Il Poker delle grandi potenze
La geopolitica contemporanea è sempre più assimilabile ad una complessa mano di poker non esente da bluff e strategie non convenzionali. I giocatori che confrontano su questo tavolo sono potenze del calibro di Stati Uniti ed Europa.
Le dichiarazioni ed i segnali lanciati da Washington, in particolare dal ritorno di Donald Trump, lasciano intendere una possibile ritirata americana dal teatro europeo o quantomeno una drastica riduzione dell’impegno militare e strategico nel continente; tuttavia è lecito domandarsi se questa minaccia sia reale oppure se si tratti di un bluff orchestrato per ridiscutere il potere imperiale degli Stati Uniti con i suoi Stati alleati europei.
I Governi europei, nonostante la difficile credibilità di un abbandono statunitense, si interrogano sulla sostenibilità di una difesa autonoma e sulla tenuta dell’ordine transatlantico. Infatti, come nel Poker, la minaccia di ritirarsi non deve necessariamente essere attuata per produrre effetti: è sufficiente che il bluff sia credibile per gli altri giocatori. Tra questi, l’Europa è probabilmente il più vulnerabile seduto al tavolo.
La paura dell’Europa
Da oltre ottant’anni, nel Vecchio Continente si è consolidata la convinzione che la guerra non rappresenti una preoccupazione diretta, essendo considerata una prerogativa degli Stati Uniti sia in termini offensivi che difensivi, grazie alla garanzia offerta dallo scudo dell’articolo 5 della NATO.
I segnali degli ultimi anni, specialmente dal ritorno di una vera e propria battaglia convenzionale sul territorio ucraino e dalla reazione di Washington ad essa, hanno trovato l’Europa spaesata nei confronti di un conflitto alle porte di casa. I paesi europei si trovano costretti a cercare una nuova protezione in grado di garantire loro la sicurezza che, a quanto pare, gli Stati Uniti non sono più pronti ad assicurare.
I segnali provenienti dagli USA, specialmente dopo il ritorno del tycoon come Presidente, hanno generato un effetto domino di dichiarazioni, proposte e scenari che tradiscono in realtà una profonda incertezza strutturale europea. Singoli Stati si sono mossi rilanciando l’idea di difesa comune nel tentativo di reagire a questa situazione di crescente insicurezza. La Francia si è proposta come perno di un possibile scudo nucleare europeo, offrendo il proprio arsenale atomico come garanzia sostitutiva o complementare alla deterrenza statunitense;[1] questa prospettiva, pur permanendo le ambiguità e le resistenze storiche, è stata accolta dalla Germania con relativo interesse, confermando l’inizio di un dibattito che fino a qualche tempo fa sarebbe stato considerato impensabile.[2]
In parallelo, nell’ambito dell’Unione Europea si è tornati a discutere della possibilità di una difesa comune che sia autonoma, svincolata o almeno indipendente dalla guida degli Stati Uniti. L’idea di creare una sorta di NATO europea ha acquisito nuovamente forza nei consessi europei istituzionali e non. Già nel marzo 2024 c’era stato un segnale lanciato dalla European Defence Industrial Strategy (EDIS)[3], una strategia messa in campo dalla Commissione mirata al rafforzamento della base industriale della difesa europea fino al 2035 per superare la frammentazione esistente e promuovere una maggiore interoperabilità tra gli Stati membri. Ma la proposta al centro del dibattito di queste settimane è il piano ReArm EU, lanciato dalla Commissione nel marzo 2025 poi rinominato “Readiness 2030”, che ha l’obiettivo di rafforzare le capacità militari dell’ Unione Europea con finanziamenti fino a 800 miliardi di euro. [4]
Nonostante queste proposte e questi sviluppi, permane una netta disomogeneità tra gli Stati membri a causa delle divergenze nella percezione della minaccia, nelle culture strategiche e nella volontà di investire risorse ingenti nella difesa.
In questo contesto, è importante ricordare che quasi tutte le nazioni del Vecchio continente affondano le proprie radici in tradizioni imperiali: un’eredità che rende difficile accettare la subordinazione delle proprie capacità difensive a quelle di altri Paesi europei. In questo senso, una potenza come la Turchia, che certamente ha solide basi da Impero, sta cercando di occupare abilmente lo spazio che gli Stati Uniti stanno progressivamente lasciando scoperto, come testimoniano le dichiarazioni emerse durante una conferenza stampa congiunta tra il Presidente del Consiglio dell’Unione Europea Tusk ed Erdogan.[5]
L’Europa è consapevole delle proprie fragilità e della vulnerabilità che un eventuale allontanamento degli Stati Uniti potrebbe generare, aprendo scenari finora impensabili. Tuttavia, non è ancora riuscita a delineare una strategia efficace in grado di rispondere al bluff statunitense e affermare una propria capacità di difesa autonoma e credibile, che dimostri a Washington di non dipendere più dal suo sostegno.
Il bluff statunitense
La postura degli Stati Uniti riflette un cambiamento strutturale nella visione imperiale nei confronti dell’Occidente ed in particolar modo dell’Europa. Questa rinegoziazione delle condizioni di permanenza risponde ad esigenze diverse, prevalentemente di politica interna: con il ritorno di Trump la sicurezza non è più un bene garantito dal centro imperiale, ma un servizio da pagare.
