Introduzione
Quando la shari’a entra nella Costituzione, non modella soltanto le leggi, ma ridisegna confini di potere, identità nazionali e l’intero equilibrio geopolitico del mondo musulmano. Un coro di voci che invocano la shari’a nelle piazze di Teheran o di Tunisi può preannunciare esiti politici diversi. L’intersezione tra la legge islamica e il potere statale – il costituzionalismo islamico – è oggi cruciale per comprendere conflitti e alleanze che partono dal Nord Africa e che arrivano in Medio Oriente. La centralità del tema emerge quando, ripercorrendo le orme della nuova Costituzione tunisina del 2014, si può intuire come l’Islam sia sì una religione di Stato, ma al contempo una guida che coesiste con la sovranità popolare.[1] Differentemente, la Repubblica Islamica dell’Iran (il cui solo nome lascia immaginare la trasversalità della religione nei vari strati della costituzione) ha utilizzato, sin dal 1979, il proprio testo costituzionale per legittimare un ordine teocratico rivoluzionario e antagonistico verso l’Occidente, spingendosi fino all’esportazione della rivoluzione “in patria e all’estero”.[2] Alla luce di questi due esempi, e domandandosi come il posizionamento costituzionale della shari’a influisca sulle dinamiche geopolitiche dei paesi a maggioranza musulmana, è verosimile ricostruire alcune – fra le numerose – motivazioni che legano i conflitti odierni. Al fine di rispondere a tale domanda è necessario non solo esaminare le basi teorico-giuridiche del costituzionalismo islamico, ma soprattutto i meccanismi e il grado di integrazione della legge religiosa negli ordinamenti moderni. Analizzando dapprima le fonti del diritto islamico, nonché gli strumenti impiegati per incorporare la shari’a nei testi costituzionali, e attraverso due casi studio diametralmente opposti, sarà possibile mettere in luce le ricadute di questi modelli sulla geopolitica contemporanea. Infine, nonostante esista uno spettro di sfumature innumerevoli che colorano i diversi testi costituzionali, questa analisi comparata troverà fondamento in due traiettorie di governance agli antipodi, dimostrando come la shari’a – intesa nella sua accezione più giuridica – sia un fattore che determina sia il rapporto tra lo Stato e i cittadini, così come le relazioni internazionali che gli Stati intrattengono.
Dalla Rivelazione alla Costituzione: l’evoluzione teorica della shari’a nel diritto moderno
Con l’espressione “costituzionalismo islamico” ci si riferisce alla teoria e alla prassi che incorporano i principi della legge islamica (la shari’a) nell’architettura dello Stato moderno, vincolando il diritto positivo ai precetti religiosi.[3] Differentemente dal costituzionalismo “occidentale” – fondato sulla separazione dei poteri, il governo limitato e la laicità delle istituzioni – esso presenta una caratteristica peculiare di attribuire valore giuridico e costituzionale a norme derivanti dalla religione islamica. Tale definizione pone immediatamente una tensione teorica, creando correnti di pensiero contrastanti riguardo la possibile coesistenza dei concetti della shari’a (come la sovranità divina e gli obblighi religiosi) con nozioni moderne di diritti umani, democrazia e rule of law.[4]
La legge islamica di origine divina si fonda su fonti classiche ben definite. Prima fra tutte il Corano, il libro sacro che per i musulmani contiene la rivelazione di Allah trasmessa al Profeta Muhammad. Segue la Sunna, ossia l’insieme degli esempi e detti del Profeta poi desunti dagli hadith (traducibile come tradizioni orali successivamente messe per iscritto).[5] Accanto a queste fonti primarie si collocano il consenso della comunità religiosa (ijmā’) – dapprima inteso come accordo tra Compagni del Profeta e poi evoluto nel consenso dei giuristi (‘ulamā’) – e il ragionamento analogico (qiyās), che permette di estendere principi noti a casi non disciplinati, ove manchi un testo sacro applicabile.[6] Partendo da queste basi, sin dai primi secoli dell’Islam i giurisperiti musulmani si sono dedicati a uno sforzo interpretativo (ijtihād) non indifferente al fine di derivare norme operative delle fonti. Il risultato è il fiqh – la comprensione – ovvero la giurisprudenza islamica intesa come corpo di opinioni e dottrine legali umane.[7] L’esegetica di tale attività produsse molteplici scuole d’opinione – tra le più celebri ricordiamo sicuramente quella hanafita, malikita, shafi’ita e hanbalita – riflettendo la pluralità intrinseca dell’interpretazione della shari’a.[8]
È importante notare che in origine la legge islamica conviveva con un certo pluralismo ed era sviluppata in ambito quasi esclusivamente religioso, senza un apparato statale centrale che la imponesse uniformemente.[9] Indubbiamente, l’arrivo dell’era coloniale e l’importazione dei modelli giuridici occidentali segnarono uno spartiacque storico per il mondo musulmano.[10] Di fatto, le potenze europee, dominando gran parte dei territori islamici tra il XIX e XX secolo, introdussero il concetto di Stato-nazione con confini definiti, cittadinanza uniforme e legislazione codificata, scardinando l’ideale tradizionale di un’unica comunità islamica (ummah) sovranazionale e con essa anche il conseguente pluralismo giuridico che ne faceva parte. Il concetto di “codificazione”, spesso promosso anche da élite locali modernizzatrici – costrinse i giuristi musulmani a conformare l’inquadramento della shari’a a categorie giuridiche europee.[11] Un esempio chiaro di come l’assenza di un antecedente islamico per concetti come la sovranità statale o il parlamento abbia contribuito alla creazione di nuove terminologie giuridiche è sicuramente il concetto di “Stato”.[12] La parola araba dawla, che originariamente indicava la dinastia regnante di una regione, venne utilizzata per indicare quello che nel mondo occidentale corrisponde a uno “Stato”. Dunque, la codificazione sulla base del modello occidentale sfociò in una cristallizzazione della shari’a, che da quel momento in poi sarebbe corrisposta a un unico fiqh prescelto dallo Stato, fondendola con il diritto civile e instaurando dei veri e propri dogmi religiosi. Poiché la codificazione eliminò l’interpretazione dei precetti religiosi nella sua accezione più tradizionale, ovvero il rapporto diretto e personale che ogni credente aveva con la rivelazione, per far fronte alla necessità di orientare l’interpretazione in un’unica direzione, furono istituiti dei veri e propri tribunali statali della shari’a.
