la seguente analisi cerca di fornire una lettura complessiva e critica di un fenomeno destinato a ridefinire il significato stesso di guerra nel XXI secolo.
Droni e guerra moderna: come la tecnologia sta riscrivendo geopolitica e strategie militari
I droni militari UAV (Unmanned Aerial Vehicles) hanno fatto la loro comparsa già da diversi decenni, ma è nel XXI secolo che si sono affermati come strumenti chiave della guerra moderna. Inizialmente appannaggio di poche potenze (Stati Uniti e Israele su tutte, che li hanno impiegati per sorveglianza e strike mirati fin dai primi anni 2000), la tecnologia dei droni armati si è progressivamente diffusa.[1] Oggi un numero crescente di paesi – e perfino attori non statali – può accedere a droni di varie dimensioni e capacità, grazie alla diminuzione dei costi e alla disponibilità commerciale di componenti avanzati. L’evoluzione va dai grandi droni MALE (Medium Altitude Long Endurance) come i Predator e Reaper americani, fino ai piccoli quadricotteri civili modificati per sganciare ordigni.[2] Questa tendenza ha “democratizzato” alcune forme di potenza aerea, riducendo il divario tecnologico tra eserciti moderni e forze irregolari.
Un indicatore della diffusione globale è il ruolo crescente di nuovi fornitori sul mercato dei droni armati. La Cina, ad esempio, è emersa nell’ultimo decennio come il principale esportatore mondiale di UAV da combattimento: secondo i dati SPIRI, Pechino ha consegnato 282 droni armati a 17 paesi, distanziando di gran lunga gli Stati Uniti che nello stesso periodo ne hanno forniti soltanto 12 (solo a stretti alleati come Francia e Regno Unito).[3] Questa proliferazione è facilitata dal minor costo e dalla filosofia “good enough” dei sistemi cinesi, che incontrano la domanda di molti stati in via di sviluppo. Parallelamente, potenze regionali come la Turchia si sono affermate come attori di primo piano: il celebre drone turco Bayraktar TB2, relativamente economico e performante, è stato esportato in diversi scenari di conflitto, contribuendo in modo significativo a ridefinire gli esiti sul campo.[4]
Di conseguenza, l’impiego dei droni non è più limitato a teatri remoti sorvegliati dalle superpotenze, ma è diventato una costante dei conflitti contemporanei. L’elemento rivoluzionario sta nell’aver reso accessibile uno strumento aereo di sorveglianza e offesa a costi molto più bassi rispetto all’aviazione tradizionale pilotata. Ciò ha profonde implicazioni geopolitiche: piccoli Stati o milizie non statali possono ora disporre di un potere di proiezione e attacco prima impensabile, mentre le grandi potenze si trovano a dover difendere le proprie infrastrutture da minacce “usa e getta” difficili da individuare e neutralizzare. In questa prospettiva, l’uso spregiudicato di droni conferisce vantaggi asimmetrici, alterando i tradizionali rapporti di forza e costringendo strateghi e decisori a rivedere dottrine e investimenti.
Alcuni teatri di conflitto recenti illustrano in modo emblematico l’impatto dei droni sul mutamento strategico e geopolitico. In Ucraina, dall’invasione russa del 2022, i droni sono divenuti protagonisti assoluti sul campo di battaglia.[5] Entrambi gli schieramenti – l’esercito ucraino da un lato e quello russo (che si avvale massicciamente di UAV iraniani Shahed-136)[6] dall’altro – utilizzano flotte di droni per una varietà di compiti: ricognizione aerea, puntamento dell’artiglieria, bombardamento di precisione e perfino missioni kamikaze. Il conflitto ha visto un incremento nell’uso su larga scala di piccoli droni tattici e lo sviluppo di tattiche innovative. A inizio guerra l’impiego ucraino era sporadico, ma col tempo Kiev ha integrato sistematicamente i droni nella propria struttura di forza, istituendo unità dedicate in quasi ogni brigata combattente. Oggi sul fronte si registra una saturazione dei cieli: i soldati temono costantemente il ronzio dei motori sopra le trincee, consapevoli che potrebbe segnalarne l’individuazione o anticipare l’arrivo letale di ordigni sganciati dall’alto. I carri armati e blindati sono stati costretti a disperdersi e arretrare di chilometri dalle linee di contatto per sfuggire all’occhio dei droni e alle loro bombe. Quotidianamente vengono diffusi video di droni dal costo anche di soli 400 euro colpire efficacemente obiettivi di grande valore – come obici o carri armati che valgono milioni – a riprova di un ruolo davvero trasformativo di questi sistemi nella guerra moderna.[7] In un conflitto prolungato e ad alta intensità, il fattore costo diventa cruciale: distruggere un pezzo nemico spendendo poche centinaia di euro è molto più vantaggioso che impiegare missili, proiettili d’artiglieria costosi o mettere a rischio mezzi e piloti.
