INTRODUZIONE
Negli ultimi anni, la questione nucleare iraniana è tornata a occupare una posizione centrale nell’agenda internazionale. Il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dal JCPOA nel 2018 e la reintroduzione delle sanzioni hanno riaperto una fase di confronto diretto, spingendo Teheran a intensificare l’arricchimento dell’uranio oltre i limiti concordati [LC1] e a ridurre la cooperazione con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA).[1] Gli sforzi diplomatici europei e i colloqui mediati dall’Oman non sono riusciti a invertire questa tendenza: la sfiducia reciproca è cresciuta, il clima negoziale si è deteriorato e la crisi è progressivamente degenerata fino a culminare nel conflitto del giugno 2025, la cosiddetta guerra dei dodici giorni, che ha visto Israele colpire in profondità le infrastrutture militari e nucleari iraniane con il sostegno diretto degli Stati Uniti. Il conflitto ha avuto conseguenze fondamentali per gli equilibri regionali: ha ridotto sensibilmente le capacità convenzionali dell’Iran, ha aggravato il suo isolamento politico e ha reso evidente la necessità di cercare nuove garanzie di sopravvivenza economica e militare. In questo scenario, la Cina si è affermata come interlocutore imprescindibile, offrendo a Teheran un sostegno calibrato che combina acquisti energetici a lungo termine, investimenti selettivi e un appoggio politico-diplomatico utile a contenere le pressioni occidentali, pur evitando di trasformare la relazione in un’alleanza militare formale. Ne è scaturita una relazione pragmatica e asimmetrica: da un lato l’Iran, sempre più dipendente da Pechino per ricostruire la propria economia e la propria deterrenza; dall’altro la Cina, attenta a mantenere una posizione di neutralità attiva che le permetta di salvaguardare i propri interessi energetici, accrescere la propria influenza nel cosiddetto Sud globale e al tempo stesso preservare relazioni operative con gli altri attori regionali, dalle monarchie del Golfo a Israele. Questa evoluzione rende oggi il rapporto sino-iraniano un osservatorio privilegiato per comprendere non solo le prospettive del programma nucleare di Teheran e le possibilità di una riapertura negoziale, ma anche la strategia più ampia di Pechino nel Medio Oriente post-conflitto, dove stabilità delle forniture energetiche, bilanciamento delle potenze e gestione del confronto con Washington si intrecciano in un quadro sempre più complesso.
DAL FALLIMENTO DEI COLLOQUI ALL’ESCALATION MILITARE
Negli ultimi anni gli accordi sul nucleare iraniano e il tentativo di trovare un accomodamento generale sulla questione si sono sempre più arenati. Il tentativo diplomatico statunitense ha visto una grave battuta di arresto dal ritiro unilaterale da parte di Trump dal JCPOA nel 2018, accordo in cui l’Iran e i paesi europei sono ancora presenti e il cui termine è previsto per la fine di ottobre, e il ripristino delle sanzioni verso Teheran. A poco o nulla sono serviti i timidi tentativi europei di arginare l’assenza statunitense e di fare da mediatori nella spinosa questione. In risposta, la Repubblica Islamica ha ripreso ad arricchire l’uranio oltre i limiti consentiti dalla IAEA, violando in diverse istanze gli accordi con l’agenzia internazionale, rendendosi sempre meno disponibile a collaborare con le ispezioni della IAEA stessa.[2] Di risposta, la IAEA approvò diverse risoluzioni tra il 2019 e il 2024 sollecitando la cooperazione di Teheran così come da accordi, per poi dichiarare per la prima volta dopo venti anni l’Iran come violatore degli obblighi internazionali di non-proliferazione e rilasciando una risoluzione di “non conformità” nei confronti iraniani nel giugno 2025, portando ad una possibile deferenza al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.