Strumenti costituzionali di incorporazione della shari’a, cosa succede quando la Fede incontra la Carta?
Lo sfondo religioso, storico e teorico trova applicazione in strumenti giuridici concreti che molti ordinamenti contemporanei a maggioranza islamica menzionano esplicitamente nelle loro “Carte Fondamentali”: ciò avviene tipicamente tramite clausole costituzionali che definiscono lo status della shari’a nell’ordinamento.[13] Le formule più comuni sono solitamente due e spesso vengono utilizzate in maniera complementare.
La prima è la clausola di supremazia islamica. La costituzione proclama la shari’a (o i suoi principi) come fonte principale o superiore della legislazione. In alcuni casi l’Islam è dichiarato religione id Stato e si specifica che nessuna legge può contraddirne i principi, equiparando di fatto la shari’a ai parametri costituzionali.[14] Questa formula – proposta già negli anni ’40 dal giurista egiziano Abd al Razzāq al-Sanhūrī – è comparsa in numerose costituzioni arabe a partire dagli anni ’70. Emblematico è l’Articolo 2 della Costituzione egiziana, che dal 1971 afferma che “i principi della shari’a islamica sono la fonte principale della legislazione, vincolando il legislatore a non discostarsi dai vincoli islamici di fondo, seppure lasciando margini interpretativi su quali siano tali “principi”.[15]
La seconda è la clausola di repugnanza. La costituzione vieta espressamente l’adozione di leggi contrarie ai precetti dell’Islam, configurando un vero e proprio controllo d’islamicità sugli atti legislativi. Si tratta di una formula più stringente, poiché qualsiasi normativa incompatibile con la legge islamica ipso iure non deve avere validità.[16] Questa clausola risulta evidente osservando la costituzione del Pakistan, la cui Carta prevedeva già nel 1956 che “nessuna legge sarà emanata in contrasto con i comandamenti dell’Islam tratti dal Sacro Corano e dalla Sunna”.[17] Questo principio è stato ripreso e rafforzato nella Costituzione pakistana del 1973 – che seppur emendata risulta tutt’ora in vigore – il cui articolo 227 stabilisce che tutte le leggi devono essere portate in conformità ai precetti islamici e che è fatto divieto di promulgare leggi repugnanti a tali precetti.[18]
L’adozione di clausole di questo spessore ha implicazioni rilevanti sull’assetto istituzionale. Innanzitutto, si pone il problema di chi sia competente a verificare la conformità delle leggi alla shari’a. Due modelli emergono: alcuni paesi affidano tale funzione alle Corti costituzionali ordinarie, altre istituiscono organi ad hoc come Corti islamiche o Consigli di esperti religiosi.[19] Ad esempio, in Egitto – dove vige la clausola di supremazia islamica – è la Corte costituzionale Suprema (composta da giudici laici) che dal 1980 esercita il controllo sul rispetto dell’articolo 2.[20] La giurisprudenza egiziana in materia è stata evolutiva; di fatto, con una sentenza del 1985 la Corte dichiarò che l’introduzione della shari’a come fonte primaria non aveva effetto retroattivo sulle leggi previgenti.[21] Essa si rivelò perfettamente in linea con la successiva decisione del 1993, dove la Corte affermò il proprio potere discrezionale nell’interpretare i principi indeterminanti della shari’a, integrandoli con altri valori costituzionali, e statuì che il legislatore non può violare i principi fondamentali e immutabili della legge islamica.[22] Tali principi immutabili costituirebbero il nucleo eterno della shari’a, creando una vera e propria dottrina giurisprudenziale che ha permesso alla Corte egiziana di legittimare leggi moderne (ad esempio sul divieto del niqāb nelle scuole, giudicato non in contrasto con l’Islam) sostenendo che l’Islam impone la modestia ma non ne specifica l’abbigliamento.
