Nel 1994, Recep Tayyip Erdoğan veniva eletto sindaco di Istanbul, una delle cariche politiche più influenti nel Paese per via del ruolo della città come principale centro economico e industriale, nonché città più grande e popolosa della Turchia.
Oggi Erdoğan è in carica per il suo terzo mandato consecutivo come Presidente della Repubblica di Turchia – diventata di fatto una Repubblica presidenziale – dopo aver ricoperto anche il ruolo di Primo ministro del Paese. Sotto la sua guida Ankara sta gradualmente incrementando il suo peso nello scacchiere internazionale, beneficiando anche di eventi geopolitici regionali più recenti, primo fra tutti il crollo del regime di al-Asad nella vicina Siria, a dicembre 2024.
La strategia di Erdoğan si costruisce attorno a due linee principali: da un lato, il consolidamento del suo potere sul versante interno; dall’altro, l’accrescimento del peso della Turchia nello scenario internazionale e in particolare nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale, offrendosi come attore stabilizzante, ma anche come esportatore di armi e potenziale hub energetico.
Rimodellare l’opposizione interna
Il 19 marzo 2025, il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoğlu è stato arrestato – insieme a giornalisti e altre personalità di spicco nel Paese – con accuse di corruzione e presunti legami con gruppi terroristici. L’arresto del sindaco, esponente del Partito Popolare Repubblicano (CHP) e leader dell’opposizione, ha preceduto le primarie del CHP del 23 marzo, nelle quali sarebbe stato scelto il candidato per le prossime presidenziali turche, programmate per il 2028.
In quello che appare come un tentativo di impedire la candidatura di Imamoğlu alle presidenziali, il sindaco – che già in precedenza è stato oggetto di svariate vicende giudiziarie – ha anche visto revocare il suo diploma universitario, conseguito presso l’Università di Istanbul. La mossa, giustificata da presunte irregolarità, rischia di ostacolare ulteriormente la corsa di Imamoğlu alla presidenza poiché la legge turca circoscrive la possibilità di competere nelle presidenziali a chi è in possesso di un diploma di Laurea.
Oltretutto, il ritiro del diploma è indice della presa solida che già da diversi anni Erdoğan esercita sul sistema universitario turco. Più volte nel corso della storia del Paese, gli ambienti universitari hanno rappresentato un’arena di dissenso rispetto alla deviazione autoritaria e religiosa del Governo, in uno Stato nato teoricamente su robuste fondamenta secolari.
In questo senso, si ricordino la nutrita partecipazione di studenti e accademici durante le proteste di Gezi Park nel 2013 e, nel 2021, le manifestazioni organizzate da studenti e docenti dell’Università Boğaziçi di Istanbul, a seguito della nomina diretta da parte di Erdoğan del nuovo rettore dell’Istituto. La scelta di Melih Bulu – politico fedele al Partito Giustizia e Sviluppo del Presidente – per assumere questa carica ha suscitato la contrarietà del corpo docente, che ha rivendicato maggiore autonomia e libertà accademiche.
In secondo luogo, gli ultimi eventi relativi all’arresto di Imamoğlu hanno dimostrato una crescente libertà d’azione del Presidente turco, il quale di fatto non ha incontrato sul fronte internazionale particolari impedimenti al suo progetto. Al proposito, è importante notare la mancata condanna da parte di Trump, il quale è intento in una campagna simile di influenza sul mondo accademico.
Parallelamente, a maggio il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) ha ufficialmente annunciato il proprio scioglimento come parte di un’iniziativa di pace avanzata da Ankara e da Abdullah Öcalan, fondatore e leader del gruppo, detenuto dal 1999. Citando il compimento della sua missione originaria e la volontà – comune al Governo turco – di perseguire obiettivi democratici, il PKK ha dichiarato il cessate-il-fuoco unilaterale, ponendo fine a oltre quarant’anni di conflitto interno[1].