[3] Tale risoluzione fu approvata dai rappresentanti di Germania[LC2] , Regno Unito, Francia e USA, mentre fu respinta dai rappresentanti di Burkina Faso, Russia e Repubblica Popolare Cinese. Teheran rispose annunciando l’avvenuta costruzione di un ulteriore impianto di arricchimento dell’uranio e l’intenzione di potenziare e ammodernare le centrifughe nel sito di Fordow. [4] Gli Stati Uniti, dal canto loro, a tra febbraio e marzo dello stesso anno si impegnarono per azzerare le esportazioni petrolifere iraniane e revocare le deroghe alle sanzioni previste con gli accordi internazionali precedenti. Inoltre, vennero dispiegati i bombardieri B2 sull’isola di Diego Garcia, un’isola britannica nell’Oceano Indiano ospitante una base militare statunitense la quale nei decenni scorsi fece da base operativa aeronautica durante la I Guerra del Golfo, l’invasione dell’Afghanistan e la II Guerra del Golfo.[5] A seguito del fallimento dei negoziati in Oman tra Washington e Teheran, Israele decise di intervenire militarmente il 12 giugno 2025 con un pre-emptive strike, bombardando l’Iran e bersagliando infrastrutture nucleari, siti militari e obiettivi civili. L’Iran ha subito un duro colpo sia dal punto di vista politico che dal punto di vista della capacità bellica. Gli sviluppi politici e l’avanzata israeliana in Medio Oriente hanno portato, negli ultimi due anni, ad un progressivo ridisegnamento della cartina politica e del sistema di alleanze e di equilibrio (seppur precario) che vigeva nell’area. L’Iran si trova oggi con le spalle al muro e ancora più isolato di quanto non lo fosse in passato, in particolar modo a seguito della perdita dell’alleato siriano, alla destabilizzazione ulteriore del Libano e all’assorbimento sempre più violento dei territori palestinesi da parte di Tel Aviv.
LA GUERRA DEI DODICI GIORNI: CONSEGUENZE MILITARI E STRATEGICHE PER L’IRAN
Oltre alla situazione internazionale estremamente sfavorevole, Teheran ha visto le sue difese aeree e le proprie capacità belliche indebolite già in seguito agli scontri con Israele dell’Ottobre del 2024. In risposta agli attacchi dello Stato ebraico nel sud del Libano e il bersagliamento degli obiettivi di Hezbollah e l’uccisione del comandante dei Pasdaran Abbas Nilfourushan, con l’Operazione True Promise II, l’Iran bersagliò Israele con circa 200 missili balistici, la maggior parte dei quali intercettati e con danni trascurabili.[6] Il 26 dello stesso mese, Israele risponderà con l’Operazione Days of Repentance, colpendo circa venti obiettivi iraniani legati alla difesa aerea e missilistica, tra cui siti di produzioni balistica, sistemi missilistici e radar, compromettendo sensibilmente le capacità difensive iraniane.[7] Secondo le stime di Business Insider, il paese avrebbe avuto bisogno di almeno un anno di tempo per rigenerare le proprie difese in seguito a tale aggressione.[8] Con il proseguire della crisi mediorientale, a distanza di meno di otto mesi Israele, forte del consenso della presidenza Trump e dell’inazione internazionale, ha nuovamente ingaggiato Teheran con una nuova serie di attacchi aerei e bombardamenti. Oltre alle infrastrutture e alle difese aeree, già bersagliate e indebolite a seguito dei bombardamenti del 26 ottobre 2024, i principali obiettivi degli attacchi israeliani e americani nell’Operazione Rising Lion sono stati i siti individuati dalle intelligence di Tel Aviv e Washington come dediti allo sviluppo clandestino del programma nucleare militare iraniano. L’obiettivo dichiarato da parte israeliana fu proprio quello di impedire lo sviluppo di una capacità di deterrenza nucleare iraniana, colpendo così non solo i siti di produzione energetica nucleare, ma anche siti di stoccaggio di carburante sia nucleare che tradizionale, infrastrutture di distribuzione energetica, ma anche i centri di comando dei Pasdaran.