Un ulteriore meccanismo di integrazione “parziale” – che va ben oltre il sistema delle Corti religiose – consiste nel doppio regime legislativo. Molti stati secolari o misti hanno conservato la shari’a come fonte del diritto privato e familiare, mantenendo però il diritto civile di derivazione occidentale in materia penale, commerciale e costituzionale.[23] Ad esempio, Marocco, Tunisia, Giordania ed Indonesia hanno Codici di statuto personale (matrimonio, divorzio, eredità) ispirati al fiqh islamico, applicati ai cittadini musulmani, mentre per i non musulmani vigono norme proprie o margini di autonomia. In assenza di una clausola generale di ripugnanza, l’influenza islamica è così confinata a settori specifici, sollevando, parallelamente, questioni di uguaglianza e diritti.[24] Di fatto, spesso i principi dell’Islam confliggono con i principi di non discriminazione di stampo liberale. Non a caso, il principio di eguaglianza formale è sancito in quasi tutte le costituzioni di paesi islamici moderni, ma la sua applicazione incontra limiti nell’eccezione religiosa: de iure uomini e donne sono “uguali davanti alla legge”, ma de facto alcune leggi basate sulla shari’a introducono trattamenti differenziati in base al genere o alla fede.
In sintesi, la profondità con cui la shari’a è incorporata in una costituzione influenza direttamente sia la configurazione interna dello Stato sia il suo posizionamento rispetto ai principi democratici e ai diritti umani internazionali. La disamina di due casi studio contrapposti permetterà di illustrare concretamente come la posizione costituzionale della shari’a si traduca in differenti assetti di potere e come questi si riflettano sul piano ideologico.
Il volto pragmatico dell’Islam, la Tunisia tra i modelli costituzionali che generano geopolitiche di apertura
Tra i paesi a maggioranza musulmana, la Tunisia rappresenta uno dei modelli più avanzati di integrazione “moderata” della shari’a nell’ordinamento. Risalendo agli anni dell’indipendenza, e più precisamente nel 1956, la Tunisia ha perseguito una via peculiare nel mondo arabo-islamico. Pur dichiarando l’Islam come religione nazionale, lo Stato tunisino – sotto la leadership di Habib Bourguiba e poi di Zine El-Abidine Ben Ali – adottò un approccio fortemente secolarizzatore. La Costituzione del 1959 sanciva all’articolo 1 che “la Tunisia è uno stato la cui religione è l’Islam”, ma al tempo stesso fondava la repubblica sui principi della sovranità popolare (articolo 3) e garantiva libertà di culto (articolo 5).[25] Essenzialmente, per decenni la legge islamica ebbe un ruolo marginale: emblematicamente, già nel 1956 fu promulgato un Codice di Statuto Personale che aboliva la poligamia, vietava il ripudio unilaterale e migliorava i diritti delle donne: un insieme di riforme rivoluzionarie giustificate in nome della “modernità, nonostante la loro dubbia conformità al fiqh tradizionale. L’Islam fu dunque relegato a religione di Stato dal valore simbolico-identitario, mentre la legislazione era in linea con i modelli francesi.
Dopo la Rivoluzione del 2011 e la caduta del regime di Ben Ali, la Tunisia ha affrontato il nodo della propria identità nella nuova Costituzione del 2014, riuscendo a trovare un equilibrio costituzionale che concilia la tradizione islamica con i principi democratici. Sul piano formale, la Costituzione del 2014 riprende la formula storica, il cui articolo 1 dichiara che “la Tunisia è uno Stato libero, indipendente, sovrano; la sua religione è l’Islam, la sua lingua l’arabo e il suo regime è repubblicano”.[26] Tuttavia, accanto a questo primo articolo, il secondo afferma che la Tunisia è uno “Stato civile” fondato sulla cittadinanza, la volontà popolare e il primato della legge.[27] Analogamente, il sesto garantisce la libertà di coscienza, di credo e di pratiche religiose, vietando allo stesso tempo il tafkīr (accusa di apostasia) e l’incitamento all’odio. La shari’a, a differenza di altri paesi, non è mai menzionata come fonte giuridica, l’Islam è dunque l’identità dello Stato, ma non il parametro vincolante di validità delle leggi.[28]
Tale assetto ha importanti implicazioni geopolitiche sia in termini di politica interna quanto di politica estera. Internamente, la moderata integrazione della shari’a ha favorito un clima di relativo pluralismo e stabilità sociale (quantomeno nel decennio post-rivoluzionario). Le istituzioni tunisine funzionano su base di civil-law; e seppur alcune norme di origine musulmana permangano nel diritto di famiglia, l’assenza di vincoli costituzionali alla legislazione laica ha concesso importanti riforme, prima fra tutte il significativo dibattito sulla parità di genere nell’eredità. La svolta avvenne nel 2018, quando una commissione governativa propose di abrogare la regola coranica che assegna al figlio maschio una quota doppia rispetto alla femmina, giudicandola iniqua. La proposta spalleggiata dall’allora Presidente Beji Caid Essebsi, sollevò l’opposizione dell’ala più tradizionalista della politica tunisina, che non fu sufficiente a far indietreggiare la volontà popolare che invocava i principi costituzionali di eguaglianza professati dall’Articolo 2 della Costituzione. La possibilità di utilizzare la Costituzione a vantaggio dei principi democratici è resa possibile proprio dall’aver collocato l’Islam nella gerarchia delle fonti del diritto in un livello giuridico identitario e valoriale, non normativo.[29]
Sul piano geopolitico esterno, la Tunisia si è posizionata come partner affidabile sia per il mondo occidentale sia nel contesto regionale, consolidando istituzioni democratiche e uno Stato di diritto che ne hanno permesso uno sviluppo economico e sociale. La Costituzione tunisina, riconoscendo contemporaneamente Islam e diritti umani universali, ha facilitato l’integrazione del paese nei consessi globali, aderendo convintamente a trattati come il Patto ONU sui diritti civili e politici e alla CEDAW (sebbene con riserve minori) e risultando tra i paesi musulmani quello più allineato agli standard internazionali di libertà religiosa e uguaglianza di genere. Inoltre, già a partire dal 2011, la Tunisia ha mantenuto una politica estera moderata, privilegiando i rapporti economico-diplomatici con l’Europa e gli Stati Uniti e aderendo alle iniziative regionali senza posizioni ideologiche estreme. Il semplice fatto di presentarsi come repubblica civile con patrimonio islamico e non come “stato islamico” attivo in senso ideologico consente alla nazione di mediare tra paesi arabi “occidentati” e paesi arabi più islamisti, avendo le credenziali per dialogare con entrambi.