Il “grande bluff” consiste nell’annunciare la possibilità di un progressivo disimpegno dall’Europa, con l’obiettivo di ottenere una maggiore compartecipazione finanziaria, politica e militare da parte degli Stati europei. Questa strategia funziona perché, come dimostrato, il Vecchio Continente fatica a svincolarsi dalla propria subordinazione agli USA e non appare disposto a considerare partenariati alternativi con altre grandi potenze in ambito difensivo.
Tuttavia, la minaccia del disimpegno statunitense resta esclusivamente una minaccia: nessuna potenza egemone, neppure gli Stati Uniti, rinuncia volontariamente al controllo del continente geopoliticamente e strategicamente più rilevante del sistema internazionale.
La Cina sullo sfondo: minaccia o asso nella manica?
La vera minaccia per gli Stati Uniti è rappresentata dall’ascesa della Cina come potenza globale in grado di sfidarne l’egemonia su scala planetaria. In questo contesto si inserisce il tentativo, portato avanti in particolare dall’amministrazione Trump, di riallacciare un dialogo con la Russia al fine di evitarne un allineamento strutturale con Pechino. La logica imperiale statunitense mira a spezzare le alleanze tra potenze rivali per garantirsi margini di manovra globali, per fare questo Washington sarebbe disposta a rivedere le proprie priorità regionali, persino sacrificando in parte l’impegno in Europa, se questo servisse a garantire un contenimento efficace dell’ascesa di Pechino.
La Cina ha colto con lucidità il tentativo statunitense di allontanarla dalla Russia ed ha risposto con una strategia calibrata, rafforzando i legami economici e tecnologici con Mosca ma mantenendosi deliberatamente distante da qualsiasi coinvolgimento diretto sul piano militare.[6] Pechino continua a promuovere la propria narrativa imperiale attraverso un sofisticato utilizzo del soft power, presentandosi come un’alternativa sistemica all’ordine occidentale.
Per l’Europa, la rivalità sino-americana rappresenta l’occasione per “vedere” il bluff degli Stati Uniti: se riuscisse ad assumere un ruolo attivo, anche solo simulando un’apertura diplomatica verso Pechino, potrebbe rafforzare la propria posizione negoziale nei confronti degli USA. La Cina, pur non configurandosi necessariamente come un alleato, potrebbe essere un asso nella manica degli Stati europei da poter giocare per indurre Washington a riconsiderare ed a ritrattare l’allontanamento dal Vecchio Continente. Infatti, come evidenziato in precedenza, la forza del bluff americano si basa sulla presunta assenza di alternative credibili per l’Europa in materia di protezione. In questo senso, un contro-bluff calibrato, fondato sull’ambiguità e su una parziale apertura verso la Cina, potrebbe rivelarsi uno strumento efficace per costringere Washington a rinegoziare i termini della sua presenza strategica in Europa.[7]
Il momento di alzare la posta
La partita è ancora aperta e l’Europa non può più permettersi di limitarsi ad osservare le mosse degli altri giocatori; nel poker geopolitico continuare a dipendere dai bluff degli Stati Uniti significa accettare una posizione permanente di subalternità. L’illusione che la protezione statunitense sia eterna ed incondizionata si sta incrinando, e con essa anche l’idea di un ordine transatlantico immutabile.
L’obiettivo non dev’essere quello di sostituire l’alleanza con Washington, ma di rinegoziarla da una posizione di forza ed autonomia. D’altronde, nel poker non si vince solo con le carte in mano ma soprattutto con la capacità di leggere il tavolo. L’Europa deve decidere se restare una pedina del gioco altrui od affermarsi come attore strategico capace di rilanciare.
[1] Sorrentino R.; Macron ai francesi: offriremo scudo nucleare ad alleati europei. «Chi può credere che la Russia si fermerà all’Ucraina?»; il Sole 24 ore; 2025; https://www.ilsole24ore.com/art/macron-parla-francesi-entriamo-una-nuova-era-AGOiFOLD.
[2] Mattonai P.; La Germania s’aggrappa alla Bomba francese; in Domino rivista di Geopolitica; 2025.
[3] Defence Industry and Space; EDIS | Our common defence industrial strategy; https://defence-industry-space.ec.europa.eu/eu-defence-industry/edis-our-common-defence-industrial-strategy_en.
[4] Unione Europea; La Commissione presenta il Libro bianco sulla difesa europea e il piano ReArm Europe/ Readiness 2030; https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_25_793.
[5] Basaran E.; Il primo ministro polacco Tusk propone a Erdoğan ruolo attivo nei colloqui Mosca-Kiev; Euronews; 2025; https://it.euronews.com/2025/03/12/il-primo-ministro-polacco-tusk-il-processo-di-adesione-della-turchia-allue-sia-ora-realist.
[6] Perriello M.; I cinesi e la trappola americana; in Domino rivista di geopolitica; 2025.
[7] Fabbri D. Chi ha paura della Pace? – Il Grande Gioco; San Marino RTV – YouTube; 2025; https://www.youtube.com/watch?v=Lde7Sm_ub-I.
Immagine fatta con l’intelligenza artificiale

Laureato con il massimo dei voti in Studi Strategici e Scienze Diplomatiche, con una tesi sull’evoluzione dello Stato Islamico e la risposta delle intelligence. Ha maturato esperienza presso l’Ambasciata d’Italia a Tel Aviv, occupandosi di analisi e produzione di report su war briefing. Ha inoltre collaborato con enti privati per l’organizzazione di eventi istituzionali presso il MAECI e il Senato. Appassionato di Geopolitica e Sicurezza Internazionale.