Difesa comune europea: il confine tra ambizione e realtà
I 27 capi di Stato e di governo dell’Unione Europea hanno dato il via libera a ReArm Europe, un ambizioso piano da 800 miliardi di euro per il riarmo del continente. I contorni di questa iniziativa restano ancora incerti. In cosa consisterà? Ancora non è chiaro. Una cosa è certa : l’Europa si trova ad affrontare una crisi senza precedenti. Per oltre 80 anni, gli Stati europei, cullati dall’illusione kantiana della pace perpetua, hanno delegato la propria sicurezza ad attori esterni, in primis agli Stati Uniti d’America e alla Nato. Questo modello, funzionale nel contesto della Guerra Fredda, oggi mostra tutte le sue fragilità. La guerra alle porte del continente e le incertezze legate alla politica statunitense impongono all’Unione Europea un cambio di paradigma. L’Europa non può più permettersi di restare spettatrice: la riorganizzazione della sua difesa non è solo necessaria, ma ormai ineludibile. Dall’equilibrio con la NATO alle sfide del riarmo, fino alla necessità di una governance unificata, il futuro della sicurezza del continente dipenderà dalla capacità dell’UE di superare divisioni interne e adottare una visione strategica a lungo termine.
È fondamentale, sin da subito, sgombrare il campo da equivoci terminologici che potrebbero distorcere il dibattito sulla sicurezza europea. Difesa comune europea ed esercito comune europeo non solo rappresentano concetti distinti, ma comportano anche implicazioni strategiche e politiche profondamente diverse. Da un lato, la difesa comune fa riferimento alle capacità dell’Unione Europea di coordinare politiche di sicurezza e di sviluppare strumenti militari condivisi, nell’ottica di massimizzare il rapporto costi-benefici della spesa militare e di garantire una maggiore interoperabilità tra i singoli Stati. Dall’altro, la creazione di un esercito comune implicherebbe la nascita di una forza armata unica, con una catena di comando autonoma rispetto ai governi nazionali. Sebbene questa idea riaffiori ciclicamente nel dibattito politico, non è mai stata presa realmente in considerazione, principalmente a causa della riluttanza degli Stati membri nel cedere le prerogative della sovranità a un’unione sovranazionale.
Le origini e l’evoluzione della difesa europea : un percorso incompiuto
Sin dalla nascita della Comunità Europea, l’idea di un continente in grado di garantire autonomamente la propria sicurezza è stata più un’ambizione dichiarata che una realtà compiuta. Il cammino verso una difesa comune è stato segnato da progressi discontinui, tentativi falliti e compromessi politici che ne hanno spesso ostacolato l’evoluzione. Il primo vero tentativo di costruire un’architettura difensiva europea risale agli anni Cinquanta con il progetto della Comunità Europea di Difesa (CED), promosso dalla Francia. L’obiettivo era duplice: da un lato, prevenire il rischio di una nuova politica aggressiva da parte della Germania, dall’altro, incanalare la ricostruzione delle sue forze armate sotto un comando sovranazionale, evitando così una rimilitarizzazione incontrollata. Ciononostante, sarà la stessa Francia, iniziale sostenitrice del progetto, a decretarne il fallimento nel 1954, quando l’Assemblea Nazionale francese si oppose alla ratifica del trattato firmato dai rappresentati dei Paesi già membri della CECA il 27 maggio 1952.
In seguito al naufragio della CED, ogni iniziativa nel campo della difesa si sviluppò su base intergovernativa, evitando qualsiasi trasferimento di sovranità. I Piani Fouchet (1961-62), che proponevano una cooperazione militare meno strutturata, non trovarono mai applicazione. Lo stesso Trattato dell’Eliseo (1963), un’alleanza militare siglata dalla Francia di De Gaulle e dalla Germania di Adenauer, intorno alla quale si sarebbero potuti nel tempo coagulare altri paesi, venne abbandonato molto presto.