Va riconosciuto che la Tunisia è un caso particolare, con una forte tradizione riformista sin dall’epoca del Mufti al-Tahar Haddad e di Bourguiba. Differentemente, altri paesi musulmani con integrazione moderata mostrano varianti diverse, come nel caso del Marocco che è una monarchia dove la Costituzione (rivisitata nel 2011) afferma che “l’Islam è la religione di Stato, ma garantisce a tutti il libero esercizio dei culti”.[30] Il re marocchino detiene il titolo di “Comandante dei Credenti” e funge da garante sia dell’ortodossia islamica sia della tolleranza. A spiegarlo è proprio l’articolo 41, che lo investe dell’autorità di vigilare sul rispetto dell’Islam ed esserne custode, presiedendo il Consiglio superiore degli ulamā ed è incaricato di emettere pareri sulle questioni religiose.[31] In ciò, il Marocco integra la shari’a mantenendo il controllo politico: il monarca usa il proprio ruolo religioso per impedire derive estremiste e contemporaneamente assicurare protezione alle minoranze. Mantenere tale equilibrio ha consentito al Marocco di presentarsi sulla scena geopolitica come paese musulmano moderato e da interlocutore sia dell’Occidente che dell’Oriente, mantenendosi talvolta attivo nel dialogo religioso e nella cooperazione interstatale.
Infine, un ulteriore modello di integrazione limitata della shari’a nell’ordinamento costituzionale è sicuramente l’Indonesia, lo stato con la più vasta popolazione musulmana. L’Indonesia non dichiara una religione di Stato nella sua costituzione, aderendo ai principi del Pancasila (il credo nazionale che include la fede in unico Dio, ma senza specificare quale). La shari’a non ha dunque rango costituzionale, ma viene implementata in alcune aree: ad esempio nella provincia autonoma di Aceh, dove vige la legge islamica locale per la popolazione musulmana. A livello nazionale, alcune leggi riflettono i valori islamici, ma il sistema resta comunque laico nella struttura e pluralista nella religione (riconoscendo ufficialmente 6 religioni). L’Indonesia mostra dunque un terzo approccio rispetto alle due nazioni sopramenzionate, poiché de facto la maggioranza segue la shari’a nella vita personale, ma lo Stato mantiene neutralità confessionale, il che semplifica una politica estera non allineata sulle questioni religiose.
Tutti gli esempi finora descritti incarnano modelli dove la shari’a è integrata con misura nell’ordine costituzionale. Essa può essere citata come fonte di ispirazione etica o applicata in ambiti circoscritti, ma non domina l’intero sistema legale né monopolizza la sovranità. Tali sistemi presentano un livello di laicità relativa: non sono completamente secolari come la Turchia kemalista (che bandiva ogni ruolo pubblico della religione), ma neppure teocrazie. Il risultato, dal punto di vista geopolitico, è spesso una maggiore flessibilità: questi Stati mantengono la propria identità islamica, ma riescono ad aderire a valori politici universali e a costruire relazioni diplomatiche stabili sia con il mondo islamico sia con potenze non musulmane.
