Dalla guerra in Kosovo alla ristrutturazione di Xi Kinping
Ciò che oggi sappiamo sulla nascita dei servizi segreti cinesi è dovuto in gran parte agli archivi rilasciati dai russi e alle memorie di ex agenti operativi, in particolare di coloro che, divenuti oppositori del comunismo, hanno raccontato la loro esperienza; molto più ardua, invece, è la raccolta di dati dalle fonti ufficiali cinesi, poiché a Pechino permane ancora una forte reticenza ad ammettere quanto i propri apparati di intelligence siano stati profondamente debitori nei confronti dell’Unione Sovietica[1]. Ammettere la dipendenza storica equivarrebbe a riconoscere una fonte straniera di know-how che il Partito preferisce presentare come autoctona, rafforzando così la narrativa dell’autonomia strategica che giustifica l’attuale politica estera della Cina. Questa riluttanza segnala sia un problema di immagine storica sia un’attuale necessità di legittimità politica.
Origini e sviluppo dell’apparato di intelligence
Prima di affrontare nello specifico l’intelligence militare dell’Impero di Mezzo, è opportuno ripercorrere le origini delle agenzie di sicurezza della Repubblica Popolare Cinese: nell’ottobre del 1949 venne istituito il Ministero della Pubblica Sicurezza, il Gonganbu, cui furono affidati compiti di ordine interno, di polizia e di controspionaggio; lo stesso ministero fu anche responsabile della rete dei laogai, i famigerati campi di rieducazione attraverso il lavoro, concepiti fin dalla fondazione dello Stato e ufficialmente aboliti soltanto nel 2013. All’indomani della proclamazione della Repubblica Popolare, mentre il Gonganbu si occupava della repressione degli elementi controrivoluzionari, la Cina si trovava priva di un vero e proprio servizio di Stato destinato alla raccolta di informazioni all’estero, a differenza di quanto accadeva in altri Paesi socialisti; per colmare tale vuoto, il 6 giugno 1983 il primo ministro Zhao Ziyang annunciò la nascita del Ministero della Sicurezza dello Stato, il Guoanbu, ispirato nella struttura al KGB ma con dimensioni ridotte, destinato ad assumere funzioni e compiti di intelligence estera e controspionaggio: esso nacque dalla fusione del Diaochabu, un embrione di spionaggio che già dagli anni Cinquanta operava presso le ambasciate cinesi attraverso uffici di investigazione e ricerca, con un gruppo di funzionari del Gonganbu esperti di controspionaggio; il nuovo Servizio venne organizzato in diciassette Uffici, ciascuno con specifiche attribuzioni, e alcune fonti sostengono persino l’esistenza di un diciottesimo Ufficio dedicato esclusivamente all’intelligence contro gli Stati Uniti[2]. La struttura a più uffici e la possibile istituzione di un’unità specifica per gli Stati Uniti indicano un approccio selettivo e mirato, segno che Pechino ha da tempo identificato Washington come avversario strategico primario e ha strutturato apparati specialistici per contenerne l’influenza e contrastarne le capacità informative. Oltre a ciò, il Guoanbu controllava decine di società, scuole, istituti di ricerca e ospedali direttamente affiliati, utilizzati tanto per la sicurezza interna quanto per le operazioni all’estero; gli agenti operavano sotto coperture diversificate: uomini d’affari al servizio di imprese statali, funzionari di ambasciata o, più frequentemente, studenti specializzandi. Ex membri del Servizio hanno raccontato che, al momento della creazione, ogni agente doveva conoscere almeno due lingue straniere ed essere instancabile nella ricerca di informazioni, ma che, almeno inizialmente, il compito principale era vigilare sui diplomatici cinesi sospettati di deviazioni ideologiche; le risorse erano però scarse: pochi mezzi, poche apparecchiature, nessun aereo; per lungo tempo, dunque, il Gonganbu conservò maggiore prestigio, ma col passare degli anni il Guoanbu crebbe e si rafforzò, soprattutto grazie alla visione di Deng Xiaoping, che introdusse il concetto dei “pesci in acque profonde”, ossia migliaia di agenti nascosti nei più diversi ambienti sociali, culturali, scientifici, economici e militari delle potenze rivali[3].