Fu solo con la fine della Guerra Fredda ed il progressivo disimpegno statunitense dal continente europeo che l’Europa iniziò a interrogarsi nuovamente sulla propria sicurezza e sulla necessità di una maggiore autonomia strategica. Lo sviluppo dell’Unione Europea (EU)nel 1992, concepita come un’iniziativa politico-economica volta ad evitare il ripetersi di un conflitto sul continente, portò all’istituzione della Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC): “La politica estera e di sicurezza comune comprende tutte le questioni relative alla sicurezza dell’Unione, ivi compresa la definizione progressiva di una politica di difesa comune,…, che potrebbe condurre a una difesa comune qualora il Consiglio europeo decida in tal senso.”[1] È evidente che l’attuazione di una vera politica di difesa comune europea rimane ostacolata dal meccanismo del voto all’unanimità all’interno del Consiglio, ragion per cui una riforma di questo sistema decisionale appare ad oggi sempre più urgente, in un disegno volto a garantire una maggiore rapidità ed efficacia nell’adozione di politiche di sicurezza e difesa realmente operative ed effettive.
Una bussola strategica per la sicurezza e la difesa
Un passo significativo in questa direzione è stato compiuto con l’attivazione della Permanent Structured Cooperation (PESCO), strumento previsto dal Trattato di Lisbona (2007-2009) che consente agli Stati membri che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari di sviluppare progetti congiunti nel settore della difesa. Attualmente, la Cooperazione strutturata permanente coinvolge 26 dei 27 Stati membri dell’UE (Malta esclusa) impegnati in 66 progetti che coprono aree quali addestramento, capacità terrestri, marittime, aeree e cyber difesa. Recentemente, nel novembre 2024, il Consiglio europeo ha adottato una revisione strategica[2] della PESCO, rafforzando la sua operatività e adattandola alla nuova realtà geopolitica. Questa revisione è coerente con la bussola strategica, approvata dal Consiglio il 22 marzo 2022 dopo l’inizio dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia, un orientamento e una visione comune per il rafforzamento della politica di sicurezza e difesa dell’UE entro il 2030. Questo approccio multidimensionale si struttura su quattro pilastri : azione, investimenti, sicurezza e partner. Un progetto ambizioso, a lungo termine, costruito sui seguenti obiettivi:[3]
- Accelerare l’attuazione di strumenti civili e militari dell’UE per adattare l’azione alle esigenze dei partner e rafforzare il ruolo dell’UE quale attore chiave nella gestione delle crisi in tutto il mondo.
- Essere pronti per la difesa grazie a una base industriale e tecnologica di difesa europea integrata, innovativa, competitiva e resiliente e a un’industria europea della difesa rafforzata.
- Rafforzare la resilienza per garantire un accesso libero e sicuro ai settori strategici contesi, proteggere i cittadini dell’UE e sostenere i partner dell’UE a livello mondiale.
- Estendere e approfondire partenariati su misura con partner bilaterali, regionali e multilaterali in tutto il mondo per garantire vantaggi reciproci e una collaborazione rafforzata.
Un altro strumento di cooperazione militare tra Paesi membri sono gli EU Battlegroups: piccoli gruppi tattici multinazionali (generalmente 1500 soldati ciascuna) che dovrebbero essere impiegati nella prevenzione dei conflitti, gestione delle crisi e mantenimento della pace. Sono stati dichiarati operativi dal 2007 ma nella realtà, i battlegroups non sono mai stati impiegati in alcuna missione a causa della mancanza di consenso politico unanime sul loro dispiegamento.
Parallelamente alla nascita di questi progetti, è stato istituito il Fondo Europeo per la Difesa (EDF), uno strumento finanziario volto a sostenere la ricerca e lo sviluppo nel campo delle tecnologie militari avanzate. Uno degli ostacoli principali all’autonomia strategica dell’Unione Europea è sempre stato la frammentazione della sua industria della difesa, caratterizzata da duplicazioni di progetti, inefficienze nella spesa militare ed una forte dipendenza da fornitori esterni, in particolare gli Stati Uniti. Questo Fondo nasce con l’obiettivo, non solo di rafforzare la capacità dell’industria europea di difesa, ma di promuovere la cooperazione tra gli Stati membri, incentivando lo sviluppo di sistemi d’arma comuni ed evitando la dispersione di risorse in programmi nazionali scollegati tra loro. Il Fondo ha un budget di 7,3 miliardi di euro per il 2021-2027, con 2,7 miliardi di euro stanziati per la ricerca collaborativa sulla difesa e 5,3 miliardi di euro per progetti di sviluppo di capacità collaborative che integrano i contributi nazionali.