Teocrazie e potere: la geopolitica dei Paesi dove la religione governa
In una dimensione diametralmente opposta a quella dei paesi analizzati fino a questo punto, si colloca l’Iran, che offre un caso paradigmatico di integrazione predominante della shari’a nell’ordinamento nazionale. La rivoluzione del 1979 ha rovesciato la monarchia laica dello Sha Pahlavi e istituito una Repubblica Islamica basata sull’ideologia di velayat-e faqih (nientemeno che il governo del giureconsulto islamico) elaborata dall’Ayatollah Khomeini. La Costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran del 1979 (rivista nel 1989) incardina esplicitamente la sovranità nella religione; di fatto, l’Articolo 2 afferma che la Repubblica si fonda sulla fede nell’Unicità di Dio, nella missione profetica di Maometto, nella ghayb (escatologia sciita), nella giustizia divina e nell’autorità dei giureconsulti islamici competenti.[32] Tale concetto viene rafforzato dall’Articolo 4 che impone la conformità di qualsiasi forma e livello di regolamento ai criteri islamici, rendendola talvolta una clausola che ha efficacia trasversale; poiché ogni atto normativo o decisione politica deve essere conforme alla shari’a. In caso contrario l’atto va considerato nullo.[33] Al fine di garantire ciò, la Costituzione iraniana ha creato un particolare organo di controllo, il Consiglio dei Guardiani, composto da 12 membri di cui 6 ulamā – nominati dalla Guida Suprema – e 6 giuristi normali – nominati dal potere giudiziario. Questo consiglio ha il potere di veto sulle leggi approvate dal Parlamento (Assemblea Consultiva Islamica) per verificare qualora siano “incompatibili con i criteri dell’Islam o con la Costituzione”.[34] Effettuando questa revisione preventiva di ogni legge entro i dieci giorni seguenti alla sua approvazione parlamentare, il Consiglio gode di un’ampia discrezionalità nel determinare la conformità della norma e, se non lo dovesse essere, viene rinviata al Majiles per le necessarie modifiche.[35] Vale la pena ricordare che lo stesso Consiglio dei Guardiani ha la supervisione sul processo elettorale, valuta la qualificazione islamica dei candidati alle elezioni presidenziali, parlamentari e dell’Assemblea degli Esperti, potendo squalificare quelli “non idonei” ai principi della Repubblica Islamica.[36] Tali organi e fonti del diritto iraniano sono indispensabili – e sufficienti – per comprendere la fusione tra autorità religiosa e potere statale: la shari’a non è solo fonte d’ispirazione, ma è direttamente la norma delle norme, dove i chierici hanno un ruolo istituzionale chiave per farla prevalere.
Gli effetti interni di tale struttura si manifestano in vari modi. Sul piano dei diritti e delle libertà, la legislazione iraniana è fortemente improntata alla shari’a ja’farita (sciita duodecimana): ad esempio, il Codice penale Islamico iraniano prevede pene coraniche tradizionali, e la giurisprudenza dei tribunali si uniforma alle fatwā dell’establishment sciita conservatore.[37] La libertà religiosa è limitata (la costituzione riconosce solo le minoranze protette come cristiani, ebrei, zoroastriani), la condizione femminile è subordinata (la legge impone hijāb obbligatorio ed il loro valore testimoniale è ridotto rispetto a quello degli uomini) e il dissenso politico viene facilmente confuso con il dissenso religioso (poiché coincidono secondo la legge) ed è punito severamente.[38] I presupposti di un sistema autoritario sono esplicitati già nelle carte fondamentali, il tutto rafforzato dal solido connubio potere religioso e potere economico: le fondazioni religiose (Bonyad) e la Guardia Rivoluzionaria controllano ampie fette dell’economia nazionale, giustificando talora confische di beni privati o monopolio su settori strategici “in nome dell’interesse islamico”.[39] Questo risulta essere uno dei principali ostacoli dello sviluppo di una società civile autonoma e mantiene relazioni socioeconomiche di tipo rentier (l’Iran è ricco di risorse petrolifere, non dipende fiscalmente dai cittadini ma dalle rendite degli idrocarburi, il che storicamente riduce la pressione verso la rappresentanza democratica).[40]
Sul piano geopolitico, l’Iran rappresenta un caso unico di Stato musulmano con una costituzione marcatamente ideologica e rivoluzionaria in chiave islamica. Seppur possa sembrare marginale, l’Articolo 154 della Carta fondamentale è centrale nella proiezione esterna del paese. Esso stabilisce che la Repubblica Islamica considera la propria missione il sostegno alle lotte dei popoli oppressi, contro gli oppressori ovunque nel mondo, pur senza ingerenza negli affari interni altrui.[41] Questa clausola – rarissima nei testi costituzionali mondiali – di fatto legittima l’interventismo ideologico iraniano, ed effettivamente, dalla sua nascita, la Repubblica Islamica ha appoggiato attivamente movimenti considerati “oppressi”, come nei casi di Hezbollah in Libano, numerose milizie sciite in Iraq e Siria, Hamas in Palestina, il tutto nel nome dell’internazionalismo islamico antimperialista. Inoltre, l’ostilità verso le potenze occidentali, in primis gli Stati Uniti (“il Grande Satana” nella retorica khomeinista) e Israele, si è rivelata strategica, poiché l’Iran post 1979 si è posto come capofila del fronte di resistenza islamica globale contrapposto al blocco occidentale e ai regimi arabi considerati suoi “burattini”. Tale postura deriva in parte dall’ideologia rivoluzionaria sciita e in parte dal calcolo geopolitico di sfidare l’ordine regionale dominato dai rivali. Seppur coesistano diverse interpretazioni di questa direzione di politica estera, innegabile è il ruolo che la Costituzione iraniana (così formulata) come attore fondamentale dell’isolazionismo internazionale iraniano così come della creazione di un network transnazionale basato sulla comune ideologia islamista sciita.[42]
