La crisi politica in Francia: la sfiducia al governo Bayrou e le sue cause
La Francia è approdata in una nuova crisi politica dopo che, l’8 settembre 2025, l’Assemblea Nazionale ha negato la fiducia al governo di François Bayrou con 364 voti contrari e 194 favorevoli. È un evento di portata storica: per la prima volta nella Quinta Repubblica un governo è costretto alle dimissioni in seguito a un voto di sfiducia fallito. Questa volta è l’apice di una crisi in gestazione sin dalle elezioni legislative del 2022, quando la coalizione centrista del presidente Emmanuel Macron perse la maggioranza assoluta, rendendo ardua la governabilità del paese.
Negli anni successivi, il governo ha spesso fatto ricorso a strumenti costituzionali eccezionali per aggirare lo stallo parlamentare. Emblematico è stato l’uso ripetuto dell’articolo 49.3 della Costituzione,[1] che consente di far approvare leggi senza voto parlamentare salvo mozione di sfiducia: il Primo Ministro dell’epoca, Élisabeth Borne, vi fece ricorso per far passare la contestata riforma delle pensioni nel 2023, provocando proteste di massa e spaccature politiche.[2] L’abuso di questo strumento ha alimentato il risentimento delle opposizioni, culminando infine in un fatto senza precedenti: nel dicembre 2024 l’Assemblea adottò una mozione di censura contro il successore di Borne, Michel Barnier,[3] in risposta all’uso del 49.3 sulla legge di bilancio sociale. Era la prima volta dal 1958 che un governo veniva sfiduciato a causa di questo articolo, segno della gravità della crisi istituzionale. In base all’articolo 50 della costituzione, l’approvazione di una mozione di censura o la bocciatura di un programma di governo obbliga il primo ministro a dimettersi. Barnier rassegnò quindi le dimissioni il 5 dicembre 2024, appena tre mesi dopo il suo incarico, evidenziando la rapidità con cui i governi andavano in frantumi.[4]
Le dimissioni di Barnier erano state precedute da una serie di mosse politiche tese a sbloccare l’impasse. All’inizio del 2024 Macron aveva provato a dare un “nuovo slancio” al suo secondo mandato nominando Gabriel Attal primo ministro al posto di Borne.[5] Attal, appena trentaquattrenne, rappresentava un tentativo di rinnovamento generazionale e di riconquista dell’opinione pubblica dopo l’impopolare riforma pensionistica. Tuttavia, nemmeno questo cambio al vertice bastò a ricomporre le divisioni in Parlamento. Di fronte a un’Assemblea ancora bloccata e al crescente malcontento popolare per il carovita e le riforme contestate, Macron optò per una mossa drastica: sciogliere l’Assemblea Nazionale a giugno 2024 e indire elezioni anticipate.[6] L’azzardo però, non pagò. Le elezioni dell’estate 2024 produssero un Parlamento ancora più frammentato, con le forze di opposizione rafforzate – in particolare la coalizione di sinistra (che ottenne una pluralità relativa di seggi) e il Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen – e senza alcuna maggioranza di governo. Il risultato lasciò Macron in una situazione di impasse aggravato: la Francia si ritrovò nuovamente senza una maggioranza stabile, mentre la Costituzione gli impediva per un anno di ricorrere a un’ulteriore dissoluzione (secondo l’articolo 12, non è possibile sciogliere il Parlamento nell’anno successivo alle elezioni, in queto caso fino all’8 luglio 2025).[7]
Di fronte a questo caotico contesto, tra luglio e settembre 2024, la Francia fu retta da un governo provvisorio, dopo che lo stesso Attal – sfiduciato dagli elettori – si dimise a metà luglio 2024. Macron scelse allora Michel Barnier come primo ministro il 5 settembre 2024, nel tentativo di allargare la base di governo a destra: Barnier, gaullista ed ex commissario europeo, formò un governo includendo esponenti Repubblicani (LR) e altri centristi, nella speranza di una coalizione di unità nazionale.[8] Tuttavia, privo di maggioranza, Barnier dovette anch’egli governare a colpi di fiducia sulle leggi di bilancio. La sua decisione di imporre per decreto la finanziaria sociale 2025 con il 49.3 fu la scintilla che unì temporaneamente tutta l’opposizione contro di lui: il 4 dicembre 2024 sia la sinistra che l’estrema destra votarono compattamente a favore di una mozione di sfiducia, che passò con 331 voti. In pochi mesi era caduto anche il secondo governo del dopo-elezioni, evidenziando un’instabilità ministeriale degna della Quarta Repubblica. Come osservato da autorevoli costituzionalisti, la caduta di due governi in un anno e il ricorso ripetuto a procedure eccezionali segnala un ritorno ai “vizi istituzionali” che caratterizzano le ingovernabili legislature pre-1958.[9]