Emblematico è il caso dei droni FPV ucraini – derivati da droni “racer” civili – usati come kamikaze: dotati di una piccola carica ma estremamente precisi sul bersaglio, sono talmente economici da costare meno di un singolo corpo d’artiglieria.[8] Dal canto suo, la Russia ha risposto facendo largo uso dei droni Shaded-136, relativamente primitivi ma molto economici, lanciati a sciami contro città e infrastrutture ucraine: anche qui si manifesta l’aspetto geoeconomico, poiché ogni Shaded può obbligare la difesa aerea ucraina a consumare missili antiaerei dal valore di centinaia di migliaia se non milioni di euro ciascuno. Questa asimmetria del costo logora le risorse del difensore – un fenomeno già osservato durante i primi attacchi nell’autunno del 2022, quando si scoprì che questi droni costavano meno dei missili antiaerei utilizzati per abbatterli. In sintesi, il teatro ucraino mostra come i droni low-cost abbiano ridefinito la strategia: essi colmano in parte la disparità di forze convenzionali, fungono da moltiplicatore per eserciti con meno aerei o artiglierie, e trasformano il conflitto in un logoramento tecnologico ed economico.
Nel cuore del Caucaso meridionale, nell’autunno del 2020, si è consumato un conflitto destinato a cambiare radicalmente la percezione della guerra moderna. In appena 44 giorni, Azerbaijan ha riconquistato ampie porzioni del Nagorno-Karabakh, travolgendo le forze armene in quella che è passata alla storia come la “seconda guerra del Karabakh”.[9] Ma a fare la differenza non sono stati i numeri o la strategia classica: sono stati i droni. L’Azerbaijan, forte di massicci investimenti in tecnologia militare – in particolare nei droni armati Bayraktar TB2 turchi e nelle munizioni circuitanti Harop di fabbricazione israeliana[10] – ha saputo sfruttare con sapienza questa nuova arma, distruggendo in serie sistemi antiaerei, postazioni fisse e carri armati.[11] Le truppe armene, colte di sorpresa e prive di difesa adeguate contro minacce aeree pervasive e silenziose, sono state rapidamente sopraffatte. Gli analisti militari non hanno avuto dubbi: la vittoria azera è stata, in larga misura, una vittoria dei droni. È stato il primo conflitto fra due eserciti regolari in cui i velivoli senza pilota hanno dominato il campo di battaglia, inaugurando un nuovo paradigma bellico in tempo reale.[12] Le immagini – pubblicate con orgoglio dai media azeri – mostravano colonne di blindati armeni colpiti dall’alto con precisione chirurgica: montate quasi come uno spot promozionale, hanno fatto il giro del mondo.[13] Il messaggio era chiaro, la guerra non è più una questione solo di fanteria e artiglieria, ma di superiorità tecnologica asimmetrica. Non a caso, osservatori internazionali (Russia compresa) hanno tratto da quel conflitto un monito: servono contromisure immediate, o il ritardo in questo settore rischia di essere fatale.