Inevitabile è il raffronto con un altro paese a forte integrazione islamica come il Pakistan, sebbene le dinamiche siano completamente diverse. Il Pakistan si definisce fin dal 1956 una “Repubblica Islamica” e incorpora la shari’a nella sua costituzione, più precisamente all’Articolo 227.[43] Nel corso della sua storia, specialmente sotto il regime militare di Zia-ul-Haq (anni 1980), si è assistito a un’ondata di islamizzazione legislativa, come l’introduzione di tribunali della shari’a e ordinanze penali islamiche che hanno plasmato la società pakistana. Geopoliticamente, il Pakistan ha giocato un ruolo chiave durante la Guerra fredda come alleato USA contro l’URSS in Afghanistan, mobilitando il fervore religioso per sostenere i mujahiddin antisovietici. Successivamente, nel corso degli anni ’90 e 2000, la sua identità di Stato Islamico (unica potenza nucleare del mondo musulmano) ha influenzato le sue alleanze: stretti legami con le monarchie del Golfo e la Turchia e il contrasto perenne con l’India (in quanto Stato hindu, il conflitto del Kashmir assume talora toni di jihād). Il caso pakistano dimostra come la presenza di forti organi islamici in Costituzione (come il caso del Consiglio Ideologico Islamico) e di partiti religiosi influenti possa indirizzare la politica estera e interna verso priorità identitarie, a volte a scapito di pragmatismo e sviluppo. Tuttavia, a differenza dell’Iran, il Pakistan non ha un clero unico dominante né una vocazione rivoluzionaria panislamica; la sua costituzione islamica convive con spinte contrastanti, di conseguenza la geopolitica pakistana è spesso oscillante tra cooperazione e islamismo (esempio lampante è l’alleanza con gli Stati Uniti nella War of Terror).[44]
Il caso dell’Iran, così come molti altri Stati con un forte predominio della shari’a, dimostra come un assetto istituzionale dichiaratamente islamico influisca profondamente sulle scelte geopolitiche: dall’adozione di posture antioccidentali, alla promozione transnazionale di dottrine religiose, fino all’allineamento con determinati blocchi di interesse. Nel loro complesso, questi paesi tendono a presentare tratti di autoritarismo interno (giustificato in nome della religione) e una minore aderenza a norme e istituzioni del diritto internazionale, specialmente in materia di diritti umani. D’altro canto, essi trovano sponde e alleanze alternative enfatizzando la comunanza religiosa: per esempio l’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC) è un foro dove paesi islamici conservatori fanno fronte comune per promuovere risoluzioni che riflettano i valori della shari’a. L’insieme di questi elementi vede delinearsi uno scenario in cui il costituzionalismo islamico “forte” genera blocchi geopolitici con logiche proprie, differenti da quelle degli Stati laici.
Conclusioni
La domanda iniziale (come il costituzionalismo islamico influenzi la geopolitica contemporanea nei paesi a maggioranza musulmana) trova risposta alla luce dell’analisi svolta : il grado e la forma in cui la shari’a è incorporata nelle costituzioni nazionali agiscono da fattore determinante delle dinamiche politiche interne ed esterne di tali paesi. Analizzando le Costituzioni di alcuni paesi del mondo musulmano – seppur in maniera ristretta – emergono alcuni punti fermi. In primo luogo, contrariamente a stereotipi semplificatori, esiste una pluralità di modelli di costituzionalismo nei paesi musulmani. Non vi è dunque un solo Stato Islamico, ma diversi modi di intendere il rapporto tra Islam e potere pubblico: dal modello civile con mero riferimento identitario (Tunisia) al modello teocratico con legge coranica sovrana (Iran), con varie sfumature intermedie. Questa pluralità riflette sia le differenti interpretazioni dottrinali della shari’a sia i diversi percorsi storico-politici (influenza coloniale, guerre, risorse economiche).
In secondo luogo, sul versante geopolitico, la collocazione costituzionale della legge islamica contribuisce a delineare l’orientamento internazionale di uno Stato. Gli Stati in cui la shari’a è criterio supremo spesso assumono una postura ideologica comune negli affari esteri, così come gli Stati islamici moderati, seppur nel senso opposto. Si delinea dunque una correlazione tra costituzionalismo islamico e modelli di allineamento: dove la Costituzione è impone obiettivi religiosi, lo Stato sarà meno incline a compromessi su temi simbolici e più propenso a leadership alternative; dove invece la Costituzione è laica o islamicamente flessibile, prevale la diplomazia di interesse, la partecipazione a organismi universali e la possibilità di fare da ponte culturale. Naturalmente, questa influenza non è assoluta – ma il quadro fornisce una sorta di “bussola ideologica” che orienta le scelte dei leader e i discorsi legittimanti delle politiche estere.
