Nel cuore del deserto del Gobi, lontano dai riflettori e dagli scenari consueti della politica internazionale, la Cina ha acceso nel 2025 il primo reattore nucleare a sali fusi alimentato a torio (TMSR-LF1).[1] Si tratta di un evento che potrebbe segnare una svolta epocale nella geopolitica energetica e tecnologica globale. Contemporaneamente, il progetto di una mega-portacontainer da 14.000 TEU, la KUN-24AP[2], dotata di un reattore a torio, prefigura uno scenario nel quale Pechino estende la propria influenza oltre le infrastrutture terrestri della Belt and Road Initiative, affermandosi come potenza marittima nucleare.

Questi sviluppi non rappresentano semplici tappe di un piano industriale, ma l’affiorare di una strategia coerente, capace di ridefinire la competizione internazionale per l’autonomia energetica, il dominio commerciale e l’egemonia tecnologica. Il torio, metallo abbondante ma storicamente trascurato, si sta trasformando in una risorsa critica al centro di una nuova geografia del potere.

Il torio come risorsa strategica: tecnologia, abbondanza e autonomia energetica

La Cina, storicamente dipendente dalle importazioni energetiche, ha identificato nel torio un vettore chiave per svincolarsi da una vulnerabilità strutturale. Attualmente, Pechino importa oltre l’80% dell’uranio utilizzato nei suoi reattori nucleari. Tale dipendenza si è rivelata rischiosa dopo l’incidente di Fukushima nel 2011, quando i fornitori internazionali hanno rivisto le proprie politiche commerciali e normative.

Il torio, invece, è abbondantemente presente nel territorio cinese. Uno studio del Servizio Geologico Nazionale ha identificato 233 nuovi siti con potenziale minerario, distribuiti tra Xinjiang, Guangdong e la Mongolia Interna, dove il giacimento di Bayan Obo potrebbe contenere oltre un milione di tonnellate di torio[3]. Una quantità teoricamente sufficiente a soddisfare il fabbisogno energetico cinese per 60.000 anni.

Questa risorsa, finora marginale nelle strategie nucleari globali, viene oggi pienamente integrata nella visione strategica cinese. L’attivazione del reattore TMSR-LF1, evoluzione del prototipo da 2 MW avviato nel 2021, ha confermato la maturità tecnologica della filiera nazionale del torio. I piani per un impianto da 60 MW termici entro il 2029 e una linea di reattori modulari da 100 MW a partire dal 2030 testimoniano l’ambizione di Pechino: diventare autosufficiente e pioniere globale nel nucleare di quarta generazione.

Questa scelta rappresenta una forma di geopolitica estrattiva alternativa: svincolandosi dall’uranio e dal gas naturale liquefatto (GNL), Pechino si emancipa da nodi strategici quali il Kazakistan, l’Australia, il Canada o lo stretto di Malacca, riducendo drasticamente l’esposizione a eventuali embarghi, crisi logistiche o sanzioni occidentali. Il torio, dunque, non è solo una risorsa energetica, ma un asset geopolitico in grado di rafforzare l’autonomia strategica cinese.

Il reattore a sali fusi, grazie alla sua efficienza e sicurezza intrinseca, consolida questa traiettoria. Il ciclo del torio produce quantità minime di scorie a lunga durata, riduce il rischio di proliferazione e, operando a pressione atmosferica, elimina le vulnerabilità tipiche del raffreddamento ad acqua. A differenza dell’uranio, inoltre, il torio genera uranio-233, utilizzabile ma più controllabile ai fini militari. Ciò consente a Pechino di promuovere il torio come fonte nucleare “green” e “non militare”, rafforzando il proprio soft power energetico nei consessi multilaterali e nelle partnership con i Paesi in via di sviluppo, soprattutto in Africa e Asia centrale.