[9] Tra il 15 e il 16 giugno Teheran rispose con massicci attacchi balistici e droni su Tel Aviv e Haifa, danneggiando le città e le infrastrutture israeliane. Il 22 giugno gli Stati Uniti entrarono direttamente nel conflitto con l’Operazione Midnight Hammer, bombardando le centrali di Fordow, Natanz e Isfahan, utilizzando delle bombe bunker-buster per colpire e distruggere le infrastrutture nucleari iraniane posizionate nel sottosuolo.[10] Furono gli Stati Uniti stessi il 24 giugno a dichiarare unilateralmente un cessate il fuoco tra le parti, ponendo fine alla fase più calda di questo conflitto negli ultimi anni. In questi dodici giorni di giugno, le stime delle perdite iraniane si aggirano interno ai 1200 morti e più di 4000 feriti, tra cui civili, personale medico e scienziati.[11][LC3] Dal punto di vista economico e militare, v’è stata una riduzione del 94% delle esportazioni petrolifere con una riduzione degli introiti pari a 1,4 miliardi di dollari per i 12 giorni di conflitto e un costo di più di 4 miliardi di dollari per l’utilizzo della propria capacità militare.[12] Perciò, i bombardamenti non solo hanno sensibilmente impattato sulla produzione bellica ed energetica, portando l’Iran a subire ingenti danni immediati, ma hanno avuto anche un significativo impatto sulla capacità rigenerativa del paese. Il parlamento iraniano ha promulgato una legge dichiarando la sospensione di ogni tipo di accordo della IAEA, accusando l’agenzia di essere al soldo israeliano e denunciando la violazione della Convenzione di Ginevra da parte israeliana e statunitense.[13] Sia da parte israeliana che americana, l’operazione è stata definita come un grande successo. Stando alle parole di Trump, il programma nucleare iraniano sarebbe stato “obliterato” e, secondo il Pentagono, gli attacchi israelo-americani avrebbero ritardato lo sviluppo di una capacità bellica nucleare iraniana di uno o due anni.[14]
Indipendentemente dalle dichiarazioni del POTUS, secondo diversi analisti ed osservatori, i bombardamenti sono ben lungi dall’aver distrutto il programma nucleare iraniano, tantomeno avrebbero sortito qualche effetto sulla volontà politica iraniana di sviluppare una capacità di deterrenza nucleare, evidenziando anzi il fatto che tale progetto è sempre più urgente e necessario per la sicurezza del paese e la sopravvivenza del regime. Le continue dichiarazioni di Trump e Netanyahu sulla volontà e necessità di attuare o comunque favorire un regime changein Iran difficilmente possono far pensare a Teheran che la rinuncia al proprio programma nucleare sia una strada percorribile per garantire la propria sicurezza la sopravvivenza del regime, soprattutto a seguito del grave indebolimento della propria posizione nell’area Mediorientale e l’aggressiva pressione dei propri rivali.[15] Inoltre, secondo il Center for Strategic International Studies, anche in seguito ai bombardamenti, l’ottenimento di una capacità bellica nucleare da parte di Teheran non sarebbe condizionata da fattori materiali ma unicamente dalla volontà politica del regime.[16] In poche parole, l’Iran non possiede ancora l’atomica non perché non riesce ad ottenerla, ma perché non ritiene siano ancora maturi i tempi per farlo.