François Bayrou entrò in scena a dicembre 2024 come terzo tentativo di Macron per uscire dalla crisi. Leader centrista di lungo corso e alleato storico di Macron, Bayrou formò un governo di “blocco centrale” comprendente sia i partiti della coalizione presidenziale (Renaissance, MoDem, Horizons) sia alcuni esponenti moderati dei Républicains e di altri piccoli gruppi centristi. Nonostante questo, il governo di Bayrou rimase di minoranza e dovette misurarsi con un Parlamento diviso in tre blocchi quasi equivalenti: la sinistra unita, il centro macroniano (con alcuni conservatori) e l’estrema destra lepenista.[10] Consapevole della fragilità della sua posizione, Bayrou inizialmente evitò di sottoporsi a un voto di fiducia formale – come la Costituzione consente, rendendo facoltativa l’investitura parlamentare del governo. A gennaio 2025 si limitò a presentare il suo programma in Assemblea senza chiedere il voto, sfidando le opposizioni a presentare esse stesse eventuali mozioni di censura. Le opposizioni, però, in quella fase non riuscirono ad agire all’unisono: la destra lepenista a una parte della sinistra decisero di astenersi, evitando di far cadere subito Bayrou e permettendogli di sopravvivere a una mozione di sfiducia a gennaio.[11] Probabilmente, ciascun fronte calcolava di non favorire l’altro (i deputati di Marine Le Pen preferivano tenere in vita Bayrou pur di non aprire la strada a un possibile governo di sinistra, e viceversa). Questa tregua armata, tuttavia, non poteva durare. Man mano che si avvicinava l’autunno 2025, con la delicata legge di bilancio 2026 all’orizzonte, la situazione divenne insostenibile: ogni provvedimento finanziario avrebbe richiesto l’ennesimo voto di fiducia “forzato” e avrebbe potuto scatenare nuove mozioni di censura. Bayrou, politico di esperienza e sindaco di Pau, fiutò il pericolo di un naufragio prolungato e scelse di giocare d’anticipo. Il 25 agosto 2025 annunciò a sorpresa che avrebbe volontariamente impegnato la responsabilità del governo sulla sua dichiarazione di politica generale in base all’articolo 49 comma 1 della Costituzione. In altre parole, Bayrou decise di sottoporre il suo governo al giudizio esplicito del Parlamento – un “azzardo” calcolato ma dall’esito pressoché scontato, data la composizione dell’Aula. Egli stesso definì questa scelta un’ “épreuve de verité” necessaria.[12] Bayrou ha presentato ai deputati un piano di rigore per risanare i conti pubblici – un tema a lui caro – delineando 43 miliardi di euro di tagli entro il 2026, inclusa la controversa soppressione di due giorni festivi dal calendario lavorativo.[13] Egli ha avvertito l’Assemblea dei pericoli di un debito fuori controllo (oltre il 114% del PIL, uno dei più alti d’Europa) e di una Francia “dipendente dalla spesa” come un malato attaccato al respiratore. Allo stesso tempo, in un appello quasi disperato, ha ricordato ai parlamentari il loro potere di far cadere il governo “ma non di cancellare la realtà” dei conti in rosso. Parole che suonavano già come un testamento politico.
Come previsto, il voto dell’8 settembre 2025 è stato fatale.[14] La larga maggioranza trasversale che si è formata contro Bayrou riflette tutte le tensioni accumulate negli ultimi anni. Il Primo Ministro, apparso paradossalmente sollevato e “liberato da un peso” di fronte alla sconfitta annunciata, ha ammesso con tono agrodolce che i suoi nove mesi a Matignon sono stati “mesi di profonda felicità” per il lavoro svolto insieme ai ministri. Ma l’esperienza del suo governo – il quarto in meno di due anni di legislatura – si è conclusa senza gloria (“sans panche”, ha titolato Le Monde), segnando l’ennesimo capitolo di una crisi di sistema. La pratica istituzionale francese sembra ripiombata nelle instabilità della Quarta Repubblica: un paragone tutt’altro che rassicurante, dato che la Costituzione del 1958 era stata concepita proprio per evitare la “supremazia dei partiti” e la fragilità cronica dei governi parlamentari.