Ma il Karabakh è stato solo il preludio. Nel conflitto yemenita, l’uso dei droni ha segnato una vera e propria cesura, ribaltando i ruoli classici tra Stati e attori non statali. Da una parte, la coalizione saudita, armata con droni cinesi CH-4, ha condotto un’intensa campagna aerea contro i ribelli Houthi.[14] Dall’altra, gli stessi Houthi – privo di aviazione convenzionale – hanno adottato una strategia asimmetrica basata su droni e missili a basso costo, molti dei quali progettati o forniti dall’Iran.[15] Il momento spartiacque? Il 14 settembre 2019, quando uno sciame di droni e missili da crociera a bassa quota ha colpito in simultanea due impianti petroliferi sauditi: Abqaiq e Khurais. In appena 17 minuti, quasi la metà della produzione petrolifera saudita – circa il 5% dell’intera offerta mondiale – è stata messa temporaneamente fuori uso.[16] Nessuna vittima, ma un danno economico colossale. Rivendicato dagli Houthi ma attribuito da fonti saudite e statunitensi all’Iran, l’attacco ha mostrato la vulnerabilità strutturale anche delle potenze meglio armate. Nonostante miliardi di euro investiti in difesa aerea, la monarchia saudita è stata colpita nel cuore della sua infrastruttura energetica da armi economiche , agili e difficilmente intercettabili. È stato un esempio perfetto di “guerra senza morti”: nessun bombardamento convenzionale, nessuna carneficina, ma un attacco chirurgico all’economia del nemico. E proprio l’assenza di vittime ha probabilmente evitato un’escalation militare diretta con Teheran. Questa strategia si è poi replicata. Nel 2022, gli Houthi hanno colpito infrastrutture petrolifera negli Emirati Arabi Uniti,[17] e nel 2023 hanno spostato il baricentro delle operazioni nel Mar Rosso, prendendo di mira petroliere e navi mercantili. Il messaggio è rimasto lo stesso: le infrastrutture energetiche, non le truppe, sono il bersaglio.[18]
In Ucraina, Nagorno-Karabakh e Yemen, i contesti sono radicalmente diversi, anche se emergono due tendenze divergenti. Primo: l’uso dei droni riduce sensibilmente il rischio di perdite umane per chi attacca. Un drone può colpire a migliaia di chilometri di distanza senza esporre i piloti o soldati, con vantaggi politici evidenti: nessun caduto da restituire a casa. Secondo: l’impatto strategico si misura sempre più in termini economici. Con costi minimi, un drone può distruggere asset miliardari – da tank a impianti petroliferi – generando un effetto leva enorme per chi lo impiega. In definitiva, i droni stanno ridisegnando le geometrie del conflitto. La “guerra asimmetrica geoeconomica” diventa realtà: non vince più chi ha l’esercito più grande, ma chi sa colpire meglio le vulnerabilità dell’altro con strumenti agili, tecnologici e poco costosi. Per Stati e milizie, è il segnale che la sicurezza – e la guerra – vanno ripensate da cima a fondo.
La nuova economia della Guerra: droni low-cost e la sfida asimmetrica di Hestia Technologies
Una volta, dominare il campo di battaglia significava poter schierare caccia stealth, carri armati di ultima generazione e batterie di missili intercettori ad altissima tecnologia. Oggi, bastano poche centinaia di euro e un operatore con un joystick. In uno scenario in cui la superiorità militare non è più appannaggio esclusivo delle superpotenze, anche attori minori possono dotarsi di capacità offensive e di sorveglianza che fino a pochi anni fa sembravano fantascienza. Il cuore di questa trasformazione sta nell’accessibilità: mentre un missile da crociera o un jet da combattimento richiedono investimenti multimilionari e infrastrutture industriali avanzate, un piccolo UAV artigianale può essere assemblato con componenti commerciali reperibili online – motori elettrici, batterie al litio, GPS, telecamere – e impiegato sul campo con costi ridottissimi. Anche la produzione è scalabile: non servono anni, stabilimenti ipertecnologici o catene di fornitura globali, ai quali si aggiunge il fattore umano. Addestrare un operatore di droni richiede giorni o settimane, contro gli anni necessari per formare un pilota militare.