Israele e Stati Uniti hanno ripreso a parlare di un ulteriore intervento militare su suolo iraniano se l’Iran avesse ripreso l’arricchimento dell’uranio e, a complicare la situazione, lungo il mese di agosto i paesi europei di Francia, Germania e Gran Bretagna (o gruppo E3) hanno proposto la ripresa delle sanzioni precedentemente sospese con la firma del JCPOA nel caso in cui l’Iran non avesse nuovamente aperto agli ispettori della IAEA le proprie infrastrutture nucleari entro la fine del mese.[17] A fine del mese, gli ispettori sono stati ammessi in Iran ed è stato loro concesso di visitare i siti nucleari colpiti dai bombardamenti, ma nessun accordo è stato raggiunto né con l’Agenzia né con il gruppo E3.[18] Ali Larijani, a lungo responsabile delle contrattazioni nucleari iraniane ed ora segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale iraniano, ha al contempo dichiarato che Teheran è disponibile a riprendere i colloqui e trovare un compromesso attraverso la diplomazia se e solo se gli Stati Uniti si rendessero disponibili ad escludere qualsiasi forma di attacco o aggressione ai danni iraniani.[19]
IL RAPPORTO SINO-IRANIANO
Indebolito dall’aggressione di giugno, dall’isolamento e dall’atteggiamento apertamente ostile delle potenze occidentali e dall’utilizzo delle proprie capacità balistiche e belliche, Teheran ha visto una crescente cooperazione con Pechino, sia per ritagliarsi uno spazio di respiro dall’isolamento internazionale, sia per ricostruire e migliorare le proprie capacità belliche e difensive, e in maniera più limitata anche con Mosca. I rapporti tra l’Iran e i rivali statunitensi e l’appoggio della Repubblica Islamica a Pechino o a Mosca non sono una novità e non sono certo una conseguenza della Guerra dei 12 giorni. Nonostante entrambi i paesi siano rimasti sostanzialmente immobili durante la breve guerra, è innegabile il loro supporto, più o meno velato, a Teheran, così come lo è l’ulteriore rafforzamento dei loro legami a seguito delle continue tensioni e dell’impatto della guerra stessa. Russia e Cina sono fondamentali per l’Iran per avere un appoggio in sede ONU e in generale nel panorama diplomatico internazionale in modo da contrastare, o quanto meno mitigare, le iniziative dei paesi occidentali e per avere delle garanzie nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Già a luglio, infatti, l’incontro trilaterale tra Teheran, Mosca e Pechino aveva affrontato la questione delle sanzioni e del programma nucleare, stabilendo che i tre paesi si sarebbero coordinati per contrastare il gruppo E3 ed aiutare la Repubblica Islamica.[20] La Repubblica Popolare Cinese, in particolare, ha dichiarato il 15 agosto che intende opporsi formalmente a nuove sanzioni verso l’Iran riguardanti il nucleare, ritenendole strumenti deleteri per perseguire il raggiungimento di una soluzione diplomatica.[21] Stando alle parole del ministro degli esteri cinese Wang Yi, infatti:
“China will continue to support Iran in safeguarding its national sovereignty and dignity, resisting power politics and bullying, defending its legitimate rights and interests through political negotiation”.[22]
La Cina è uno dei principali partner commerciali iraniani al momento, nonché una grande [LC4] potenza verso la quale Teheran può rivolgersi per contrastare le politiche degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Oltre il 90% del petrolio iraniano viene esportato in Cina, per un ammontare pari ad oltre il 13% dell’import petrolifero cinese, ossia 43 milioni di barili al mese.[23]
Pechino investe da anni in progetti di estrazione, raffinazione ed esportazione del petrolio e in altre iniziative nel settore energetico e infrastrutturale iraniano per miliardi di dollari, un impegno ulteriormente consolidato nel 2021 con l’Accordo di Partenariato Strategico Venticinquennale, che prevede un piano di investimenti cinesi da 400 miliardi di dollari nei settori dell’energia, dei trasporti, delle telecomunicazioni e dello sviluppo portuale.[24] Bisogna ad ogni modo puntualizzare, però, che a quattro anni dalla firma l’attuazione di tale programma ha visto meno di 200 milioni di dollari di investimenti effettivi.[25]
IL SOSTEGNO CINESE ALLA RICOSTRUZIONE E AL RIARMO