La conseguenza più evidente di questa svolta è l’aumento del supporto sia popolare che politico in favore di Erdoğan. Da un lato, infatti, fornisce al Governo di Ankara la possibilità di incentivare lo sviluppo nella regione sud-orientale a maggioranza curda del Paese, e di dare un’idea di pluralismo e democrazia. Dall’altro, l’iniziativa di pace con il PKK avvicina il partito di Erdoğan a quello filo-curdo dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli (DEM), che infatti ha svolto un ruolo determinante nello scioglimento del gruppo[2]. Nel frattempo, quell’opposizione più compatta e difficile da gestire incarnata da Imamoğlu – peraltro sempre più popolare tra gli elettori curdi[3] – viene indebolita e marginalizzata con arresti e detenzioni.
Il DEM rappresenta una risorsa preziosa per il Presidente. Se questi, infatti, volesse candidarsi nuovamente alle presidenziali del 2028, infrangerebbe il limite costituzionale del numero di mandati. Se, però, il Parlamento indicesse delle elezioni anticipate, l’art. 116 della Costituzione turca ammette in tal caso che il Presidente si candidi ancora una volta.
Affinché il Parlamento proclami delle snap elections, Erdoğan deve ottenere una maggioranza di tre quinti, ovvero 360 voti. Al momento, i partiti che in Parlamento formano l’alleanza del Presidente ricoprono 318 seggi, mentre i DEM ne detengono oltre 50. Pertanto, il supporto di questi ultimi permetterebbe a Erdoğan di ottenere la maggioranza necessaria per far sì che vengano indette delle elezioni anticipate e quindi ricandidarsi.
La Turchia tra USA e Siria
Al contempo, la riappacificazione con i curdi del PKK può aver costituito un fattore stabilizzante anche nella vicina Siria. Precisamente, in seguito al crollo del regime di Baššār al-Asad, in Siria si è posto il problema di riunire le numerose milizie armate nel quadro dell’esercito nazionale. Tra gli attori armati uno dei principali è l’SDF, alleanza di milizie curde e ala militare dell’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est, che ha fornito un supporto indispensabile agli Stati Uniti nella lotta contro lo Stato Islamico.
In questo contesto, il 10 marzo scorso l’attuale leader siriano Aḥmad al-Sharaʿ e le SDF hanno stipulato un accordo finalizzato all’integrazione di queste ultime nell’esercito siriano[4], sebbene le modalità di questa incorporazione rimangano da definire, così come il futuro dell’Amministrazione Autonoma.
L’accordo produce effetti positivi per più di una parte coinvolta. Per la Siria, esaurisce la principale giustificazione delle incursioni militari turche nella regione nord-orientale ed evita l’apertura di un ulteriore fronte; per la Turchia, inquadra i curdi nell’esercito di un “nuovo Stato”, ora appoggiato da Ankara; infine per gli Stati Uniti, consente il ritiro delle loro truppe dal suolo siriano. Nel concreto, l’esercito USA ha già iniziato a ritirarsi gradualmente dal territorio e a ricollocarsi in aree più ristrette, motivando la decisione con i successi raggiunti nel contrasto all’ISIS[5].
La smilitarizzazione delle milizie siriane, che non solo sono armate ma controllano anche porzioni di territorio, è intrecciata tanto con la sicurezza e stabilità della regione, quanto con una questione squisitamente economica. Di fatto, un grande incentivo alla deposizione delle armi e alla conseguente integrazione nell’esercito nazionale – senza comunque sottovalutare le divisioni ideologiche e religiose – è la prospettiva di un vantaggio prima di tutto economico.
In questo senso, la decisione di Trump di rimuovere le sanzioni contro la Siria, incentivandone la rinascita economica, si muove nella stessa direzione della stabilizzazione del Paese. Infatti, la ripresa economica comporta la possibilità di offrire una regolare retribuzione all’esercito e dunque incoraggia l’integrazione dei gruppi armati irregolari[6].
La Turchia, che infatti ha ampiamente pressato il Presidente USA per ottenere la revoca delle sanzioni[7], è uno dei principali beneficiari di questa scelta politica, sia per le conseguenze securitarie di cui sopra, sia anche e soprattutto in termini economici. Di fatti, una volta abolite le sanzioni, Ankara – e nello specifico i suoi settori bancario ed edile – può rileggere la Siria in qualità di Stato allineato da ricostruire e nel quale investire largamente.