La portata di tutte queste iniziative la esprime in modo chiaro l’analisi del generale Fernando Giancotti, presidente del Centro alti studi per la Difesa (CASD): “ciò è necessario quanto insufficiente”.[4] Affinché questi investimenti producano un impatto concreto sulla capacità operativa è necessario un lungo processo di integrazione e innovazione. Ma soprattutto tempo, tanto tempo.
La spesa per la difesa nell’UE
Negli ultimi anni, la spesa per la difesa dell’Unione Europea ha registrato un incremento senza precedenti, spinta dal mutato contesto geopolitico e dalla crescente consapevolezza della necessità di rafforzare l’autonomia strategica del continente europeo.

Tra il 2021 e il 2024, la spesa totale degli Stati membri dell’UE per la difesa è aumentata di oltre il 30%, raggiungendo una cifra stimata di 326 miliardi di euro lo scorso anno, oltre il doppio di quella della Russia, nonostante l’attuale guerra. Considerando solo i 23 Stati dell’UE anche membri della NATO, la spesa ha toccato il 1,99% del PIL nel 2024 e dovrebbe superare il 2% nel 2025, soglia stabilita dall’Alleanza Atlantica come impegno minimo per la sicurezza collettiva.
Tuttavia, la semplice crescita della spesa non è sufficiente: come evidenziato dal Rapporto Draghi, l’Europa non ha solo bisogno di spendere di più, ma soprattutto di spendere meglio superando la frammentazione industriale e rafforzando il coordinamento strategico tra gli Stati membri. A differenza degli Stati Uniti, dove la produzione di armamenti è centralizzata attorno a pochi grandi gruppi, l’UE è caratterizzata da un panorama industriale dominato da aziende nazionali che operano in mercati relativamente piccoli, senza una reale integrazione.

Nessuna azienda dell’UE compare nella classifica delle dieci maggiori aziende del settore a livello mondiale (la prima azienda europea in classifica è Leonardo, che si posiziona all’undicesimo posto con un fatturato di 12,9 miliardi di dollari nel 2022). Nel complesso, le prime dieci aziende europee del settore generano un fatturato complessivo pari a 64 miliardi di dollari, una cifra di poco superiore al solo fatturato Lockheed Martin (63 miliardi nel 2022): dati che non fanno che evidenziare il vastissimo divario presente tra l’industria europea e quella americana.
Un altro problema chiave è la mancanza di standardizzazione nei sistemi d’arma europei. La guerra in Ucraina ha messo in evidenza le difficoltà logistiche derivanti dalle eterogeneità degli equipaggiamenti forniti dagli Stati membri. A titolo esemplificativo, l’Europa utilizza 12 diversi modelli di carri armati, mentre gli Stati Uniti ne producono solo uno. Nell’aviazione da combattimento, l’UE ha sviluppato tre veicoli distinti (Eurofighter, Rafale e Gripen), mentre la maggior parte della flotta europea è composta da caccia americani. Questa mancanza di integrazione riduce l’efficacia operativa, aumenta i costi di produzione e impedisce alle forze armate europee di agire in modo coordinato.
La necessità urgente di un comando operativo interforze europeo
Sulla carta, l’UE è oggi la seconda potenza mondiale per spesa militare; cionondimeno essa si deve interfacciare con un suo grande limite: l’impossibilità di impiegare queste risorse in modo coordinato a causa della mancanza di un sistema di comando e controllo unitario. In tal senso, il generale Fernando Giancotti propone una soluzione pragmatica ed immediatamente realizzabile: la creazione di un comando operativo interforze, una struttura che permetterebbe di coordinare le capacità militari esistenti, trasformando il potenziale difensivo frammentato degli Stati membri in un sistema coerente ed efficace. Questo comando, nell’idea del Generale, avrebbe un’architettura simile a quella di un quartier generale Nato, con componenti dedicati alle operazioni terrestri, marittime, aeree, spaziali e cyber. Un elemento chiave della proposta è la capacità del comando di orientare gli investimenti della difesa, garantendo che il potenziamento dell’industria europea sia guidato da esigenze operative concrete e non solo da logiche industriali e politiche.
Al di là della sua utilità operativa, il comando interforze europeo avrebbe un forte valore politico e strategico. La sua creazione potrebbe avvenire attraverso un’iniziativa ai 27 Stati membri, cercando l’unanimità. Qualora vi fossero resistenze, si potrebbe adottare la formula della Cooperazione rafforzata, prevista dalle norme comunitarie, che permetterebbe ai Paesi più determinati di procedere senza attendere il consenso di tutti. Non dimenticando di coinvolgere il Regno Unito, un partner chiave con capacità operative di eccellenza.