Quando il voto svela le fratture: breve analisi delle posizioni dei partiti
L’esito della mozione di sfiducia (o meglio, del voto di fiducia non ottenuto) del 8 settembre è frutto delle scelte strategiche dei vari schieramenti politici, maturate nei mesi di crisi. Tutti i gruppi di opposizione – dalla sinistra radicale all’estrema destra – hanno colto l’occasione per far cadere Bayrou, unendosi in un fronte del “no” inedito nella sua compattezza. Già nei confronti del governo Barnier si era vista un’alleanza tattica tra poli opposti: la mozione di censura del dicembre 2024 era stata presentata dalla sinistra (a firma di Mathilde Panot per l’LFI, Boris Vallaud per il PS e altri) e votata anche dal Rassemblement National di Marine Le Pen. Allo stesso modo, nel 2025, nessuna forza di opposizione ha scelto di salvare Bayrou. Jean-Luc Mélenchon, leader de La France Insoumise, era presente in tribuna a spronare i suoi deputati al voto contrario; accanto a lui sedeva Marine Tondelier, segretaria dei Verdi, a segnalare la compattezza del Nouveau Front Populaire (la coalizione unitaria di sinistra) nel chiedere la fine del “governo Bayrou”. Dal canto suo, Marine Le Pen non ha perso l’occasione per affondare il colpo: a risultato acquisito, la leader del RN ha esultato definendo quello di Bayrou “un governo fantasma, tale solo di nome, la cui agonia finalmente giunge al termine”. Le Pen ha poi intimato: “il signor Macron deve rassegnarsi a uscire dal suo ruolo di capo fazione e finalmente assumere quello di Presidente della Repubblica. In queste circostanze, il Presidente ha una sola possibilità: convocare nuove elezioni”.[15] La destra nazional-populista, dunque, invoca apertamente lo scioglimento dell’Assemblea, pregustando la possibilità di una vittoria elettorale che capitalizzi il malcontento e le divisioni degli avversari. Già da tempo il RN guidava i sondaggi di popolarità – alle elezioni europee del giugno 2024 la lista lepenista ha superato quella macronista, confermando la sua forza elettorale – e ora Le Pen vede nella caduta di Bayrou l’opportunità di ottenere finalmente quelle éléctions anticipées che Macron ha sempre evitato.
Sul fronte opposto, anche la sinistra unita (rinominata Nouveau Front Populaire) considera auspicabile un ritorno alle urne, pur temendo l’ascesa dell’estrema destra. Il Partito Socialista, dopo la deludente esperienza di minoranza delle scorse legislature, ha rilanciato la propria candidatura alla guida del paese: il segretario Olivier Faure ha dichiarato che i socialisti sono “pronti a governare”,[16] ottenendo persino l’endorsement dell’ex Presidente François Hollande. Faure, presente in Parlamento l’8 settembre, aveva invitato Bayrou a “dire au revoir” già prima del voto, lasciando intendere che la sua permanenza era diventata indifendibile. La sinistra radicale di LFI, dal canto suo, spinge anch’essa per elezioni anticipate convinta di poter ulteriormente erodere il consenso di Macron. Tuttavia, non mancano le divergenze interne: la prospettiva di un eventuale “governo di transizione” tecnocratico o di unità nazionale – ipotizzato da alcuni centristi per evitare il voto immediato – troverebbe certamente l’opposizione dell’ala melenchoniana, restia a qualsiasi compromesso con Macron.