Questa evoluzione obbliga l’industria della difesa a un ripensamento profondo. Di fatto, i grandi contractor occidentali, abituati a commesse miliardarie per sistemi d’arma “premium”, si trovano a fronteggiare una crescente domanda di tecnologie semplici, economiche e modulabili. Alcune di queste aziende stanno già riconvertendo linee produttive o sviluppando sistemi anti-drone: dai jammer elettronici ai droni intercettori, fino ai laser a corto raggio. Si affiancano anche start-up specializzate in nuove generazioni di UAV, aprendo una vera corsa all’innovazione a basso costo. Nel frattempo, Turchia e Cina si sono imposte come leader nell’esportazione di droni armati, colmando il vuoto lasciato dalle restrizioni statunitensi all’export (legate in parte al Missile Technology Control Regime).[19] I loro prodotti, meno costosi e svincolati da condizioni politiche, si sono diffusi in Medio Oriente, Africa e Asia, dove Paesi privi di aviazioni tradizionali cercano strumenti “good enough” per guadagnare un vantaggio sul campo. La Cina, in particolare, ha investito massicciamente nella produzione su larga scala di droni, con un duplice obiettivo: rafforzare il proprio esercito e alimentare l’export come leva di influenza geopolitica.
Ma c’è anche un altro lato della medaglia: l’impatto sui bilanci della difesa. Da un lato, i droni possono ridurre i costi operativi. Un quadricottero da poche migliaia di euro può svolgere missioni di ricognizione che altrimenti richiederebbero l’uso (e l’usura) di un elicottero da milioni. Dall’altro, la minaccia crescente di attacchi asimmetrici impone nuovi investimenti anche ai Paesi non direttamente coinvolti in conflitti. In Europa, ad esempio, si stanno moltiplicando i fondi per proteggere aeroporti, centrali, oleodotti e infrastrutture critiche da eventuali incursioni di droni sconosciuti. Il risultato è un’economia di guerra completamente nuova: da una parte, armi a basso costo e alta efficienza; dall’altra, contromisure complesse e onerose. Un equilibrio simile alla logica dei missili e delle difese durante la Guerra Fredda, ma su scala ridotta e con attori molto più numerosi. In questo nuovo campo di battaglia, non vince chi spende di più, ma chi sa colpire prima, in modo più intelligente e con il miglior rapporto costo/efficacia. È la guerra del XXI secolo: silenziosa, economica, e sempre più geoeconomica.
Per concretizzare questa realtà, è illuminante esaminare un caso studio che illustra come si possa rispondere alla minaccia dei droni low-cost con soluzioni altrettanto economiche e innovative. Hestia Technologies è il nome di un progetto tecno-imprenditoriale che propone un sistema integrato di protezione anti-drone dai costi relativamente contenuti ma dall’elevata efficacia (Hestia Centinel), pensato sia per applicazioni militari che civili. Nato dall’intuizione di un gruppo di giovani innovatori, Hestia incarna la rivoluzione geoeconomica nella sicurezza: invece di affidarsi a costosi sistemi d’arma tradizionali (come batterie antimissile o laser ad alta potenza che possono costare decine di milioni di euro l’uno), Hestia propone una rete distribuita di sensori e droni intercettori a basso costo, coordinati da intelligenza artificiale.
Il cuore del sistema è Metis, un’architettura di intelligenza artificiale ispirata all’attenzione visiva umana, capace di individuare in tempo reale oggetti volanti sospetti grazie a reti neurali ottimizzate per l’elaborazione rapida di immagini multispettrali. Tuttavia, la vera svolta arriva con Hephaestus, un drone intercettore che può raggiungere velocità superiori a 500km/h e operare in ambienti saturi di interferenze tramite la guida a fibra ottica (sistema brevettando SAMPEI): una soluzione che rende l’intercettore immune al jamming e istantaneamente reattivo, senza le latenze e vulnerabilità tipiche delle trasmissioni radio. Questo approccio, che rovescia l’asimmetria del costo/efficacia solitamente a vantaggio dell’attaccante, consente di difendersi con armi altrettanto economiche e replicabili. Non un singolo cannone laser da milioni di euro, ma una rete distribuita e intelligente di sensori e micro-droni low-cost, capaci di agire in sinergia e adattarsi a minacce in continua evoluzione.