La metafora dei «pesci in acque profonde» definisce una strategia d’infiltrazione profonda e prolungata, che privilegia la penetrazione sistemica e il raccolto di informazioni a lungo termine rispetto alle operazioni spettacolari; tale approccio è coerente con la strategia più ampia di acquisizione tecnologica e di influenza commerciale che la Cina ha perseguito negli ultimi decenni. Entrambi i servizi, Gonganbu e Guoanbu, dipendono direttamente dal Consiglio di Stato e, per esso, dal Presidente della Repubblica Popolare Cinese; in patria si spartiscono il controllo dei grandi hotel di Pechino e delle altre città strategiche per il commercio e gli affari internazionali, con l’obiettivo di spiare agevolmente viaggiatori e investitori stranieri, e alle tradizionali tecniche di microfonazione si affianca anche la celebre “trappola rosa”, nota in cinese come meiren ji, lo stratagemma della bellezza. Il ricorso a strutture civili (hotel, istituti, scuole) e a metodi di influenza personale mostra la complementarità tra intelligence hard e soft; il Guoanbu non è soltanto raccolta di dati sensibili, ma uno strumento di pressione e persuasione che agisce sulle relazioni economiche e culturali internazionali. La svolta per l’intelligence militare cinese giunse con la guerra del Kosovo: dopo la disgregazione della Jugoslavia, i rapporti tra il Guoanbu e i servizi serbi si intensificarono, specie in seguito alla visita a Pechino nel 1997 di Slobodan Milošević e di Jovica Stanišić, capo della Sluzba Drzavne Bezbednosti; il bombardamento, avvenuto “per errore”, dell’ambasciata cinese a Belgrado colpì anche l’ufficio del colonnello Ren Baokai, ufficiale di collegamento con l’esercito serbo, che rimase gravemente ferito, e intercettazioni condotte tramite il sistema Echelon rivelarono che quella sezione dell’edificio ospitava un’importante centrale di comunicazioni utilizzata dallo stesso esercito serbo. Secondo un rapporto della Defence Intelligence Agency, al personale dell’ambasciata fu ordinato di recuperare i frammenti di missili tra le macerie e di inviarli in Cina con un volo charter, in quella che può essere considerata un’operazione da manuale di technical intelligence; per la leadership di Pechino fu evidente che le potenze occidentali non erano più disposte a sacrificare vite umane sul campo, ma combattevano sempre più a distanza, facendo ricorso a tecnologie sofisticate, e ciò spinse i cinesi a trarre vantaggio da quella che consideravano la debolezza dell’avversario, aprendo nuove frontiere per l’impiego dell’intelligence militare.
L’EPL-2 e le riforme di Xi Jinping
Il conflitto del Kosovo segnò così l’ascesa del Secondo Dipartimento dell’Esercito Popolare di Liberazione, l’EPL-2, incaricato delle operazioni di intelligence militare: inizialmente modellato sul GRU sovietico, esso si organizzò poi intorno agli addetti militari presenti nelle ambasciate, i quali raccoglievano informazioni attraverso l’OSINT e i contatti diretti con ufficiali stranieri; per decenni l’EPL-2 rimase il cuore pulsante della raccolta informativa militare cinese, articolato in numerosi uffici e settori e affiancato da due importanti think tanks — il China Institute for International Strategic Studies (CIISS), con compiti di ricerca e consulenza strategica, e la China Foundation for International Strategic Studies (CFISS), più orientata allo scambio di informazioni e ai contatti con l’estero. L’esistenza e il ruolo di questi think tank mostrano come la Cina integri capacità analitiche accademiche e canali informali nello spettro dell’intelligence, normalizzando il confine tra diplomazia pubblica e raccolta informativa; tali istituzioni fungono da ponte per la proiezione di influenza e per l’acquisizione di know-how tecnico e strategico[4]. La grande riforma promossa da Xi Jinping nel 2015 segnò un’ulteriore svolta: l’EPL-2 venne declassato da Dipartimento a Ufficio Intelligence del Dipartimento dello Stato Maggiore Interforze; pur mantenendo intatta la sua struttura interna, la catena di comando venne resa più rigida, con un controllo diretto della Commissione Militare Centrale e del Dipartimento del Lavoro Politico. Ne emerse un sistema duale, diviso formalmente dal Governo e la parte militare dal Partito, ma poiché in Cina il Governo è esso stesso subordinato al Partito Comunista, il vertice ultimo dell’intero apparato di intelligence coincide con la figura del Presidente della Repubblica Popolare Cinese, garante e dominus assoluto dell’impianto di sicurezza nazionale. La riforma è un esempio di centralizzazione del potere che riduce le autonomie interne all’apparato e rafforza l’unicità decisionale attorno alla leadership; ciò aumenta l’efficacia operativa in tempi di crisi ma riduce anche la pluralità di opinioni professionali, con possibili effetti sulla capacità di autocritica[5].