Più complessa e decisiva è la posizione della destra moderata dei Les Républicains (LR). Questo partito, erede del gaullismo, si è trovato in bilico tra il rifiuto dell’alleanza con Macron e il timore di lasciare il paese ingovernabile (o in balia delle estreme). All’indomani delle elezioni del 2022 i dirigenti LR avevano escluso accordi stabili con la maggioranza, restando all’opposizione pur senza mai votare le mozioni di sfiducia delle sinistre. Con il peggiorare della crisi, però, la linea si è andata dividendo tra un’ala oltranzista e una più pragmatica. Macron ha cercato ripetutamente l’appoggio dei Républicains, offrendo posti di governo e includendo personalità di area LR sia nell’esecutivo Barnier sia in quello Bayrou. Proprio questa strategia ha creato spaccature interne a LR: nel governo Bayrou sedevano ministri provenienti dalle file repubblicane, fatto mal digerito da una parte del partito. Al momento del voto di fiducia del 8 settembre, il gruppo LR all’Assemblea si è letteralmente spaccato a metà: su 49 deputati LR, solo 27 hanno accordato la fiducia a Bayrou, mentre gli altri 22 hanno votato contro o si sono astenuti. Molti, pur non amando Bayrou, erano a disagio all’idea di votare contro un governo in cui sedevano colleghi dello stesso partito. Questa libertà di voto riflette la linea ambigua adottata dalla leadership LR, ora guidata al Parlamento da Bruno Retailleau: nessun sostegno pieno a Macron, ma neppure l’intenzione di far cadere il governo a qualsiasi costo, lasciando ai singoli deputati margine di coscienza. In effetti LR non si è mobilitato per “salvare” Bayrou – ritenuto impopulaire dans ses rangs – ma al tempo stesso ha evitato di votare compattamente la sfiducia, segno di un certo disagio. Il risultato è stato comunque la sconfitta del governo, cui è mancato proprio l’appoggio determinante dei conservatori moderati.
La posizione di Macron, le sfide del mandato e i risvolti costituzionali
Con la caduta del governo Bayrou, il presidente Emmanuel Macron si ritrova ad affrontare un dilemma cruciale: nominare un quinto primo ministro in meno di due anni, oppure sciogliere di nuovo il Parlamento e tornare alle urne. Nessun presidente francese della Quinta Repubblica si era mai trovato in una situazione simile a metà mandato. Dopo aver bruciato tre ministri dal 2022 e visto fallire anche il quarto tentativo, la sua capacità di governo appare fortemente compromessa.
Macron ha dunque davanti a sé due strade. La prima è tentare di formare un nuovo governo che possa “sopravvivere” nell’attuale Parlamento diviso. Questa opzione richiede di trovare una figura di primo ministro e un. Programma sufficientemente condivisibili da ottenere almeno l’astensione di una parte delle opposizioni. Implica compromessi e concessioni programmatiche: in sostanza, la logica di un governo di coalizione, insolita per la politica francese ma resa necessaria dall’assenza del “fatto maggioritario”. Macron sembra propenso a seguire questa via, perlomeno come ultima chance prima di arrendersi allo scioglimento. Non a caso, ha sinora resistito alla seconda opzione, quella di convocare nuove elezioni legislative anticipate. Va sottolineato che la Costituzione, all’articolo 12, attribuisce al Presidente il potere di scioglimento dell’Assemblea, ma fissa anche condizioni precise: una volta sciolto il Parlamento, le elezioni devono svolgersi entro 20-40 giorni. Ciò significa che, se Macron premesse ora il “grilletto” della dissoluzione, la Francia entro ottobre 2025 sarebbe chiamata alle urne. Inoltre, la prassi costituzionale vorrebbe che, dopo nuove elezioni, il Presidente nominasse Primo Ministro il leader del partito uscito vincitore dalle urne (pur non essendoci un obbligo giuridico in tal senso). Qualora un partito di opposizione ottenesse la maggioranza assoluta, Macron sarebbe di fatto costretto alla coabitazione, ossia a scegliere un premier espressione della nuova maggioranza parlamentare, scenario già visto tre volte nella Quinta Repubblica. Per Macron sarebbe l’epilogo più amaro: significherebbe trascorrere il restante mandato fino al 2027 in posizione di subalternità politica, senza potere reale sulle scelte di governo, mentre l’opposizione detterebbe l’agenda. È comprensibile, dunque, perché il Presidente esiti ad intraprendere questa strada, definita da molti osservatori come “l’ultima ratio” in caso di totale paralisi. Un recente sondaggio indica che il 61% dei francesi sarebbe comunque favorevole a nuove elezioni dopo la caduta di Bayrou, segno che nell’opinione pubblica cresce la voglia di voltare pagina rispetto all’attuale legislatura. Ma dal punto di vista di Macron, il rischio di uno scioglimento è quello di consegnare definitivamente il potere ai suoi avversari.