L’equazione diventa chiara: se il nemico lancia 100 droni da 1000 euro, un sistema Hestia sarebbe in grado di rispondere con 100 intercettori da pari costo, ma mossi da un’intelligenza collettiva che li trasforma in un sistema di difesa adattivo, scalabile e pronto all’uso. Hestia mostra i numeri di questa scommessa. Le prospettive dimostrano che, con un budget di 1,7 milioni di euro tra il 2026 e il 2027 sarebbe auspicabile costruire prototipi operativi in vista del primo lancio industriale. I costi sono minimi rispetto alle cifre che girano nell’industria della difesa, ma l’ambizione è sicuramente alta: entrare nel mercato della protezione delle infrastrutture critiche – porti, oleodotti, centrali elettriche, hub di trasporto – con un’offerta tanto efficace quanto economicamente sostenibile.
L’aspetto più intrigante è forse la naturale inclinazione al dual use. La tecnologia sviluppata per fermare sciami di droni ostili può infatti servire per missioni civile ad alta criticità: droni guidati da fibra ottica come Hephaestus potrebbero rivoluzionare il search&rescue, trasportare rapidamente farmaci o defibrillatori in zone impervie, o monitorare disastri ambientali con una precisione e reattività oggi impensabili. Di fatto, il sistema SAMPEI, pensato per resistere alle accelerazioni più violente e mantenere stabile la connessione in fibra, apre uno spazio tecnologico anche nel settore sanitario, logistico e ambientale. Tutto questo si inserisce in un contesto globale segnato da crescente instabilità.
Hestia stessa elenca le vulnerabilità dei principali snodi del commercio mondiale: lo stretto di Hormuz, il Mar Rosso, il Canale di Suez. Le recenti crisi nel Mar Rosso hanno portato a deviazioni del traffico marittimo per oltre l’80% delle rotte Asia-Europa, con un aumento dei costi logistici del 141% rispetto ai livelli precrisi.[20] Le assicurazioni per il passaggio nello Stretto di Hormuz sono raddoppiate in pochi mesi e, in parallelo, anche l’Europa scopre la propria fragilità: droni che sorvolano centrali dismesse, impianti chimici e stazioni TGV, mentre sabotaggi interni ed esterni espongono lacune nei sistemi di sorveglianza tradizionali. La rivoluzione geoeconomica dei droni low-cost, in fondo, non è solo nella capacità di colpire, ma nella capacità di costringere a cambiare le regole – e Hestia Technologies le sta già riscrivendo.
Quanto è cambiato il costo della guerra: dentro l’economia reale dei droni low-cost
Alla luce dei fatti precedentemente menzionati risulta evidente che l’economia della guerra stia prendendo una forma sempre più silenziosa. Non si tratta più di scegliere se investire in un caccia stealth o in un sottomarino nucleare, oggi la domanda è quanto si può fare con un drone da poche centinaia di euro.
La risposta non va più cercata in manuali di storia del passato, ma è verificabile in scenari concreti. Un drone FPV (first-person view), come quelli impiegati ogni giorno sul fronte ucraino, può essere assemblato con circa 400 euro. Il suo impiego tipico? Volare a bassa quota, aggirare le linee nemiche, colpire un veicolo blindato o un obice da milioni di euro. Il bilancio economico è scioccante: un rapporto di costo/efficacia che può superare 1 a 10.000. In altri termini, spendendo l’equivalente del costo di un iPhone, si può distruggere un sistema d’arma che ne vale quanto un intero ospedale: uno squilibrio che ha un impatto devastante sulla sostenibilità dei conflitti moderni. Non si tratta più solamente di una questione tattica, ma di una trasformazione strutturale dove la superiorità economica ha sostituito quella numerica.
