Nel cuore del Golfo Persico, affacciato sul Mar Arabico e confinante con lo Yemen, l’Oman rappresenta un caso unico: è il Paese più sicuro del Golfo ed uno dei più pacifici del mondo. Un paradosso se si guardano i suoi vicini, caratterizzati da un contesto segnato da conflitti settari e instabilità diffusa, il Sultanato si distingue per l’equilibrio interno ed una politica estera non interventista.
La postura strategica almeno degli ultimi cinquant’anni è segnata da una neutralità attiva basata su equidistanza, mediazione e sobrietà istituzionale. L’Oman non partecipa per scelta a nessun conflitto dei suoi vicini, non si schiera nelle fratture religiose del mondo islamico e al tempo stesso si rende disponibile come interlocutore per mediare la pace, come dimostrano i colloqui ospitati a Muscat tra USA e Iran.
Per arrivare a questo risultato è stata necessaria una combinazione di diversi fattori, ma in particolare si sono rivelati essenziali: l’evoluzione interna guidata dalla politica del Sultano, la dottrina della religione dell’Ibadiyya e una diplomazia di equidistanza coerente.
La Stabilità interna come fondamenta geopolitiche
Per comprendere la posizione unica dell’Oman nel panorama mediorientale, è necessario partire dalla sua architettura interna: una stabilità che ha radici profonde nella sua storia recente, con la legittimità della leadership che comporta un controllo sociale privo di violenza e una coesione nazionale ottenuta nonostante una forte componente demografica straniera.
La trasformazione dell’Oman comincia nel 1970 con la salita al potere del Sultano Qaboos bin Said che, deponendo il padre, ha inaugurato una stagione di riforme per il Paese, la quale viene ricordata come la “nahda” (la rinascita). Prima di allora l’Oman era uno Stato semi-chiuso, isolato e con un tasso di alfabetizzazione inferiore al 20%; oggi si stima che il dato sia salito al 97% . [1]
A differenza di molte monarchie del Golfo, in Oman il sovrano è un Sultano e non un Imam, il che separa, almeno simbolicamente, la guida religiosa da quella politica. Questo ha contribuito ad allontanare lo Stato dalle derive ideologiche e confessionali che in altri Stati islamici hanno costantemente portato instabilità. Il potere resta accentrato ma si è consolidato con un equilibrio tra autorità e riconoscimento tribale.[2] La transizione da Qaboos al nuovo Sultano Haitham bin Tariq nel 2020 ha confermato la continuità istituzionale senza provocare traumi e dimostrando una legittimità consolidata.[3] Questa struttura politica e sociale ha permesso all’Oman di evitare le conseguenze più dure delle Primavere Arabe, consentendo al Governo di intervenire senza reprimere violentemente ma controllando saldamente l’ordine pubblico.
Tuttavia, questa stabilità è accompagnata da un sistema che tollera poco il dissenso, essendo pur sempre un totalitarismo: la libertà di stampa è fortemente limitata, la società civile è monitorata e le critiche sono spesso perseguite legalmente. [4] Questo non ha comunque intaccato la percezione interna di sicurezza e coesione, né l’immagine esterna di un Paese pacifico e ben governato; sicuramente, a questo risultato, ha contribuito l’assenza di attentati e la rarità di proteste violente, che sono parte della cultura sobria del popolo omanita il quale rifugge il conflitto e si fonda sulla mediazione.
Economia di sobrietà e resilienza
L’Oman non può contare su risorse energetiche comparabili a quelle dei suoi vicini: con circa 5 miliardi di barili, le sue riserve sono modeste e questa condizione ha spinto il Sultanato a puntare presto sulla diversificazione economica, promossa attraverso la strategia nazionale “Vision 2040”.[5]
I settori chiave della politica finanziaria omanita sono il turismo, la logistica e la transizione energetica: il Governo mira a mobilitare circa 31 miliardi di dollari in investimenti turistici entro il 2040, valorizzando l’immagine di Paese stabile, sicuro ed accogliente. Nel 2023 sono stati superati 4 milioni di visitatori, mentre infrastrutture come il porto di Duqm rafforzano il ruolo del Paese nelle rotte globali.[6]
Anche sul piano fiscale l’Oman ha saputo adattarsi ai cambiamenti: ha introdotto l’IVA nel 2021 e prevede una tassa progressiva sul reddito dal 2028.[7]
La religione ibadita: sobrietà e pace civile
Nel mondo islamico l’Oman rappresenta una vera rarità: è l’unico Stato a maggioranza ibadita, corrente minoritaria dell’Islam considerata la terza via dopo sciiti e sunniti. Questa ha un impatto profondo nel modo in cui il Paese concepisce la convivenza, la politica e anche la diplomazia. È una matrice religiosa sobria antitetica al fanatismo.
L’Ibadiyya nasce nel VII secolo ed oggi rappresenta una piccola minoranza della popolazione musulmana mondiale. Gli ibaditi credono che la fede non sia sufficiente senza la giustizia pratica e che il buon governo si basi sulla consultazione (shura), sul senso di misura e sulla rettitudine morale del leader.
Questa visione ha ricadute concrete: gli ibaditi rifiutano il proselitismo e non cercano di imporre la loro dottrina ad altri musulmani. Non si schierano in contese tra sunniti e sciiti e non costruiscono il proprio senso d’identità sull’opposizione all’altro. A differenza di altre confessioni islamiche, gli ibaditi non inseguono l’universalismo dottrinale e non nutrono pulsioni egemoniche. È da questa impostazione che deriva la bassa conflittualità religiosa del Paese, in Oman convivono diverse sensibilità dell’Islam senza tensioni e scontri.