La Cina sta infatti elevando il torio a pilastro della propria autonomia energetica nazionale, traducendo vantaggi tecnici in leva di potere. Le riserve interne di torio, la filiera nazionale per i reattori a sali fusi e l’obiettivo di smarcarsi dalla dipendenza da fornitori esterni permettono a Pechino di assumere una posizione meno vulnerabile nelle crisi globale. Ciò significa che in scenari di tensione – per esempio nello Stretto di Taiwan o nel Mar Cinese Meridionale – la Cina potrà contare su una catena logistica energetica indipendente, riducendo l’efficacia di misure di embargo o interruzione delle forniture. In questo modo il torio non è solo combustibile, ma strumento di deterrenza economica: chi detiene il combustibile ha già vinto metà della partita.

Dal Gobi agli oceani: riposizionamento marittimo e impatto geopolitico globale

La strategia navale cinese sul torio rappresenta una transizione dalla logica del trasporto alla logica del potere. Una nave da 14.000 TEU[4] alimentata per dieci anni senza scalo non è solo efficiente, è autonoma, in grado di operare su rotte presidiabili o strategiche senza dipendere da rifornimenti o presenze amiche. Questa autonomia logistica crea una nuova leva di penetrabilità commerciale e militare: dalle rotte artiche alle vie marittime africane, la Cina potrà proiettarsi con mezzi che scaricano sugli avversari non solo merci, ma anche infrastrutture energetiche. Il torio marittimo diventa dunque un moltiplicatore di potenza marittima, capace di rimodellare le catene globali, spostare hub portuali e riscrivere equilibri di forza.

La seconda grande implicazione del programma cinese sul torio riguarda il mare. La presentazione del progetto KUN-24AP, una portacontainer da 14.000 TEU alimentata da un reattore a sali fusi da 200 MW termici, rappresenta un punto di svolta nella transizione energetica del settore marittimo. La nave, progettata dalla Shanghai Merchant Ship Design & Research Institute (SDARI) e sviluppata da CSSC con la collaborazione della China National Nuclear Corporation (CNNC), prevede fino a 10 anni di navigazione senza rifornimenti.

In un settore responsabile del 90% delle emissioni dei trasporti internazionali e sottoposto a crescenti pressioni regolatorie da parte dell’IMO (International Maritime Organization), la Cina punta a imporsi con una tecnologia in grado di garantire navi più ecologiche, meno dipendenti dai combustibili fossili e quindi più competitive. Il vantaggio competitivo è duplice: tecnologico (Pechino è la prima a operare nel mercato) e logistico (la sua industria navale controlla già il 50% della flotta mondiale).[5]

Ma le implicazioni vanno oltre l’ambiente. Il torio consente alla Cina di immaginare una nuova infrastruttura marittima: rompighiaccio a torio per l’Artico, cargo a lungo raggio autonomi per le rotte africane, e un’espansione commerciale lungo corridoi marittimi meno presidiati dagli alleati occidentali. È il completamento marittimo della Belt and Road Initiative: una Via della Seta oceanica[6], resa sostenibile da un’energia illimitata e interna. In questo modo, Pechino può penetrare nuovi mercati, offrendo navi, reattori, finanziamenti e manutenzione, consolidando così la propria influenza in Asia Centrale, Africa, Sudamerica.[7]

Il dominio marittimo, potenziato dal torio, si traduce in una proiezione strategica non convenzionale: non solo militare, ma infrastrutturale. Il monopolio sulla tecnologia torica per usi marittimi potrebbe ridefinire le alleanze logistiche e commerciali nei prossimi due decenni. Inoltre, l’impiego di reattori compatti su navi civili introduce un nuovo dilemma per la sicurezza nucleare. Pur non trattandosi di materiale fissile nel senso tradizionale, la presenza di uranio-233 nei cicli torici è comunque oggetto di attenzione da parte dell’AIEA. La miniaturizzazione di questi reattori e il loro posizionamento in acque internazionali crea nuove vulnerabilità potenziali: traffici illeciti, incidenti tecnici, escalation in caso di crisi diplomatiche o conflitti.