Alcuni analisti militari parlano ormai di “modello Kalashnikov nei cieli”. Così come l’iconico fucile sovietico democratizzò la guerra di terra nel XX secolo, oggi i droni artigianali o semi commerciali stanno facendo lo stesso nell’arena aerea. Secondo uno studio del Royal United Services Institute, nel corso del 2023 l’esercito ucraino ha registrato un incremento del 500% nell’uso dei droni FPV a scopo offensivo e nella sola regione del Donetsk si stima che ne vengano impiegati oltre 10.000 ogni mese.[21] Di fatto, con costi unitari così convenienti, questo tipo di produzione può essere sostenuta anche da economie in crisi che spesso si appoggiano a campagne di crowdfunding, maker civili o fabbriche decentralizzate. Proprio la decentralizzazione è una delle chiavi di questa rivoluzione. Lontano dai cantieri aeronautici tradizionali, la guerra dei droni si combatte anche nei garage, nei laboratori universitari, nei fablab distribuiti lungo i confini. In Ucraina esistono vere e proprie microindustrie militari-civili, coordinate via Telegram o Discord, che assemblano droni in meno di 72 ore e li spediscono direttamente al fronte.[22] Questa filiera ultra-snella, elastica e ridondante rappresenta un ribaltamento radicale rispetto ai cicli lenti e costosi della difesa convenzionale. Dove Boeing e Lockheed ragionano in anni, le “milizie 4.0” agiscono in giorni.
Ma l’impatto non si limita ai campi di battaglia. Le forze armate e i ministeri della difesa di tutto il mondo stanno rivivendo le proprie metriche di efficacia e sostenibilità. In Israele l’esercito ha recentemente investito in una linea di produzione per micro-droni autonomi, destinati a pattugliare le zone di confine senza l’intervento umano.[23] In Francia, la Direction Générale de l’Armement ha avviato una valutazione sull’integrazione di micro-USAV nei dispotivi antiterrorismo urbani, puntando su droni da meno di 3.000 euro in grado di operare in ambienti chiusi.[24]
Il messaggio è chiaro: il campo di battaglia non è solo militare, è industriale, logistico, finanziario. Non vince chi ha il missile migliore, ma chi riesce a saturare il cielo con microtecnologie accessibili, adattive e rapidamente innovabili. È la “fast war economy”, un paradigma dove il costo diventa arma, e l’intelligenza distribuita – più che la potenza di fuoco – determina chi resta in piedi. In questo nuovo scenario, le regole le scrive chi riesce non solo a dominare i cieli, ma anche a modificarne l’accesso. E con ogni nuovo drone da 400 euro che colpisce un carro armato da 5 milioni, si afferma una verità ineludibile: la guerra del futuro ha già un prezzo.
[1] L’evoluzione dei droni: dall’esercito all’arte, Dronisos (15 luglio 2020), consultato il 24 luglio 2025, versione italiana.
[2] Dassault Aviation, European MALE RPAS (Medium Altitude Long Endurance Remotely Piloted Aircraft System) Programme Takes Off, comunicato stampa, 28 settembre 2016.
[3] Flavio Fabbri, “Droni da combattimento, è la Cina il primo fornitore globale,” Key4biz, 3 febbraio 2023.
[4] Baykar Bayraktar TB2, Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Baykar_Bayraktar_TB2
[5] “Droni in Ucraina 2022–2025: un rapporto completo,” TS2 Space, https://ts2.tech/it/droni-in-ucraina-2022-2025-un-rapporto-completo/.
[6] HESA Shahed 136, Wikipedia, https://en.wikipedia.org/wiki/HESA_Shahed_136
[7] “Drone ucraino da 400 euro distrugge carro armato russo da 2 milioni di dollari: una nuova arma per l’Ucraina,” Il Messaggero, https://www.ilmessaggero.it/schede/drone_ucraino_400_euro_distrugge_carro_armato_russo_2_miloni_dollari-una_nuova_arma_per_l_ucraina-2-7725445.html.