Pechino, nonostante la mole di investimenti e la presa di posizione in difesa iraniana, procede con cautela. Il volume degli scambi commerciali con l’Iran resta modesto se confrontato con quelli relativi alle monarchie del Golfo, dove il commercio con Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita ha superato complessivamente i 180 miliardi di dollari nello stesso anno.[26] Questa asimmetria dimostra che la Cina preferisce un approccio più pacato, concentrandosi sull’acquisto di petrolio iraniano a prezzi scontati e su progetti infrastrutturali che rafforzano la sicurezza delle proprie forniture energetiche, piuttosto che impegnarsi in grandi investimenti visibili che potrebbero esporla a sanzioni secondarie o danneggiare i rapporti con altri partner regionali, soprattutto in un’ottica di preservazione della stabilità regionale mediorientale e della propria posizione sul piano internazionale. Dopo la guerra dei dodici giorni, i rapporti economici tra Iran e Cina sono diventati ancora più cruciali per la sopravvivenza di Teheran. L’afflusso di investimenti e di liquidità cinese, infatti, è fondamentale per la ricostruzione post-bellica ed il riarmo del paese: l’Iran ha bisogno della Cina per evitare il collasso economico, mentre Pechino può giovare della continuità delle forniture petrolifere iraniane e giocare un ruolo di stabilizzatore regionale in un momento di tensioni crescenti con Washington.[27]
Militarmente parlando, la vicinanza iraniana alla Cina è un tassello fondamentale per l’assetto post-bellico del paese. I bombardamenti israeliani e statunitensi hanno inflitto danni significativi alle infrastrutture strategiche di Teheran: siti di produzione missilistica, centri di comando, basi aeree e depositi di munizioni sono stati distrutti o gravemente danneggiati, compromettendo la capacità dell’Iran di proiettare potenza nella regione e minando la sua deterrenza. Ciò ha spinto la leadership iraniana a lanciare un piano di ricostruzione accelerato delle proprie capacità convenzionali e missilistiche, individuando nella Cina un partner sempre più rilevante. Secondo l’Institute for the Study of War, Pechino ha facilitato la consegna di ammonio perclorato e altri precursori chimici necessari per la produzione di propellenti solidi, quantità sufficienti per ricostituire l’arsenale di missili balistici a medio raggio e persino aumentarne il numero rispetto alla situazione pre-bellica.[28] Questo tipo di sostegno, ufficialmente presentato come parte di scambi commerciali civili, consente all’Iran di ricostruire rapidamente il proprio deterrente strategico, evitando per entrambi i paesi di incorrere nelle conseguenze diplomatiche che un trasferimento diretto di missili o sistemi d’arma comporterebbe.
Parallelamente, l’Iran sta diversificando le proprie fonti di approvvigionamento militare, riducendo la dipendenza dalla Russia. I ritardi cronici nella consegna dei caccia Su-35 e di altri sistemi avanzati, così come la fioca e insoddisfacente risposta russa ai bombardamenti nella Repubblica Islamica, hanno spinto Teheran a considerare seriamente l’acquisto del caccia multiruolo cinese J-10C, un velivolo di quarta generazione capace di competere con i principali aerei da combattimento della regione.[29] Ciò, segnerebbe l’inizio di un rapporto più strutturato di fornitura e manutenzione, che creerebbe a sua volta una maggiore dipendenza a lungo termine dalla logistica e dal supporto tecnico cinese, preoccupando ancor di più Washington della presenza ed influenza cinese in Medio Oriente. Infine, il riarmo post-conflitto non è solo una necessità tecnica, ma anche un segnale politico da parte di Teheran che vuole dimostrare che, nonostante i danni subiti, non rinuncia alla propria proiezione regionale, alla propria capacità di deterrenza e al confronto con i propri rivali. Per Pechino, sostenere in maniera calibrata questo processo è un modo per rafforzare la propria influenza senza oltrepassare linee rosse che potrebbero provocare ritorsioni occidentali o destabilizzare i rapporti con le monarchie del Golfo e gli altri partner nella regione. In tal modo, la Cina può presentarsi come attore responsabile e stabilizzatore sul piano internazionale, pur capitalizzando la vulnerabilità iraniana ed accrescere il proprio peso nella regione.