Alla luce di quanto individuato comparando analiticamente i paesi menzionati in precedenza. È possibile ricostruire un filo rosso che accomuna determinati modelli, le conseguenze geopolitiche ad essi collegati e le alleanze che ne derivano. La tabella che segue aiuta ne riassume le caratteristiche principali:
Tabella 1:
| Tipo di Modello Costituzionale | Effetti Interni | Effetti Geopolitici | Alleanze |
| Modello Islamico Moderato | |||
| Tunisia, Marocco, Indonesia | La shari’a ha ruolo simbolico o limitato (di solito nel diritto familiare). Le costituzioni privilegiano sovranità popolare, cittadinanza e libertà di coscienza. Permette riforme su genere, diritti civili e pluralismo. Il diritto statale non è vincolato rigidamente a norme religiose. | Produce sistemi più flessibili e adattabili. Questi Stati assumono una postura diplomatica cooperativa, non ideologizzata. Riescono a posizionarsi come “ponti” tra mondo occidentale e mondo arabo-musulmano. Mantenendo identità islamica ma non teocratica, evitano isolazionismi e conflittualità sistemiche. | Forte orientamento verso UE, USA, organismi multilaterali (ONU, CEDAW). Collaborazioni economiche e di sicurezza con potenze occidentali. Riconoscimento internazionale elevato come Stati moderati e affidabili. Mantengono capacità di dialogo con paesi islamici senza aderire a blocchi religiosi rigidi. |
| Modello Ibrido-Secolare con Shari’a Settoriale | |||
| Egitto, Giordania e parte del mondo arabo | Esistono clausole di supremazia ma interpretate da Corti laiche che limitano rigidità religiosa. La shari’a funge da parametro di ispirazione, non sempre vincolante. Coesistono elementi moderni e tradizionali, con periodici conflitti su diritti individuali e ruolo dei giudici religiosi. | La politica estera alterna pragmatismo e richiami identitari. In alcuni momenti lo Stato usa la shari’a per legittimare misure conservative; in altri privilegia cooperazione internazionale. Nessuna postura fortemente revisionista, ma possibili oscillazioni a seconda della leadership interna. | Collaborazioni con Occidente, ma anche alleanze tattiche con paesi del Golfo. Partecipazione selettiva a iniziative islamiche e convergenze occasionali con blocchi regionali arabi. Posizionamento geopolitico spesso ambiguo ma pragmatico. |
| Modello Islamico Forte, Teocratico | |||
| Iran | La shari’a è fonte assoluta: ogni legge deve conformarsi ai criteri islamici. Organi religiosi (Consiglio dei Guardiani) controllano legislazione ed elezioni. Diritti limitati; istituzioni ibride religiose-militari (Bonyad, Pasdaran) concentrano potere. Sistema autoritario con forte controllo ideologico. | Genera politica estera rivoluzionaria e antagonista verso USA, Israele e alleati occidentali. Legittima sostegno a gruppi armati considerati “oppressi” (Hezbollah, milizie sciite). Alimenta logica di blocchi e conflitti settari nel Medio Oriente. Favorisce isolamento internazionale ma anche resilienza attraverso reti ideologiche. | Parte del “fronte della resistenza” con Siria, Hezbollah, milizie sciite irachene. Rapporti strategici con Russia e Cina. Ruolo centrale nell’OIC su temi conservatori. Costruzione di un blocco transnazionale sciita. Nessuna integrazione profonda con istituzioni occidentali. |
| Modello Islamico Forte, non-teocratico, ma identitario | |||
| Pakistan | Forte presenza della shari’a (clausola di repugnanza). Tribunali islamici e pressioni dei partiti religiosi. Identità islamica usata per mobilitazione interna. Diritti civili oscillanti. Nessun clero unico dominante come in Iran, ma islamizzazione politica diffusa. | Geopolitica fluttuante: cooperazione militare con USA nella Guerra Fredda e War on Terror, ma anche sostegno a narrative islamiche nel conflitto con l’India (Kashmir). Islam come strumento strategico, non come progetto rivoluzionario. | Triplice orientamento: alleanza storica con USA, collaborazione strutturale con Cina, rapporti religiosi-politici con monarchie del Golfo. Leader del mondo islamico come potenza nucleare musulmana. |
La comparazione tra i diversi modelli di costituzionalismo islamico mostra che il grado di integrazione della shari’a non determina solo l’architettura interna dello Stato, ma orienta anche la sua proiezione internazionale. I sistemi moderati tendono verso cooperazione e stabilità, mentre quelli fortemente islamizzati sviluppano posture ideologiche, alleanze selettive e maggior conflittualità regionale. Ne emerge che la costituzionalizzazione della shari’a funziona come una vera e propria matrice geopolitica, capace di produrre traiettorie politiche divergenti pur all’interno di un comune riferimento religioso.
[1] Religious Freedom Institute, “References to Islam in the Constitutions of Modern Arab States.”
[2] Institute for Global Change, “Fundamentals of Iran’s Islamic Revolution.” https://institute.global/insights/geopolitics-and-security/fundamentals-irans-islamic-revolution
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] Clark B. Lombardi, State Law and Islamic Law: The Search for a Sufficient Theory of Islamic Law in Modern States (Cambridge: Cambridge University Press, 2006).
