GENOCIDIO, BELGIO E LA RECENTE ROTTURA DEI RAPPORTI
La storia delle relazioni diplomatiche tra Ruanda e Belgio è lunga e particolarmente complessa, marcata da un terribile segno chiamato colonialismo che, nonostante i 63 anni di indipendenza, rimarrà sempre impresso, in particolar modo per il suo legame non indifferente con il genocidio dei Tutsi, avvenuto nel 1994 dopo che il Belgio decise di ritirare le sue truppe sotto mandato ONU. Già in precedenza, però, il comportamento delle autorità belghe era stato controverso e fortemente criticato dagli analisti:[1]
“Un certo numero di interventi da parte dell’amministrazione belga ha razionalizzato, rafforzato ed esacerbato l’appartenenza etnica, trasformando infine i “gruppi etnici” in categorie politicamente rilevanti. Basti un solo esempio per illustrare questo punto. Operando nel contesto della cosiddetta “Ipotesi Camitica”, che presupponeva che i pastori “nilotici” o “camitici” possedessero una serie di qualità che li rendevano adatti a governare (Sanders 1969:521-532), l’amministrazione belga, sostenuta in questo dalla Chiesa cattolica, intraprese una politica di “tutsificazione” alla fine degli anni ’20. Mentre tradizionalmente anche gli Hutu e persino i Twa ricoprivano incarichi politici, amministrativi e giudiziari, tutte le funzioni furono progressivamente monopolizzate nelle mani dei Tutsi, persino in aree dove non avevano alcuna legittimità storica. Verso la metà degli anni ’30, nessun Hutu ricopriva più cariche politiche. Questa politica creò indubbiamente la percezione che i Tutsi fossero i governanti e gli Hutu i sudditi, una situazione che si rivelò insostenibile a metà degli anni ’50, quando la democratizzazione divenne un tema centrale e gli Hutu si resero conto che, pur essendo la maggioranza demografica, erano completamente esclusi dal potere”[2]
Dopo un primo periodo post-genocidio di gelo e accuse reciproche, durante il quale i rapporti diplomatici tra i due Paesi erano quasi inesistenti, negli ultimi anni sembrava esserci stato un riavvicinamento, definitivamente interrotto poche settimane fa con la notizia della rottura dei rapporti diplomatici tra Ruanda e Belgio. La decisione è arrivata dal governo ruandese, che ha accusato il Belgio di aver preso posizione a favore della Repubblica Democratica del Congo nel conflitto con i ribelli del M23 e di continuare a “mobilitarsi sistematicamente contro il Ruanda in vari forum, utilizzando bugie e manipolazioni per creare un’opinione ostile e ingiustificata nei confronti del Ruanda”. Nel comunicato del ministero ruandese si parla anche dei “patetici tentativi del Belgio di mantenere le sue illusioni neocoloniali”.
IL RUOLO DEL RUANDA NELLE AZIONI DEL MOVIMENTO M23 IN CONGO E LE SANZIONI UE
Ancora non abbiamo evidenziato il rapporto tra i ribelli del Movimento 23 Marzo[3] e il Ruanda, e questo paragrafo sarà cruciale nell’analisi dell’appoggio statale a un’entità controversa come l’M23, che da tempo tenta l’avanzata nella Repubblica Democratica del Congo (RDC). Secondo gli ultimi report delle Nazioni Unite, l’appoggio di Kigali al Movimento non è solamente “diplomatico” ma anche militare e logistico, con l’esercito ruandese che controllerebbe de facto i ribelli, fornendo inoltre armi avanzate che hanno contribuito alla conquista di gran parte di Goma. Dietro questo supporto ritorna nuovamente la questione del genocidio del 1994 e il ruolo importante nella RDC degli Hutu appartenenti alle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda, definiti dalle Nazioni Unite come “uno dei più grandi gruppi armati stranieri operanti nel territorio della RDC. Il gruppo è stato formato nel 2000 e ha commesso gravi violazioni del diritto internazionale, prendendo di mira donne e bambini nei conflitti armati, tra cui uccisioni e mutilazioni, violenze sessuali e sfollamenti forzati”.
All’ingerenza del Ruanda in Congo si oppone l’Unione Europea. L’Alta Rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’UE, Kaja Kallas, ha commentato l’attività diplomatica di Bruxelles parlando di importanti “sforzi diplomatici per favorire la pace”.
Nel frattempo, il governo del Congo, rappresentato dal presidente Tshisekedi, ha inviato una lettera all’omologo statunitense Donald Trump, offrendo l’accesso alle risorse minerarie del Paese in cambio di sostegno contro l’M23. Kinshasa dispone di importanti riserve di cobalto, litio e rame, materiali fondamentali per l’industria tecnologica di oggi e, secondo gli insider del Wall Street Journal, estremamente ambiti dagli americani. Gli Stati Uniti potrebbero inoltre sfruttare l’accordo per ridurre il controllo semi-totale della Cina nel settore minerario congolese.
LE PROSSIME MOSSE DEL RUANDA E IL RISCHIO DI UN’ESCALATION REGIONALE
La situazione rimane tuttora estremamente complessa, con il Ruanda che potrebbe addirittura puntare a un’escalation regionale che coinvolga parti del territorio di Burundi e Uganda, entrambi Stati con cui Kigali non intrattiene ottimi rapporti. In particolare, l’ultimo decennio è stato marcato da un costante inasprimento delle relazioni diplomatiche tra Ruanda e Burundi. La vicinanza del South Kivu e di Bukavu con il Ruanda potrebbe portare a un nuovo, ennesimo conflitto regionale.
[1]Colette Braeckman, “Belgium’s role in Rwandan genocide”, 11 giugno 2021, Le Monde Diplomatique https://mondediplo.com/2021/06/11rwanda
[2] Reyntjens, Filip. “Rwanda: genocide and beyond.” Journal of Refugee Studies 9.3 (1996): 240-251.
[3]Ian Wafula, “The evidence that shows Rwanda is backing rebels in DR Congo” , Bbc News, 29 gennaio 2025, https://www.bbc.com/news/articles/ckgyzl1mlkvo

Giornalista pubblicista con esperienza nell’ambito degli affari internazionali dopo tirocini nella comunicazione e sala stampa di Renault e dell’Istituto Affari Internazionali. Attualmente scrive per Agenzia Nova dopo essersi laureato con lode all’Università LUMSA in International Relations in the Digital Era.