La guerra dei dodici giorni ha rappresentato un banco di prova per la politica estera cinese in Medio Oriente, costringendo Pechino a dimostrare di poter conciliare i propri interessi energetici, la sua immagine di mediatore globale e la volontà di non compromettere i rapporti con Washington e con i principali partner regionali. Durante il conflitto, la Cina ha assunto una posizione di neutralità attiva, ovvero, ha invocato la de-escalation e un cessate il fuoco immediato al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ma ha evitato di condannare esplicitamente Israele, segnalando di non voler deteriorare le relazioni con Tel Aviv, suo importante partner tecnologico e commerciale.[30] Il sostegno cinese, però, va letto anche (e forse soprattutto) in ottica di mantenimento dell’equilibrio regionale, attraverso la protezione dell’Iran da un isolamento totale e di un possibile regime change che porterebbe gli Stati Uniti a consolidare il proprio dominio nella regione, andando anche a ledere gli interessi cinesi. Pechino mira a mantenere l’Iran abbastanza forte da fungere da contrappeso alla presenza statunitense e israeliana in Medio Oriente, pur evitando di minacciare apertamente la stabilità dei mercati energetici o provocare un conflitto di lunga durata. Per questo motivo, l’impegno cinese rimane calibrato: offre supporto politico, canali commerciali e investimenti selettivi, ma evita di trasformare la partnership in un’alleanza militare o ideologica. Questo approccio consente a Pechino di presentarsi come potenza responsabile e mediatrice, rafforzando la propria immagine nel cosiddetto Sud globale, e allo stesso tempo di preservare i propri rapporti e i propri interessi con tutti gli altri attori regionali, comprese le monarchie del Golfo e Israele.[31]
CONCLUSIONI
La guerra dei dodici giorni ha messo in evidenza, forse più di qualsiasi altro evento recente, la trasformazione della relazione tra Iran e Cina. Per Teheran, uscita dal conflitto indebolita sul piano militare e politico, la vicinanza con Pechino non è più soltanto un’opzione strategica, ma una necessità vitale per garantire la sopravvivenza del regime e la ricostruzione delle proprie capacità. Per la Cina, invece, l’Iran rappresenta una risorsa utile ma non insostituibile: un fornitore di energia a buon mercato, un partner disposto a concedere margini di influenza e un tassello da utilizzare nel disegno più ampio di bilanciamento della presenza statunitense in Medio Oriente.
Ciò che emerge è una partnership asimmetrica e selettiva. L’Iran ha bisogno della Cina per riavviare la propria economia e ricostruire la propria capacità bellica e di deterrenza, mentre Pechino sfrutta questa dipendenza per rafforzare il proprio ruolo regionale, senza però trasformare il rapporto in un’alleanza militare che comporterebbe rischi elevati. La linea scelta da Pechino è quella della cautela: sostegno politico in sede internazionale, continuità negli acquisti energetici, collaborazione militare a bassa intensità e investimenti mirati in settori strategici, ma sempre all’interno di una strategia di bilanciamento che le consenta di mantenere aperti i canali con tutti gli altri attori, dalle monarchie del Golfo a Israele. In prospettiva, il futuro dei rapporti sino-iraniani dipenderà da due variabili cruciali: la capacità di Teheran di stabilizzare il proprio quadro interno e di riaprire uno spazio negoziale sul nucleare, e la volontà di Pechino di tradurre la propria influenza economica in una maggiore assunzione di responsabilità politica nella regione.
[1] Con la firma del JCPOA l’Iran si impegnava ad arricchire l’uranio non oltre al 3,67%. Secondo i report della IAEA, l’Iran avrebbe iniziato ad arricchire l’uranio in seguito al ritiro degli Stati Uniti dall’accordo arrivando ad un arricchimento della sua scorta pari al 60%. Per essere considerato di uso bellico, l’uranio deve raggiungere un livello di arricchimento almeno pari al 90%. (Liechtenstein, S., “Iran increased stockpile of near weapons-grade uranium before Israeli attack, UN agency says”, AP News, 3 settembre 2025, (Accesso: 04 settembre 2025) https://apnews.com/article/iran-nuclear-iaea-weapons-grade-uranium-c3ae6a8aae96d54355df73842916a324).