Da Bayrou a Lecornu: il nuovo primo ministro di Macron
All’indomani della caduta di Bayrou, i Républicains hanno cercato di riprendere l’iniziativa politica presentandosi come l’ago della bilancia della futura maggioranza. Martedì 9 settembre la dirigenza LR si è riunita proporre a Macron “un contrat de gouvernement”, un patto di legislatura limitata che stabilisca priorità condivise per circa 18 mesi restanti prima delle prossime elezioni del 2027. In pratica, la destra offre un appoggio condizionato a un nuovo esecutivo purché ne vengano delineati chiaramente gli obiettivi e purché vi sia discontinuità rispetto all’era Bayrou.
La scelta del Presidente francese è ricaduta su Sébastien Lecornu, fino ad allora ministro della Difesa, segnando il quarto cambio a Matignon nel secondo biennio di amministrazione Macron. La decisione è stata maturata a seguito di consultazioni febbrili con i gruppi parlamentari e i vertici della maggioranza, in un contesto reso ancora più delicato dalle pressioni sociali e dalle mobilitazioni di piazza che hanno accompagnato la crisi. Lecornu, 39 anni, è considerato uno degli esponenti più leali del macronismo. Già sindaco e presidente del consiglio dipartimentale dell’Eure, ha percorso rapidamente i ranghi della politica nazionale, distinguendosi per la capacità di mediazione tra sensibilità diverse del centro e del centro-destra. Alla guida del ministero della Difesa dal 2022, ha gestito i dossier più complessi legati alla guerra in Ucraina, alla riorganizzazione dell’esercito francese e al rafforzamento della cooperazione con la NATO. Questa esperienza, insieme alla sua fedeltà personale a Macron, lo ha reso agli occhi dell’Eliseo una figura adatta a coniugare continuità e rinnovamento.[17]
La sua scelta rappresenta una nomina eminentemente politica e difensiva. Dopo aver valutato nomi più “trasversali” come Bernard Cazeneuve o Pierre Moscovici, che avrebbero potuto facilitare più ampie intese parlamentari, Macron ha infine optato per un fedelissimo. La mossa tradisce la difficoltà del Presidente a trovare un consenso all’esterno del suo blocco centrista: la destra resta divisa e la sinistra appare incompatibile con un sostegno diretto a un governo macronista. Più che un atto di rilancio, la sua nomina è il risultato di una progressiva riduzione delle opzioni disponibili, apparendo come un tentativo di guadagnare tempo e di evitare il ricorso immediato all’articolo 12 della Costituzione. Il Presidente, consapevole del rischio di consegnare il potere nelle mani delle opposizioni in caso di urne anticipate, ha scelto così un profilo di fiducia, rinunciando per ora a soluzioni di maggiore apertura politica.
Macron si trova ora a fare i conti con i nodi irrisolti che hanno originato la crisi attuale. In primis, la questione sociale ed economica: l’inflazione e l’aumento del costo della vita hanno eroso il potere di acquisto dei ceti medi e popolari, alimentando proteste e favorendo i messaggi populisti sia di destra che di sinistra. La riforma delle pensioni, volta a innalzare l’età pensionabile per garantire la sostenibilità fiscale, si è trasformata in un detonatore politico nel 2023, con manifestazioni di massa che avevano delegittimato il governo Borne agli occhi di molti cittadini. Macron ha voluto comunque portare a termine quella riforma – considerandola necessaria – ma il costo politico è stato altissimo: la sua popolarità crollata e il clima politico si è avvelenato. In secondo luogo, c’è il tema istituzionale: la legge elettorale maggioritaria a doppio turno, pensata per garantire la stabilità, non ha impedito l’emergere di un Parlamento “tripolare” nel 2022 in cui nessun polo può governare da solo. Anzi, l’ostilità reciproca tra le opposizioni ha finora impedito anche la formazione di coalizioni alternative. Il risultato è stato uno stallo cronico: Macron ha potuto approvare poche leggi significative – come la finanziaria di Barnier o i tagli proposti da Bayrou – è diventato occasione per tentare di rovesciare il governo. Questa instabilità mina la capacità di programmazione dello Stato francese e rischia di pregiudicare la credibilità internazionale di Parigi, proprio mentre l’Europa affronta sfide di vitale importanza.
[1] Corte costituzionale, Segnalazioni correnti, documento n. 1666606366037, [PDF], Corte costituzionale, consultato il 15 settembre 2025, https://www.cortecostituzionale.it/documenti/segnalazioni_corrente/Segnalazioni_1666606366037.pdf.