Infine, una questione cruciale si solleva: chi assegnerà la missione e garantirà la coerenza delle direttive strategiche di comando? La risposta del generale è la seguente: “L’idea è che se quelle forze dovranno mai combattere, sarà per un’emergenza esistenziale per l’Europa. In una tale situazione, la coesione emergerà con grande probabilità per la sopravvivenza, come è recentemente accaduto all’inizio della guerra in Ucraina. Tuttavia se non ci si prepara prima, non ci sarà certamente tempo di farlo al momento. La responsabilità di questa scelta e della definizione delle linee politico-strategiche per questa preparazione ricade sulla leadership politica delle nazioni europee.”[7] La finestra di vulnerabilità del continente è già aperta, e il rischio di dover affrontare future crisi senza un’adeguata preparazione è un lusso che l’Europa non può più permettersi.
Sicurezza europea e deterrenza nucleare: Macron rilancia il dibattito
L’incontro tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky ha rappresentato un punto di svolta nelle relazioni transatlantiche, mettendo ulteriormente in luce una realtà che l’Europa non può più ignorare: la sicurezza del continente non può più essere data per scontata né dipendere esclusivamente dalla protezione americana. L’UE si trova oggi di fronte ad una sfida esistenziale: rafforzare la propria capacità di difesa senza compromettere il legame transatlantico. L’autonomia strategica non deve essere interpretata in senso competitivo rispetto alla Nato, ma come un complemento essenziale per rafforzare la sicurezza collettiva del continente europeo e più in generale dell’Occidente.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha rilanciato il dibattito proponendo un’integrazione della forza nucleare francese in un sistema di deterrenza europeo, un’idea ambiziosa ma altamente divisiva. Da un lato, la creazione di un ombrello nucleare europeo sarebbe un segnale di maturità strategica, riducendo la dipendenza dall’arsenale statunitense e rafforzando la credibilità dell’UE come attore geopolitico autonomo. Dall’altro, diversi Stati membri, in particolare i paesi dell’Europa orientale, guardano questa proposta con sospetto, temendo che possa indebolire il legame con la NATO.
Un deterrente nucleare europeo avrebbe senso solo se accompagnato da un chiaro quadro politico e strategico, ad oggi assente. Inoltre, la deterrenza non è solo una questione tecnica o militare: richiede volontà politica e una dottrina chiara di utilizzo. Se l’Europa vuole dotarsi di un proprio strumento di dissuasione, dovrà prima dimostrare di avere una leadership unitaria capace di gestirlo in caso di crisi. Senza una coesione politica solida, qualsiasi proposta rischia di rimanere sulla carta.
[1] Trattato di Maastricht; 1992; versione modificata dal Trattato di Amsterdam del 1997; Articolo 17
[2] Data.consilium.europa.eu; Council Conclusions on the PESCO Strategic Review (PSR); 2024; https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-14375-2024-INIT/en/pdf
[3] Consilium,europa.eu; A Strategic Compass for security and defence; 2022; https://www.consilium.europa.eu/it/policies/strategic-compass/#progress
[4] Giancotti F.; Difesa europea, senza un comando unificato non si va da nessuna parte; formiche.net; 2025; https://formiche.net/2025/03/difesa-europea-senza-un-comando-unificato-non-si-va-da-nessuna-parte-lanalisi-di-giancotti/?amp
[5] Concilium.europe.eu; EU defence in numbers; 2024; https://www.consilium.europa.eu/en/policies/defence-numbers/
[6]People.defensenews; TOP 100 Defense companies; 2024; https://people.defensenews.com/top-100/
[7] Giancotti F.; Difesa europea, senza un comando unificato non si va da nessuna parte; formiche.net; 2025; https://formiche.net/2025/03/difesa-europea-senza-un-comando-unificato-non-si-va-da-nessuna-parte-lanalisi-di-giancotti/?amp

Studente del doppio diploma in Giurisprudenza francese e italiana presso l’Università degli Studi di Firenze e l’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne. Ha inoltre conseguito una laurea triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e un Master in Sicurezza Economica, Geopolitica e Intelligence. Fortemente interessato alle dinamiche europee con visione analitica e strategica.