[2] Liechtenstein, S., “Iran faces ‘snapback’ of sanctions over its nuclear program. Here’s what that means”, AP News, 29 agosto 2025. (Accesso: 02 settembre 2025) https://apnews.com/article/iran-sanctions-snapback-nuclear-e3-explainer-49a5ccebaeeecc3578f3d19db318a42c
[3] Liechtenstein, S., “Iran Announces a New Nuclear Enrichment Site after UN Watchdog Censure.” AP News, 13 giugno 2025. (Accesso: 28 agosto 2025) https://apnews.com/article/iran-nuclear-iaea-sanctions-728b811da537abe942682e13a82ff8bd
[4] Murphy, F., “IAEA Board Declares Iran in Breach of Non-Proliferation Obligations.” Reuters, 12 giugno 2025. (Accesso: 21 agosto 2025) https://www.reuters.com/world/china/iaea-board-declares-iran-breach-non-proliferation-duties-diplomats-say-2025-06-12
[5] Johnson, R., “’Stealth’ B-2 Bombers Might Be Iran’s Worst Military Nightmare”, National Security Journal, 14 giugno 2025. (Accesso: 22 agosto 2025) https://nationalsecurityjournal.org/stealth-b-2-bombers-might-be-irans-worst-military-nightmare
[6] The Iran Primer, “Explainer: Iran’s Missile Assault on Israel.”, United States Institute of Peace, 2 ottobre 2024. (Accesso: 20 agosto 2025) https://iranprimer.usip.org/blog/2024/oct/02/explainer-iran’s-missile-assault-israel
[7] Nelken-Zitser, J., “Israel’s Hit on Iran, Though Limited, Widened a Vulnerability.”, Business Insider, 28 ottobre 2024. (Accesso: 29 agosto 2025) https://www.businessinsider.com/israel-strike-on-iran-air-defenses-widens-a-vulnerability-2024-10
[8] Ibid.
[9] Palmer, A., et al., “Assessing Israel’s Strike on Iran.” Center for Strategic and International Studies (CSIS), 3 ottobre 2024. (Accesso: 25 agosto 2025) https://www.csis.org/analysis/assessing-israels-strike-iran
[10] Rodgers, J., “What Operation Midnight Hammer Means for the Future of Iran’s Nuclear Ambitions”, Center for Strategic and International Studies (CSIS), 23 giugno 2025. (Accesso: 03 settembre 2025) https://www.csis.org/analysis/what-operation-midnight-hammer-means-future-irans-nuclear-ambitions
[11] Human Rights Activists News Agency (HRANA), “Twelve Days Under Fire: A Comprehensive Report on the Iran–Israel War”, Human Rights Activists News Agency (HRANA), 28 giugno 2025. (Accesso: 26 agosto 2025) https://www.en-hrana.org/twelve-days-under-fire-a-comprehensive-report-on-the-iran israel war/.
[12] Karimi, A. “Iran Missile Strikes Cost Billions of Dollars in 12 Day War”, IranWire, 29 giugno 2025. (Accesso: 01 settembre 2025) https://iranwire.com/en/economy/142803-iran-missile-strikes-cost-billions-of-dollars-in-12-day-war/.
[13] Al Jazeera Staff, “US Says Its Strikes Degraded Iran’s Nuclear Programme by One to Two Years”, Al Jazeera, 3 luglio 2025. (Accesso: 20 agosto 2025) https://www.aljazeera.com/news/2025/7/3/us-says-its-strikes-degraded-irans-nuclear-programme-by-one-to-two-years
[14] Ibid.
[15] Baev, P.K., et al.,. “The Global Implications of the U.S. Strikes on Iran”, Brookings Institution, 1 luglio 2025. (Accesso: 27 agosto 2025) https://www.brookings.edu/articles/the-global-implications-of-the-us-strikes-on-iran.
[16] Rodgers, J., et al., “Damage to Iran’s Nuclear Program–Can It Rebuild?”, Center for Strategic and International Studies (CSIS), 6 agosto 2025. (Accesso: 30 agosto 2025) https://www.csis.org/analysis/damage-irans-nuclear-program-can-it-rebuild.
[17] Ibid.
