LA DOTTRINA MODI TRA OCEANO E AMBIZIONI STRATEGICHE

Era il 2018, quando il presidente indiano Narendra Modi si presentò allo Shangri-La Dialogue di Singapore e, davanti ai rappresentanti delle nazioni dell’indopacifico espresse con una sola parola la sua visione della politica marittima dell’India: SAGAR[1].

SAGAR richiama la parola hindi per “mare” (saagar) ma, in quell’occasione rappresentava l’acronimo di “Security And Growth for All in the Region”. Con questa espressione Modi richiamò due concetti fondamentali della politica estera indiana: il terzomondismo, presentando la possibile unione delle nazioni dell’Oceano Indiano come un terzo polo fondamentale sullo scacchiere internazionale e la centralità dell’India come guida di questo terzo polo. L’India, nel suo discorso, si presentava come una nazione guida ma, al tempo stesso, un primus inter pares nella Indian Ocean Region (IOR). È in questa occasione che quindi nasce la cosiddetta “Dottrina Modi”, una dottrina geopolitica che richiama da vicino la Dottrina Monroe Americana. Mentre quest’ultima reclama l’intero emisfero occidentale come area di esclusiva influenza Statunitense, la dottrina Modi rivendica le aree rivierasche dell’Oceano Indiano come territori di diritto appartenenti all’area di influenza indiana.

LA SCELTA NAVALISTA

L’Oceano Indiano, coprendo circa il 20% della superficie marittima globale, si configura come il terzo oceano più esteso al mondo. Tuttavia, il suo rilievo geopolitico non è determinato soltanto dalla sua vastità, bensì dalla sua posizione strategica e dalla funzione storica di connettore tra civiltà, economie e flussi commerciali. La crescente attenzione internazionale verso questa area si inscrive in un contesto di ridefinizione degli equilibri globali, in cui l’Indo-Pacifico ha assunto un ruolo centrale nella configurazione delle dinamiche economiche e di sicurezza.

L’attuale attenzione verso l’Indo-Pacifico è dettata dalla sua centralità nei flussi commerciali: si stima che il 90% delle merci mondiali sia trasportato via mare, con l’80% del volume totale che transita attraverso l’Oceano Indiano[2]. L’importanza strategica della protezione delle Sea Lines of Communication (SLOC), le “strade” navali che garantiscono il commercio globale[3] è quindi centrale nelle strategie marittime delle nazioni rivierasche. Ne consegue naturalmente che una potenza regionale, con ambizioni da grande potenza globale come l’India, non possa più ignorare la sua posizione geografica, collocata esattamente nel punto di incontro di queste imponenti autostrade marittime.

LA DOTTRINA DELLA REALPOLITIK INDIANA

La Dottrina Modi si articola dunque su sei principi fondamentali: il rafforzamento delle relazioni multilaterali, in contrapposizione alla tendenza di alcune grandi potenze a privilegiare relazioni bilaterali; la promozione di un ordine internazionale multipolare, in continuità con la tradizione non allineata dell’India; la sicurezza dell’oceano come premessa allo sviluppo economico e politico; il contrasto alla pirateria e alle minacce terroristiche nelle rotte marittime; la tutela della sovranità e dell’autonomia nazionale degli stati rivieraschi; la legittimazione culturale e storica della preminenza indiana nell’area[4].

La Dottrina Modi segna una chiara svolta nella politica estera indiana, evidenziando una strategia coerente e strutturata per la gestione della dimensione navale. Essa si configura come una risposta alle sfide della globalizzazione e della competizione strategica internazionale, spingendo l’India modiana verso la ricerca di quel riconoscimento di grande potenza che le è mancato in passato e che stenta ancora a conquistarsi.

UNA SEA-BLIND NATION?

L’India, fino a prima del cambio di rotta impostato da Modi, poteva essere definita una “sea-blind nation[5] ovvero una nazione che, pur essendo geograficamente e storicamente proiettata verso la dimensione marittima, era rimasta cieca a quella direzione. Effettivamente i traumi storici e i conflitti combattuti dall’India contemporanea si sono in gran parte consumati sulla terra, tra i ghiacciai dell’Himalaya e le paludi del Bangladesh. Ma proprio la politica economica cinese e i progetti della Belt and Road Initiative hanno spinto l’India a guardare verso il mare.

Infatti, la reazione indiana alla realizzazione della cosiddetta “Collana di Perle” (String of Pearl) cinese fu una sensazione di soffocamento delle proprie linee di comunicazione marittima[6], chiuse da un accerchiamento preciso, perpetrato dalla politica estera ed economica di Pechino. Nuova Delhi ha così risposto alla String of Pearl con il progetto della “Collana di Diamanti” (Necklace of Diamonds); così, mentre il progetto cinese soffocava l’India, il progetto di Nuova Delhi puntava a un accerchiamento di quello cinese (vedi mappa).

Questa strategia ha segnato l’inizio di una nuova postura geopolitica indiana: la costruzione di una “doppia cinta marittima” intorno al Paese. Tuttavia, nella fase iniziale, la risposta indiana è apparsa perlopiù reattiva e simmetrica rispetto alle mosse cinesi, puntando a colmare vuoti d’influenza piuttosto che seguire una visione autonoma e proattiva. In alcuni casi, ciò ha condotto a investimenti eccessivi persino in aree marginali dal punto di vista strategico, dettati più dal timore di essere esclusi che da una ponderata valutazione d’interesse nazionale.