[6] Ibidem.
[7] Ibidem.
[8] Ibidem.
[9] Rainer Grote and Tilmann J. Röder, eds., Constitutionalism in Islamic Countries: Between Upheaval and Continuity (Oxford: Oxford University Press, 2011).
[10] Ibidem.
[11] Ibidem.
[12] Ibidem.
[13] Clark B. Lombardi, State Law and Islamic Law: The Search for a Sufficient Theory of Islamic Law in Modern States (Cambridge: Cambridge University Press, 2006).
[14] Religious Freedom Institute, “References to Islam in the Constitutions of Modern Arab States.” https://religiousfreedominstitute.org/references-to-islam-in-the-constitutions-of-modern-arab-states/#:~:text=Similarly%2C%20the%20reference%20in%20the,training%20of%20Islamic%20law%20judges
[15] Ibidem.
[16] Tom Ginsburg, “In August 1906,” University of Chicago Public Law and Legal Theory Working Paper No. 1919. https://chicagounbound.uchicago.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1919&context=public_law_and_legal_theory#:~:text=,In%20August%201906
[17] Constitute Project, “Pakistan’s Constitution 2018.” https://www.constituteproject.org/constitution/Pakistan_2018#:~:text=227,Holy%20Quran%20and%20Sunnah
[18] Ibidem.
[19] Islamic Law Blog, “Pakistan’s Federal Shariat Court and the Islamization of Prison Laws: Judgment of 2009.” https://islamiclaw.blog/2017/03/28/pakistans-federal-shariat-court-and-the-islamization-of-prison-laws-judgment-of-2009-continued-expansion-of-jurisdiction/#:~:text=Pakistan%27s%20Federal%20Shariat%20Court%20and,emphasis%20added%29
[20] Clark B. Lombardi, State Law and Islamic Law: The Search for a Sufficient Theory of Islamic Law in Modern States (Cambridge: Cambridge University Press, 2006).
[21] Ibidem.
[22] Ibidem.
[23] Clark B. Lombardi, State Law and Islamic Law: The Search for a Sufficient Theory of Islamic Law in Modern States (Cambridge: Cambridge University Press, 2006).
[24] Ibidem.
[25] Religious Freedom Institute, “References to Islam in the Constitutions of Modern Arab States.” https://religiousfreedominstitute.org/references-to-islam-in-the-constitutions-of-modern-arab-states/#:~:text=Article%201%20of%20the%201959,5%2C%20which%20provides%20that%20Tunisia
[26] Constitute Project, “Tunisia’s Constitution 2014.” https://www.constituteproject.org/constitution/Tunisia_2014#:~:text=Type%20of%20government%20envisioned%2C%20Official,or%20national%20languages%2C%20Official%20religion
[27] Ibidem.
[28] Ibidem.
[29] Reuters, “What’s in Tunisia’s New Constitution?” https://www.reuters.com/world/africa/whats-tunisias-new-constitution-2022-07-25/#:~:text=What%27s%20in%20Tunisia%27s%20new%20constitution%3F,one%20pledges%20to%20protect
[30] [30] Constitute Project, “Tunisia’s Constitution 2014.” https://www.constituteproject.org/constitution/Tunisia_2014#:~:text=Type%20of%20government%20envisioned%2C%20Official,or%20national%20languages%2C%20Official%20religion
[31] Ibidem.
[32] Arab News, “Policies and the Submission.” https://www.arabnews.com/node/1457836#:~:text=policies%20www,of%20and%20the%20submission
[33] Constitute Project, “Iran’s Constitution 1989.” https://www.constituteproject.org/constitution/Iran_1989#:~:text=Article%204
[34] Ibidem.
[35] Ibidem.
[36] Ibidem.
[37] Clark B. Lombardi, State Law and Islamic Law: The Search for a Sufficient Theory of Islamic Law in Modern States (Cambridge: Cambridge University Press, 2006).
[38] Ibidem.
[39] Institute for Global Change, “Ulema-State Alliance: Barrier to Democracy and Development in the Muslim World.” https://institute.global/insights/geopolitics-and-security/ulema-state-alliance-barrier-democracy-and-development-muslim-world
[40] Ibidem.
[41] Ibidem.
[42] Clark B. Lombardi, State Law and Islamic Law: The Search for a Sufficient Theory of Islamic Law in Modern States (Cambridge: Cambridge University Press, 2006).
[43] Constitute Project, “Pakistan’s Constitution 2018.” https://www.constituteproject.org/constitution/Pakistan_2018#:~:text=227,Holy%20Quran%20and%20Sunnah
[44] Clark B. Lombardi, State Law and Islamic Law: The Search for a Sufficient Theory of Islamic Law in Modern States (Cambridge: Cambridge University Press, 2006).

Laureato con lode in International Relations presso l’Università LUISS Guido Carli, ha maturato esperienze formative a Miami, Parigi e Madrid. Attualmente lavora come Associate nell’ufficio Institutional Affairs di Mundys. Parla fluentemente quattro lingue ed è orientato all’analisi geopolitica con focus sulla regione Europea ed Euroasiatica.