Sul versante normativo e tecnologico, Pechino ha piazzato un primo vantaggio: sviluppare reattori a sali fusi al torio in un ambiente regolatorio ancora fluido consente di determinare standard e regole prima degli Stati Uniti e dell’Europa. In assenza di norme internazionali consolidate per la propulsione nucleare commerciale, la Cina può plasmare la governance della catena “nucleare marittimo‑civile” secondo modelli propri e favorire Paesi partner con accordi bilaterali. Nel lungo periodo, potrebbe generarsi una forma di dipendenza normativa: i porti, le rotte, la manutenzione dei mezzi nucleari potrebbero rientrare nella sfera d’influenza cinese. Questo sposta lo scenario dal mero “trasporto merci” alla competizione per la standardizzazione e l’egemonia infrastrutturale globale[8].

Un nuovo asset di potere

La scommessa cinese sul torio non è un episodio isolato di innovazione tecnologica, ma l’elemento chiave di una strategia sistemica che fonde energia, logistica, diplomazia e leadership industriale. In un mondo segnato da frammentazione geopolitica e crisi energetiche ricorrenti, Pechino punta a costruire un’infrastruttura autonoma – resiliente alle sanzioni, alle interruzioni delle catene del valore e ai vincoli regolatori occidentali.

Con la messa in funzione del reattore TMSR-LF1 e il progetto della KUN-24AP, la Cina segnala di essere pronta non solo a superare le tecnologie nucleari convenzionali, ma a sostituirne il paradigma. La disponibilità interna di torio – stimata in oltre un milione di tonnellate – rafforza questa ambizione: se confermata su scala industriale, permetterebbe a Pechino di affrancarsi dall’importazione di uranio (oggi all’80%) e di diventare il primo Stato in grado di controllare l’intero ciclo del nucleare di nuova generazione, dalla miniera alla nave cargo.

In questo scenario, il torio diventa una tecnologia abilitante, una piattaforma su cui costruire nuove rotte commerciali, esportare standard, creare dipendenze. Gli Stati Uniti e l’Europa, ancora vincolati a iter normativi lenti e a un’industria nucleare disarticolata, rischiano di perdere non solo una corsa energetica, ma una battaglia per l’influenza globale. Come nella guerra dei microchip, o nel dominio cinese sul solare e le batterie, la capacità di scalare tecnologie critiche con efficienza e continuità potrebbe rivelarsi decisiva.

Se il torio passerà da “promessa verde” a nuovo asset di potere, dipenderà non soltanto dalla Cina, ma dalla capacità delle democrazie industriali di offrire una visione alternativa: interoperabile, regolata e sostenibile. Per ora, la Cina corre da sola. Ma la traiettoria di questa corsa – energetica e geopolitica – sta ridisegnando le architetture di potere del XXI secolo.


[1] Articolo su Green Me del 22 aprile 2025: https://www.greenme.it/energia/nucleare-la-cina-ha-appena-acceso-il-primo-reattore-al-torio-al-mondo-che-potrebbe-cambiare-tutto/

[2] Articolo su Interesting Engineering del 6 novembre 2025: https://interestingengineering.com/transportation/thorium-powered-nuclear-cargo-ship

[3] Articolo su Seinet del 2 marzo 2025: https://www.startupeuropeindia.net/news/technology/chinas-thorium-breakthrough-a-game-changer-for-global-energy-in-2025

[4] TEU (Twenty-foot Equivalent Unit): misura standard utilizzata nel trasporto marittimo per esprimere la capacità di carico dei container. Un TEU equivale a un container di 20 piedi di lunghezza (6,1 metri), ed è usato per calcolare la quantità totale di container trasportabili da una nave o movimentati in un porto.

[5] Articolo su IndraStra: https://www.indrastra.com/2025/03/chinas-massive-thorium-discovery-sparks.html

[6] Belt and Road Initiative (BRI): iniziativa geopolitica e infrastrutturale promossa dalla Cina a partire dal 2013, che mira a creare una vasta rete di trasporti, rotte marittime e corridoi economici che colleghino l’Asia all’Europa e all’Africa, facilitando scambi commerciali e rafforzando l’influenza globale di Pechino. È nota anche come Nuova Via della Seta.

[7] Articolo su IEEE Spectrum https://spectrum.ieee.org/chinas-thorium-molten-salt-reactor

[8] Articolo su Startmag https://www.startmag.it/energia/tutto-sulla-sfida-fra-usa-e-cina-nel-nucleare/

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