Il ruolo strategico per l’UE
Ankara riveste un ruolo essenziale per l’Unione europea in virtù della sua posizione strategica. La Turchia, infatti, si estende su un’area critica per l’UE al fine di respingere un eventuale avvicinamento di Mosca nel Mar Nero e nel Caucaso, svolgendo un ruolo centrale in termini di deterrenza e protezione. Al contempo, il Paese intrattiene da anni relazioni bilaterali sia con l’Ucraina – principalmente nel settore della difesa – che con la Russia – soprattutto per quel che concerne energia e turismo – per questo si propone come naturale mediatore nel conflitto russo-ucraino.
La stessa Turchia ha interesse nel mantenere un ruolo neutrale in questa guerra, poiché da un lato vuole limitare le pressioni russe nel Mar Nero, per preservare l’equilibrio di influenze politiche ed economiche, ma dall’altro punta a mantenere il rapporto privilegiato che intrattiene con Putin. Non stupisce il fatto che Ankara non abbia riconosciuto l’annessione della Crimea nel 2014 – anche per il valore simbolico della penisola, nell’eco della guerra russo-turca del 1787 e dei legami con la popolazione tatara locale[8] – e che, al tempo stesso, si sia distanziata dalle sanzioni europee ai danni di Mosca.
In questo contesto si inseriscono gli sforzi di mediazione che Erdoğan ha compiuto sin dal principio del conflitto; ne costituisce un esempio il Grain Deal di luglio 2022, per la creazione di un corridoio sicuro per le esportazioni di grano ucraino nel Mar Nero. Sforzi che sono proseguiti anche nelle ultime settimane con gli incontri diretti tra Mosca e Kiev a Istanbul.
Gli investimenti nella difesa
Al momento, la Turchia possiede il secondo esercito permanente più grande della NATO[9] e nel 2024 ha aumentato fino al 70% la produzione domestica nel settore della difesa. L’obiettivo di Ankara è quello di raggiungere un alto livello di indipendenza strategica – anche attraverso il rafforzamento della cooperazione Stato-Università-Industria e il potenziamento della supply chain – riducendo progressivamente la dipendenza da sistemi e componenti stranieri[10] e rinforzando il suo potenziale di hard power.
La Turchia sta anche investendo nella realizzazione della sua Steel Dome (“Cupola d’acciaio”), ovvero un sistema (supportato dall’Intelligenza Artificiale) per salvaguardare il Paese da eventuali minacce aeree, seguendo il modello dell’Iron Dome israeliana[11].
La volontà di perseguire l’indipendenza strategica è innanzitutto l’effetto di ripetute frustrazioni rispetto alle relazioni con il mondo occidentale, dall’alleanza tra curdi e statunitensi contro lo Stato islamico all’esclusione di Ankara dall’East Mediterranean Gas Forum, fino alle sanzioni imposte alla Turchia da Stati Uniti[12] e Unione europea[13].
In aggiunta, in linea con gli sforzi per rivestire un ruolo egemonico a livello regionale e globale, la Turchia ambisce a diventare un security provider internazionale. Di fatto, nell’ultimo decennio ha incrementato notevolmente il suo volume di esportazioni nei settori della difesa e dell’aerospazio, fino a toccare i 7.2 miliardi di dollari nel 2024[14] – il 29% in più rispetto all’anno precedente.
I primi beneficiari dell’export della difesa turco sono gli Stati membri della NATO, l’Ucraina, alcuni Stati dell’area MENA e il Pakistan, con il quale Ankara è strategicamente e ideologicamente allineata, anche in funzione del progetto di Erdoğan di proporsi come leader politico e spirituale della Umma[15].
Il Paese asiatico, infatti, sta collaborando con la Turchia nella ricerca e nella produzione di droni domestici, come si è evinto dall’ultimo scontro con l’India – quest’ultima da più tempo determinata a contrastare l’asse di influenza turco anche nel Mediterraneo orientale e nel Caucaso[16]. Concretamente, la disputa iniziata il 7 maggio nel Kashmir ha visto il dispiegamento di droni di produzione turca da parte del Pakistan contro droni di origine israeliana da parte dell’India.
Il progetto Turkey-Qatar gas pipeline
La Turkey-Qatar gas pipeline è un progetto per la costruzione di un gasdotto dal Qatar alla Turchia, transitante per la Giordania e la Siria, annunciato nel 2009. Il progetto fu sospeso a seguito dello scoppio della guerra civile siriana e per altre cause parallele, tra cui i dissapori tra Qatar e Arabia Saudita nonché tra la Turchia e il regime di al-Asad; infine, a causa del crollo dei prezzi del petrolio nel 2014[17].