L’INDIGENIZZAZIONE DELLA PRODUZIONE E LO SGUARDO STRATEGICO

Modi ha invece implementato una vera e propria strategia di espansione navale con programmi mirati e precisi. L’indigenizzazione della flotta, tra tutti, con il programma “Make in India[7], ha portato ad una crescita rilevante della produzione militare interna: sempre più vascelli e, specialmente, nuove portaerei sono stati esclusivamente prodotti e costruiti in India[8], mentre, in precedenza, il paese si appoggiava principalmente sull’assistenza francese e russa. Un ulteriore sviluppo è stato dato dalla politica dei cerchi strategici[9], che hanno disegnato dei confini precisi alle aree di interesse primario e secondario del paese. Infine le nuove operazioni marittime permanenti hanno esteso la presenza indiana su fondamentali aree strategiche dell’oceano indiano[10].

Questa proiezione, studiata e commisurata, ha portato il paese ad acquisire un ruolo sempre più preminente nella sua regione e, conseguentemente, sempre più piccole potenze regionali hanno iniziato a riconoscere all’India il ruolo di guida politica nelle dinamiche di potenza dell’Oceano Indiano. Non è un caso che, insieme alle Mauritius, Nuova Delhi guidi la Indian Ocean Rim Association[11], l’associazione delle nazioni rivierasche – asiatiche ed africane – dell’Oceano Indiano. Sempre parlando di accordi internazionali, non di minore rilevanza è il QUAD (Quadrilateral Security Dialogue), un’alleanza difensiva e marittima, stipulata tra Stati Uniti, Giappone, Australia e India per la securizzazione dell’Indopacifico[12] in chiave anticinese. La posizione dell’India all’interno di questo meccanismo di sicurezza è trainante proprio per il suo rilievo come punto di riferimento per la difesa dell’Oceano Indiano – mentre Giappone e Australia sono maggiormente proiettate sulla difesa del Pacifico.

CONCLUSIONI

L’India non può ancora essere considerata una grande potenza globale: numerose fragilità interne ed esterne ne limitano l’ascesa. Tra le criticità più gravi spiccano l’ampia fetta di popolazione scarsamente scolarizzata e le profonde fratture etniche e socioeconomiche che attraversano il Paese. Tuttavia, la spinta navalista degli ultimi anni rende Nuova Delhi un interlocutore primario per chiunque guardi con interesse all’Oceano Indiano.

Le aperte ostilità con la Cina e la partnership strategica con gli Stati Uniti non cancellano del tutto le diffidenze popolari e politiche verso Washington. Modi, continuando a condurre una politica basata sulla realpolitik, sembra essere perfettamente consapevole sia delle potenzialità che dei limiti della sua nazione. Per questo continua a muoversi con cautela tra i fragili equilibri contemporanei, scegliendo con attenzione dove impegnarsi attivamente e dove, invece, rimanere in disparte In questo delicato equilibrio, l’India ha costruito – e continua ad espandere – una delle marine più grandi al mondo, impegnata in un unico oceano che sempre più si configura come uno dei teatri principali delle ambizioni globali del XXI secolo.


[1] Press Information Bureau. Prime Minister’s Keynote Address at Shangri La Dialogue. Ministry of External Affairs – Government of India, 1 giugno 2018.

[2] A. E. Davis; J. N. Balls. The Indian Ocean Region in the 21st Century: geopolitical, economic, and environmental ties. Melbourne, Australia India Institute, 31 marzo 2020

[3]https://eximmitra.in/en/information-data-on-exports/research-and-publications/others-information/ports-and-shipping

[4] Press Information Bureau. Prime Minister’s Keynote Address at Shangri La Dialogue. Ministry of External Affairs – Government of India, 1 giugno 2018.

[5] C. U. Bashkar. A forgotten page of history. The Tribune, 10 Settembre 2022

[6] J. Sykes. Indian Ocean Listening Stations: Governmental Ears, Surveillance Acoustemologies, and the Maritime Silk Road. Cit., p. 336

[7] https://www.makeinindia.com/index.php/about#:~:text=PROGRAM,response%20to%20a%20critical%20situation.

[8] S.a. New 10-year Capability Development Plan in the works: Navy Chief. Sp’s Naval Forces. 4 dicembre 2021

[9] Indian Maritime Doctrine, Indian Navy, Naval Strategic Publication 1.1, 2009

[10] Press Information Bureau. New Mission-Based Deployment Concept to Result in Greater Presence and Visibility in IOR—Admiral Sunil Lanba. Ministry of Defence, Government of India, India Strategic, 27 ottobre 2017 – https://pib.gov.in/newsite/PrintRelease.aspx?relid=171983

[11] S. Haidar. How is the Indian Ocean Rim Association a key bloc for IndiaI. The Hindu. 15 ottobre 2023

[12] E. D’Ambrogio. The Quad: An emerging multilateral security framework of democracies in the Indo-Pacific region. European Parliamentary Research Service, Marzo 2021, p. 2

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