[2] “Il governo francese ha superato la mozione di sfiducia per la riforma delle pensioni,” Il Post, 20 marzo 2023, https://www.ilpost.it/2023/03/20/il-governo-francese-ha-superato-la-mozione-di-sfiducia-per-la-riforma-delle-pensioni/.
[3] Corte costituzionale, Segnalazioni correnti, documento n. 1734690639036, [PDF], Corte Costituzionale, https://www.cortecostituzionale.it/documenti/segnalazioni_corrente/Segnalazioni_1734690639036.pdf.
[4] Ibidem.
[5] “Marchi, Michele, ‘Macron e la scelta del nuovo premier,’ Rivista il Mulino, 16 gennaio 2024, https://www.rivistailmulino.it/a/macron-e-la-scelta-del-nuovo-premier.
[6] ‘Caos Francia: elezioni europee, Macron sotto pressione,’ Il Post, 10 giugno 2024, https://www.ilpost.it/2024/06/10/caos-francia-elezioni-europee-macron/.
[7] Ibidem.
[8] “La Repubblica,” Francia, Macron sceglie Barnier come primo ministro, 6 settembre 2024, https://finanza.repubblica.it/News/2024/09/06/francia_macron_sceglie_barnier_come_primo_ministro-.
[9] Jean-Éric Schoettl e Jean-Pierre Camby, « Démission du gouvernement Bayrou : sortir volontairement de la talanquère, et après ? », Actu-Juridique, 9 settembre 2025, https://www.actu-juridique.fr/constitutionnel/demission-du-gouvernement-bayrou-sortir-volontairement-de-la-talanquere-et-apres/#:~:text=d%C3%A9put%C3%A9s%20par%20364%20voix%20contre,dernier%20pilier%20du%20r%C3%A9gime%20semble.
[10] Sophia Khatsenkova, “Why did French President Macron pick François Bayrou as France’s next PM?,” Euronews, 14 dicembre 2024, https://www.euronews.com/my-europe/2024/12/14/perche-il-presidente-francese-macron-ha-scelto-francois-bayrou-come-prossimo-premier-franc.
[11] ‘Francia, crisi governo Bayrou: voto di fiducia oggi,’ Sky TG24, 8 settembre 2025, https://tg24.sky.it/mondo/2025/09/08/francia-crisi-governo-bayrou-voto-fiducia-oggi.
[12] Valerio Alfonso Bruno, ‘Francia: la lunga crisi del macronismo,’ Polidemos ‒ Università Cattolica del Sacro Cuore, https://centridiricerca.unicatt.it/polidemos-notizie-francia-la-lunga-crisi-del-macronismo.
[13] ‘Francia, Bayrou presenta la proposta di bilancio 2026: tagli per 43,8 miliardi, aumenti per…’, Euronews Italia, 15 luglio 2025, https://it.euronews.com/business/2025/07/15/francia-bayrou-presenta-la-proposta-di-bilancio-2026-tagli-per-438-miliardi-aumenti-per-di.
[14] Ibidem.
[15] Vote de confiance : François Bayrou n’est officiellement plus Premier ministre,” Marianne, 8 settembre 2025, https://www.marianne.net/politique/vote-de-confiance-francois-bayrou-n-est-officiellement-plus-premier-ministre#:~:text=Les%20r%C3%A9actions%2C%20quant%20%C3%A0%20elles%2C,dissolution%20de%20l%27Assembl%C3%A9e%20nationale.
[16] Sophia Khatsenkova, ‘Chute de François Bayrou, qui est en lice pour devenir le prochain Premier ministre ?,’ Euronews (Français), 9 septembre 2025, https://fr.euronews.com/2025/09/09/france-apres-la-chute-de-bayrou-qui-est-en-lice-pour-devenir-le-prochain-premier-ministre#:~:text=r%C3%A9serv%C3%A9s.
[17] “Sébastien Lecornu,” Wikipedia, ultima modifica 15 settembre 2025, https://it.wikipedia.org/wiki/S%C3%A9bastien_Lecornu.

Neolaureato in Scienze Politiche (110/110) alla LUISS Guido Carli, dove frequenta la magistrale in Relazioni Internazionali. Ha maturato esperienze formative a Miami, Parigi e Madrid, lavorando presso OCSE e attualmente nell’ufficio Institutional Affairs di Mundys. Parla fluentemente quattro lingue ed è orientato all’analisi politica, alla gestione progettuale e alle attività interculturali.