Valutazione prospettica
Alla luce di questa evoluzione storica e strutturale, la Cina appare oggi dotata di un sistema di intelligence integrato che coniuga modalità tradizionali di spionaggio umano, capacità tecnologiche in rapido sviluppo e strumenti di influenza civili; sul piano geopolitico questo paradigma ha tre implicazioni rilevanti. Primo, la sinergia tra intelligence economica e militare rende Pechino più abile nel perseguire una strategia di lungo periodo volta all’acquisizione di vantaggi competitivi senza ricorrere necessariamente a confronto militare aperto: il furto o l’acquisizione mirata di tecnologie critiche, l’infiltrazione di reti scientifiche e la penetrazione in settori strategici rafforzano simultaneamente la posizione economica e quella difensiva della Cina. Secondo, la diretta subordinazione degli apparati al vertice politico garantisce all’Esecutivo cinese strumenti rapidi ed efficaci di proiezione di potere, ma aumenta la politicizzazione dell’intelligence, con il rischio che le analisi siano orientate da priorità politiche a breve termine piuttosto che da valutazioni strategiche pluralistiche. Terzo, il consolidamento di unità specializzate e di cover civili diffuse estende la competizione sino-occidentale anche in ambiti non convenzionali — accademico, accademico-scientifico, commerciale e culturale — trasformando il campo della competizione strategica in una sfera totale in cui la distinzione tra sicurezza economica e militare è sempre più labile. In prospettiva immediata, il confronto con Stati Uniti ed Europa probabilmente seguirà questa doppia linea: da un lato, incremento delle contromisure difensive e normative da parte dei partner occidentali (protezione delle supply chain, controllo sugli investimenti, regolazioni della ricerca sensibile); dall’altro, crescita della competizione per il consenso internazionale e per l’accesso a tecnologie critiche[6]. Per l’Italia e per l’Europa ciò significa predisporre strumenti di resilienza che coniughino sicurezza, tutela della ricerca e relazioni economiche selettive: non si tratta di isolarsi, ma di saper gestire la dipendenza tecnologica e gli spazi di vulnerabilità strategica. Concludendo, la storia e la riforma degli apparati di intelligence cinesi tracciano il profilo di un Paese che ha scelto una strada di potenziamento sistemico — integrando HUMINT, TECHINT e leva civile — capace di proiettare influenza su scala globale; leggere questa trasformazione con occhio geopolitico significa interpretarla non come mero rafforzamento di capacità operative, ma come componente strutturale della strategia nazionale cinese per ridefinire gli equilibri di potere nel XXI secolo.
[1] Andrew, C. (2018). The Secret World: A History of Intelligence. Yale University Press.
[2] Godement, F. (2013). Contemporary China: Between Mao and Market. Rowman & Littlefield.
[3] Joske, A. (2022). Spies and Lies: How China’s Greatest Covert Operations Fooled the World. Hardie Grant Books.
[4] Scobell, A. (2020). China’s Grand Strategy: Trends, Trajectories, and Long-Term Competition. RAND Corporation.
[5] Friedrichs, J. (2019). China’s Quest for Global Dominance: Strategic and Intelligence Perspectives. Routledge.
[6] Ibidem

Laureato in Scienze Politiche, attualmente iscritto alla laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso la LUISS. Ha approfondito sicurezza economica, geopolitica e intelligence attraverso un Master presso la SIOI. Il suo percorso accademico è stato arricchito da un periodo di studi in Finlandia, dove ha approfondito lo scenario delle crisi internazionali e delle dinamiche di sicurezza, acquisendo una prospettiva globale sulle sfide geopolitiche contemporanee. Appassionato di geopolitica, diplomazia e politiche di sicurezza internazionale.