La realizzazione di questo progetto – ancora solo teorico – renderebbe la Turchia un importante hub energetico per l’Europa e offrirebbe un’alternativa al gas russo e al parallelo India-Middle East-Europe Corridor (IMEC). Quest’ultimo individua Israele come punto di snodo fondamentale, ragion per cui la presenza del gasdotto tra Qatar e Turchia rappresenterebbe una cospicua perdita per Tel Aviv.
Tuttavia, il progetto IMEC sta già affrontando una fase critica a causa dello stallo nella normalizzazione dei rapporti tra Israele e mondo arabo a partire dal 7 ottobre 2023. Inoltre, dobbiamo notare che al momento il Governo Netanyahu si trova di fronte ad aspre critiche avanzate da alcuni Stati UE in risposta alle sue modalità di intervento militare nella Striscia di Gaza ed è bloccato in una guerra che non è riuscito a prevenire né è in grado di concludere. Motivi per i quali potrebbe suscitare dubbi sulla sua tenuta e sulla sostenibilità securitaria del Paese.
L’attuale congiuntura storica e geopolitica favorisce la possibilità di rivivificare il progetto della Turkey-Qatar gas pipeline, vista anche la necessità espressa dall’Unione europea di diversificare le sue fonti di approvvigionamento di gas e petrolio. Ciononostante, mentre il Ministro turco dell’Energia ha menzionato un potenziale ripristino del piano, il Qatar è ancora scettico e focalizzato prima di tutto sull’obiettivo preliminare di stabilizzazione a lungo termine della Siria[18]. Pertanto, l’ipotesi effettiva di un gasdotto dal Qatar alla Turchia rimane ancora remota.
Conclusioni
Da anni la Turchia di Erdoğan segue un piano di espansione della sua influenza a livello regionale e globale. Si è evidenziato come la sua strategia poggi su alcuni pilastri fondamentali, dalla solidità del Governo sul fronte domestico a investimenti ed export nella difesa, fino all’allargamento del settore energetico. Per fare questo Ankara sfrutta alcuni fattori di vantaggio sia strutturali – come la sua posizione geografica “intermedia” e le infrastrutture energetiche preesistenti – che contingenti – quali il crollo del regime siriano e il ritorno di Trump alla presidenza USA, con le relative conseguenze.
Soprattutto, l’attuale strategia di Ankara consiste nel rafforzare la sua indipendenza, senza però trascurare e, anzi, investendo nelle relazioni, presentandosi anche come punto di congiunzione tra l’Occidente e il resto del mondo. Per questo, la Turchia punta sul bilanciamento dei rapporti tra le grandi potenze mondiali, creando relazioni solide ma non esclusive che non necessariamente riflettono un allineamento totale tra due Paesi. È il caso dell’intesa energetica e commerciale tra Ankara e Mosca, controbilanciata dalle posizioni contrapposte in scenari geopolitici alternativi, come la Libia e – fino a pochi mesi fa – la Siria. Il progetto di Erdoğan è ambizioso e virtualmente realizzabile se si valuta l’attuale contesto geopolitico multipolare, unito al crescente disinteresse per gli affari interni degli altri Stati, soprattutto da parte degli Stati Uniti. Dall’altro lato, però, un progetto così esteso richiede ingenti risorse economiche, oltre a una generale stabilità politica nell’area, fattori che possono ridimensionarne la sostenibilità. Senza contare la presenza di Israele, uno dei principali competitor ideologici e commerciali della Turchia nella regione, e dell’India, rispetto ai quali Ankara non nasconde il proprio disallineamento.