[18] Hansler, J., Kent, L., “France, Germany and UK begin process of reimposing UN sanctions on Iran over nuclear program”, CNN, 28 agosto 2025. (Accesso: 02 settembre 2025) https://edition.cnn.com/2025/08/28/middleeast/france-germany-uk-iran-nuclear-sanctions.
[19] Daftari, A., “Iran Sends New Signal to Trump About Nuclear Talks.” Newsweek, 15 agosto 2025. (Accesso: 21 agosto 2025) https://www.newsweek.com/iran-signals-talks-us-nuclear-program-2113884
[20] De Ruiter, E., “Iran to consult with Russia and China ahead of Friday nuclear talks with European nations”, Euronews, 21 luglio 2025. (Accesso: 22 agosto 2025) https://www.euronews.com/2025/07/21/iran-to-consult-with-russia-and-china-ahead-of-friday-nuclear-talks-with-european-nations.
[21] HongKong Free Press, “China says it opposes European sanctions over Iran nuclear programme”, HongKong Free Press, 16 agosto 2025. (Accesso: 28 agosto 2025) https://hongkongfp.com/2025/08/16/china-says-it-opposes-european-sanctions-over-iran-nuclear-programme.
[22] Daftari, 15 agosto 2025. https://hongkongfp.com/2025/08/16/china-says-it-opposes-european-sanctions-over-iran-nuclear-programme
[23] Chen, L., Wang, E., “What Are China’s Economic Interests in Iran?”, Reuters, 24 giugno 2025. (Accesso: 04 settembre 2025) https://www.reuters.com/world/middle-east/what-are-chinas-economic-interests-iran-2025-06-24
[24] Ibid.
[25] Yun, S., “Forecasting China’s strategy in the Middle East over the next four years,” Brookings Institution, 19 dicembre 2024. (Accesso: 25 agosto 2025) https://www.brookings.edu/articles/forecasting-chinas-strategy-in-the-middle-east-over-the-next-four-years
[26] Chivvis, C.S., Keating, J., “Cooperation Between China, Iran, North Korea, and Russia”, Carnegie Endowment for International Peace, ottobre 2024.
[27] Green, W., Taylore, R., “China-Iran Relations: A Limited but Enduring Strategic Partnership”, U.S.–China Economic and Security Review Commission, 28 giungo 2021.
[28] Campa, K., et al., “Adversary Entente Task Force Update”, Institute for the Study of War, 26 agosto 2025. https://www.understandingwar.org/backgrounder/adversary-entente-task-force-update-august-27-2025.
[29] Sparacino, M., “L’Iran cerca aerei da combattimento: i J-10C cinesi compensano i ritardi dei Su-35 russi?”, AnalisiDifesa, 3 agosto 2025. (Accesso: 20 agosto 2025) https://www.analisidifesa.it/2025/08/liran-cerca-aerei-da-combattimento-i-j-10c-cinesi-compensano-i-ritardi-dei-su-35-russi/ .
[30] Kim, P.M., et al., “Not quite an Axis”, in “The Global Implications of the U.S. Strikes on Iran”, Brookings Institution, 1 luglio 2025. (Accesso: 29 agosto 2025) https://www.brookings.edu/articles/the-global-implications-of-the-us-strikes-on-iran.
[31] Yang, J. “War in Iran: China’s Short- and Long-term Strategic Calculations”, The Diplomat, June 24, 2025. (Accesso: 26 agosto 2025) https://thediplomat.com/2025/06/war-in-iran-chinas-short-and-long-term-strategic-calculations.

Da sempre appassionato di storia, politica estera e geografia, Antonio si laurea in Relazioni Internazionali presso l’Università di Roma Tre, con una laurea triennale in lingue, culture e mercati dell’Asia orientale all’Università di Bologna, dove apprende anche il cinese e il persiano. Le principali aree di interesse sono L’Eurasia, L’Asia Orientale e il Medio Oriente, con particolare attenzione alla contemporaneità, alle questioni nucleari e ai rapporti con gli USA e con le potenze regionali