[8] “Operazione Spiderweb: come l’Ucraina ha distrutto i bombardieri russi con droni FPV,” Droneblog, pubblicato il 1 giugno 2025, https://www.droneblog.news/operazione-spiderweb-come-lucraina-ha-distrutto-i-bombardieri-russi-con-droni-fpv/.
[9] Nagorno‑Karabakh 2020–2021, per Concordiam, pubblicato l’8 dicembre 2021 (versione online), https://perconcordiam.com/nagorno-karabakh-2020-2021/
[10] HAROP – Advanced Loitering Munition System, Israel Aerospace Industries, pubblicato circa 1 anno fa, consultato il 24 luglio 2025, https://www.iai.co.il/p/harop.
[11] Andrea Zambelli, “Droni e missili israeliani dietro la riconquista azera del Nagorno Karabakh,” East Journal, 11 ottobre 2023, https://www.eastjournal.net/archives/133431.
[12] Ibidem.
[13] Robyn Dixon, “Azerbaijan’s drones owned the battlefield in Nagorno‑Karabakh — and showed future of warfare,” The Washington Post, 11 novembre 2020.
[14] Houthi nello Yemen: dinamiche e impatti del conflitto, Oxfam Italia, 3 ottobre 2024, https://www.oxfamitalia.org/houthi-nello-yemen-dinamiche-e-impatti-del-conflitto/.
[15] Ibidem.
[16] Abqaiq–Khurais attack, Wikipedia, “On 14 September 2019, drones were used to attack oil processing facilities at Abqaiq and Khurais in eastern Saudi Arabia”.
[17] Attaque du 17 janvier 2022 à Abou Dabi, Wikipedia https://en.wikipedia.org/wiki/Red_Sea_crisis.
[18] Eleonora Ardemagni, “Mar Rosso: gli Houthi attaccano ancora,” ISPI, 10 gennaio 2024, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/mar‑rosso‑gli‑houthi‑attaccano‑ancora‑159567.
[19] Drone Proliferation Dataset, Center for a New American Security (CNAS), consultato il 24 luglio 2025, https://www.cnas.org/publications/reports/drone-proliferation-dataset; Missile Technology Control Regime, Wikipedia, ultima modifica 15 luglio 2025, consultato il 24 luglio 2025, https://en.wikipedia.org/wiki/Missile_Technology_Control_Regime.
[20] Crisi del Mar Rosso: studio ANFIA su impatti logistica e automotive, Trucknews.it, 2 maggio 2024, https://www.trucknews.it/logistica-e-trasporti/crisi-mar-rosso-anfia-impatti-commercio-automotive-supply-chain/
[21] How Ukraine’s adaptable drone arsenal is changing warfare, Royal United Services Institute (RUSI), 28 giugno 2024, https://www.rusi.org/news-and-comment/in-the-news/how-ukraines-adaptable-drone-arsenal-changing-warfare.
[22] Ukraine is winning the drone start‑up war, Financial Times, 10 aprile 2025, https://www.ft.com/content/2c7d3c96-f6a8-4afa-bd88-5ea2fa39f5c1.
[23] Israel Buys Drones, Autonomous Systems for $40 M From Elbit, The Defense Post, 4 dicembre 2024, https://www.thedefensepost.com/2024/12/04/israel-drones-autonomous-systems-elbit/
[24] Rapid Deployment: DGA Fast-Tracks 1,000 Harmattan AI Micro‑Drones for Armée de Terre, sUAS News, 23 luglio 2025, https://www.suasnews.com/2025/07/rapid-deployment-dga-fast-tracks-1000-harmattan-ai-micro-drones-for-armee-de-terre/.

Neolaureato in Scienze Politiche (110/110) alla LUISS Guido Carli, dove frequenta la magistrale in Relazioni Internazionali. Ha maturato esperienze formative a Miami, Parigi e Madrid, lavorando presso OCSE e attualmente nell’ufficio Institutional Affairs di Mundys. Parla fluentemente quattro lingue ed è orientato all’analisi politica, alla gestione progettuale e alle attività interculturali.