[1] Times of Israel, “Kurdish PKK group will disband and disarm as part of peace initiative with Turkey”, 12 maggio 2025; https://www.timesofisrael.com/kurdish-pkk-group-will-disband-and-disarm-as-part-of-peace-initiative-with-turkey/
[2] DEM Party, “Call for Peace and Democratic Society”, 2025; https://www.demparti.org.tr/en/call-for-peace-and-democratic-society/20770/
[3] Şar E., “The DEM Party and Turkey’s Kurdish issue”, Middle East Institute, 9 luglio 2024; https://mei.edu/publications/dem-party-and-turkeys-kurdish-issue
[4] Salesio Schiavi F., “Ahmed al-Sharaa’s deal with the SDF: A new chapter for Syria’s Kurds or a temporary arrangement?”, The New Arab, 18 marzo 2025; https://www.newarab.com/analysis/ahmed-al-sharaas-deal-sdf-new-chapter-syrias-kurds
[5] The New Arab, “US to formalise military presence in Syria with new deal”, 6 giugno 2025; https://www.newarab.com/news/us-formalise-military-presence-syria-new-deal
[6] Reuters, “Syria after Assad”, 3 maggio 2025; https://www.reuters.com/podcasts/syria-after-assad-2025-05-03/?utm_source=Sailthru&utm_medium=Newsletter&utm_campaign=Daily-Briefing&utm_term=051425&lctg=66b7ae74956e01975703fb66
[7] Tharoor I., “Trump’s Middle East trip coincides with a big week for Turkey’s Erdogan”, The Washington Post, 14 maggio 2025; https://www.washingtonpost.com/world/2025/05/14/trump-middle-east-turkey-erdogan-pkk/
[8] Ianni A., Mammadova N., Ünver Noi A., Giannotta V., “The evolution of Türkiye’s ambitions in the wider Mediterranean and its possible effects on Italy”, Centro Studi di Politica Internazionale, 2023, pp. 7, 8.
[9] Al Jazeera, “Turkiye’s booming defence industry – a quick look”, 17 marzo 2025;
https://www.aljazeera.com/news/2025/3/17/heres-a-look-at-turkiyes-booming-defence-industry
[10] Yanık T., “Turkish defense industry reaches 70% domestic production capacity”, Anadolu Ajansı, 28 dicembre 2024; https://www.aa.com.tr/en/economy/turkish-defense-industry-reaches-70-domestic-production-capacity/3436325
[11] Moyeuvre P., “Turkey: the ‘Steel Dome’ project”, IRIS, 5 febbraio 2025; https://www.iris-france.org/en/turquie-le-projet-dome-dacier/
[12] Bozkurt A., “US sanctions on Turkey’s defense sector deliver deeper blow, widening ripple effects”, Nordic Monitor, 16 aprile 2025; https://nordicmonitor.com/2025/04/us-sanctions-on-turkeys-defense-sector-deliver-deeper-blow-widening-ripple-effects/
[13] Council decision (CFSP) 2019/1894; Council regulation (EU) 2019/1890.
[14] Tanchum M., “Turkey Competes with Israel and India to be a Major MENA Weapons Supplier”, The Turkey Analyst, 21 marzo 2025;https://www.turkeyanalyst.org/publications/turkey-analyst-articles/item/731-turkey-competes-with-israel-to-be-a-major-mena-weapons-supplier.html#:~:text=According%20to%20the%20Secretariat%20for,Peace%20Research%20Institute%20(SIPRI).
[15] The Economic Times, “Turkish drones: What explains Erdogan’s hand behind Pakistan’s aggression?”, 9 maggio 2025; https://economictimes.indiatimes.com/news/defence/turkish-drones-what-explains-erdogans-hand-behind-pakistans-aggression/articleshow/121035328.cms?from=mdr
[16] Ibid.
[17] Rettig E., “The Syrian Pipeline Game: How Turkey’s Plans Affect Israel’s Regional Ambitions”, The Begin-Sadat Center for Strategic Studies, 13 gennaio 2025; https://besacenter.org/the-syrian-pipeline-game-how-turkeys-plans-affect-israels-regional-ambitions/
[18] Turkish Minute, “Qatar rules out prospects of revival of pipeline project via Turkey, Syria: report”, 8 gennaio 2025; https://www.turkishminute.com/2025/01/08/qatar-rules-out-prospects-of-revival-of-pipeline-project-via-turkey-syria-report3/
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Laureata in Investigazione, Criminalità e Sicurezza internazionale con una tesi sul ruolo delle mafie italiane nel migrant smuggling e human trafficking dall’Africa occidentale e settentrionale all’Italia. Attualmente frequenta un Master in Intelligence economica e Intelligenza Artificiale. Si interessa di geopolitica, immigrazione, terrorismo e sicurezza.