Lo scorso 23 settembre, i governi di Mali, Burkina Faso e Niger hanno annunciato l’immediato ritiro dalla Corte Penale Internazionale (International Criminal Court, ICC), il principale tribunale internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità.[1] Una scelta che arriva dopo un anno dall’uscita dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Economic community of West African States, Ecowas)[2] e che segna una frattura non solo giuridica ma profondamente geopolitica.
I recenti colpi di stato in Mali (2020, 2021), Burkina Faso (2022) e Niger (2023) hanno ridisegnato non solo la governance interna dei paesi, avviandoli verso una complessa transizione sotto la guida di governi militari, ma anche il loro posizionamento internazionale. Le rispettive giunte hanno infatti promosso un’iniziativa di solidarietà reciproca che ha portato, nel settembre 2023, alla creazione dell’Alleanza degli stati del Sahel (Alliance des États du Sahel, Aes). Inizialmente concepita come un patto di mutua difesa, l’Aes si è progressivamente trasformata in una confederazione orientata alla cooperazione politica, militare ed economica.[3]Anche a fronte di questa alleanza, i tre governi accusano la Corte di essere uno strumento di “neocolonialismo giuridico” e “repressione neocoloniale”, utilizzato dall’Occidente per esercitare pressioni politiche sui governi africani. Dietro questa dichiarazione, tuttavia, si cela un altro messaggio: il rifiuto di un ordine multilaterale percepito come asimmetrico e sbilanciato a favore delle potenze occidentali.
L’Africa e la Corte: una relazione difficile
Fin dalla sua creazione nel 2002, la Corte Penale Internazionale è stata accolta in Africa con sentimenti contrastanti. Da un lato, Mali, Burkina Faso e Niger hanno firmato lo Statuto di Roma già nel 1998, convinti che un tribunale internazionale potesse garantire giustizia per le vittime di conflitti e crimini di guerra. Dall’altro, nel corso degli anni è cresciuta la percezione che la Corte abbia colpito in modo sproporzionato il continente africano: molti procedimenti dell’ICC hanno riguardato leader o situazioni africane. Diversi governi africani hanno quindi iniziato a parlare di “giustizia selettiva”, denunciando l’assenza di indagini su crimini commessi da Stati occidentali o da loro alleati. Il risultato di questa percezione è che Mali, Burkina Faso e Niger istituiranno propri organi nazionali per giudicare crimini di guerra e violazioni dei diritti umani, senza riconoscere l’autorità dell’ICC.
Le motivazioni del ritiro
Dietro la retorica anticoloniale, le motivazioni del ritiro sono anche legate a questioni di politica interna. Uscire dall’ICC consente ai governi di evitare potenziali incriminazioni per le violazioni dei diritti umani commesse dalle forze armate nei conflitti interni contro jihadisti e civili.[4] Inoltre, questa scelta rientra in un fenomeno più ampio di ricerca di autonomia da parte dei governi africani, ovvero l’esigenza di diventare interlocutori indipendenti nel contesto internazionale. In ogni caso, il messaggio è chiaro: l’Occidente non è più l’arbitro morale né il mediatore privilegiato sulla scena internazionale.
Nuove alleanze, vecchie logiche di potere
L’uscita dalla Corte Penale Internazionale non è un gesto isolato, ma si inserisce in un riallineamento geopolitico. Negli ultimi due anni, i Paesi dell’AES hanno progressivamente espulso le truppe francesi, rifiutato la cooperazione con l’Unione Europea e rafforzato i legami con la Russia di Vladimir Putin, contro cui l’ICC ha emesso un mandato d’arresto nel 2023.[5] Che sia l’inizio di una nuova dipendenza da Mosca, che usa il sostegno militare e mediatico come strumento di soft power e di influenza strategica nella regione?
Il ritiro dall’ICC può quindi essere concepito come parte di un disegno multipolare, in cui il diritto internazionale diventa terreno di competizione tra potenze e la giustizia si intreccia con la geopolitica.
Le reazioni internazionali e il rischio di un effetto domino
L’Unione Africana ha espresso “comprensione” per le ragioni adottate, mentre ONU, Unione Europea e ONG internazionali hanno denunciato il rischio di impunità diffusa per crimini di guerra. Nel frattempo, alcuni esperti temono un effetto domino: se altri Stati africani dovessero seguire l’esempio di Mali, Burkina Faso e Niger, l’intera legittimità dell’ICC sarebbe messa in discussione, sia a livello domestico sia a livello internazionale. Sul piano più pratico, l’uscita dei tre Paesi indebolisce anche la capacità della Corte di indagare sui crimini commessi nel Sahel, dove la cooperazione giudiziaria era già fragile. Si crea così un vuoto normativo che rischia di tradursi in un vuoto di tutela per le vittime.
In definitiva, la mossa del Sahel rappresenta un atto di sfida al sistema multilaterale costruito nel dopoguerra, fondato su regole universali e tribunali internazionali. Questa reazione potrebbe però tradursi in rischio di isolamento politico e marginalizzazione diplomatica. La vera domanda è se la giustizia internazionale possa davvero essere universale in un mondo sempre più multipolare e frammentato. L’ICC, per non diventare un simbolo dell’ordine occidentale in declino, dovrà forse riformarsi, aprendo un dialogo reale con i Paesi africani.
[1] Sekulich, H.; Three West African countries to quit International Criminal Court; BBC; 2025; https://www.bbc.com/news/articles/czjvp0pr3eko.
[2] Il Post; Il Burkina Faso, il Mali e il Niger hanno annunciato che lasceranno la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale; 2024; https://www.ilpost.it/2024/01/28/burkina-faso-mali-niger-ecowas/.
[3] Fruganti, L.; Nord Africa-Sahel: allineamenti e rivalità; Istituto per gli Studi di Politica Internazionale; 2025; https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/nord-africa-sahel-allineamenti-e-rivalita-214315.
[4] Africa Center for Strategic Studies; Africa Surpasses 150,000 Deaths Linked to Militant Islamist Groups in Past Decade; 2025; https://africacenter.org/spotlight/en-2025-mig-10-year/https:/africacenter.org/spotlight/en-2025-mig-10-year/.
[5] Il Post; La Corte penale internazionale ha emesso un mandato d’arresto per Putin; 2023; https://www.ilpost.it/2023/03/17/corte-penale-internazionale-mandato-arresto-putin/.

Laureata magistrale con il massimo dei voti in Scienze Politiche, Economiche e Sociali con una tesi comparata sulle politiche di affirmative action negli Stati Uniti e in India. Ha svolto un tirocinio presso il Consolato Generale d’Italia a Boston e attualmente frequenta il Master della Fondazione Italia USA in Leadership per le Relazioni Internazionali e il Made in Italy. Appassionata di politiche migratorie, uguaglianza socioeconomica e parità di genere