La religione ibadita non propone uno Stato teocratico: la guida spirituale è diversa da quella politica, la legislazione omanita non attribuisce al Sultano il ruolo religioso di imam. [8] Questo consentirebbe, almeno sulla carta, una sorta di laicità funzionale, in cui la religione ispira ma non controlla completamente.
Infine, è importante sottolineare come gli ibaditi rifiutino il terrorismo come strategia politico-religiosa, questo è parte del DNA etico del Paese.
La diplomazia dell’equidistanza: come l’Oman rifiuta la guerra
Nel Medio Oriente dei conflitti senza fine, l’Oman occupa una posizione più che singolare: non si allinea, non partecipa e non aggredisce, piuttosto cerca di mediare attraverso la strategia della neutralità attiva.
Un paradosso se si pensa che, in Yemen, al di là del confine occidentale è in atto una delle crisi umanitarie più preoccupanti degli ultimi tempi, provocata da una violenta guerra che ha origini religiose. Il Sultanato omanita ha deciso tuttavia di non aderire alla coalizione guidata dall’Arabia Saudita contro gli Houthi, e certamente non lo ha fatto perché sta dalla loro parte, ma per principio etico che sta alla base della sua cultura. Grazie a questa posizione netta, Muscat è stato l’unico Paese del Golfo in grado di accogliere delegazioni saudite, americane e degli Houthi, fungendo da facilitatore nel processo di de-escalation per una tregua nel Mar Rosso. [9]
L’Oman è stato cruciale anche oltre i suoi confini, ha svolto un ruolo fondamentale in ambiti strategici più ampi come il dossier nucleare iraniano. Ha ospitato a Muscat i colloqui segreti tra Washington e Teheran che portarono al JCPOA nel 2015, così come i nuovi round negoziali avvenuti nel 2025. Questo è stato possibile perché il Paese omanita viene percepito come l’unico attore regionale equidistante e allo stesso tempo affidabile da entrambe le parti. [10]
La forza dell’Oman sta nella rinuncia sistematica all’uso della forza e nell’assenza di una postura ideologica marcata. Anche nelle crisi più divisive per la regione mediorientale e non solo, come quella israelo-palestinese, Muscat ha mantenuto un profilo coerente: parla con tutti e non alimenta retoriche incendiarie. Preferisce la voce diplomatica e rifugge la polarizzazione.
Questa linea è stata tracciata già da Qaboos bin Said, insistendo su una forma di multi-allineamento intelligente, evitando blocchi esclusivi e mantenendo buoni rapporti praticamente con tutti: Occidente, Iran, monarchie del Golfo e potenze come Cina e Russia. L’Oman è un Paese senza guerre perché ha scelto, strutturalmente, di non farle. È una scelta culturale, religiosa, strategica.
[1] FRED; Literacy Rate, Adult Total for Oman; 2024; https://fred.stlouisfed.org/series/SEADTLITRZSOMN
[2] Erich S.; Sultanate and Imamate in Oman; Institute of Current World Affairs; 2016; https://www.icwa.org/sultanate-and-imamate-in-oman/
[3] Yaish S; Smooth transition in Oman after the passing of Qaboos; The Arab Weekly; 2020; https://thearabweekly.com/smooth-transition-oman-after-passing-qaboos
[4]Abbas S.; Oman Silences Voices at Home While Preaching Peace Abroad; DAWN; 2025; https://dawnmena.org/oman-silences-voices-at-home-while-preaching-peace-abroad/
[5] Oman Vision 2040; https://www.oman2040.om/?lang=en
[6] Ardemagni E.; Oman’s Connectivity Strategy Maximizes Multi-Alignment; MedOr Italian Foundation; 2025; https://www.med-or.org/en/news/la-strategia-di-connettivit%C3%A0-delloman-massimizza-il-multi-allineamento.
[7]EY Global; Oman to introduce personal income tax from January 2028; 2025; https://www.ey.com/en_gl/technical/tax-alerts/oman-to-introduce-personal-income-tax-from-january-2028
[8] Sultani decree No. 101/96; https://www.asianparliament.org/uploads/Country/Observers/Oman/Oman%20const.pdf
[9] Mohsen M.; Dalle crisi alle grandi guerre: come ha fatto l’Oman a diventare la “culla” della mediazione nella regione; Euronews; 2025; https://it.euronews.com/2025/04/14/dalle-crisi-alle-grandi-guerre-come-ha-fatto-loman-a-diventare-la-culla-della-mediazione-n
[10] Mohajerani F.; Diplomacy in Muscat: How Oman Created Room for Iran-U.S. Talks; Iranwire; 2025; https://iranwire.com/en/politics/141134-diplomacy-in-muscat-how-oman-created-room-for-iran-us-talks/

Fabrizio Guacci è analista geopolitico e presidente del Centro Analisi e Studi Italus. Laureato con lode in Studi Strategici e Scienze Diplomatiche e frequentatore civile del 28º Corso ISSMI (Master di II livello in Studi Internazionali Strategico-Militari) presso il Centro Alti Studi per la Difesa. Ha maturato esperienza presso l’Ambasciata d’Italia a Tel Aviv e collaborato all’organizzazione di eventi istituzionali tenuti presso il Ministero degli Affari Esteri, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Senato della Repubblica. Scrive e commenta argomenti di geopolitica e politica internazionale su testate giornalistiche e sui social, dove i suoi contenuti raggiungono milioni di visualizzazioni mensili. Ha ricevuto un riconoscimento per il talento universitario.