Il panorama economico globale è stato scosso da una serie di mosse audaci e, per certi versi, controverse. Tra queste, spicca la politica tariffaria del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha ripreso in mano l’arma dei dazi per cercare di rimettere in riga il commercio internazionale.
La politica dei dazi adottata da Donald Trump nel 2025 rappresenta un punto di svolta significativo nella storia commerciale degli Stati Uniti. Dal primo giorno del suo insediamento, Trump ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale: in via ufficiale il motivo sarebbe un’emergenza di traffico di droga tramite l’immigrazione irregolare, ma tramite lo stato di emergenza il Presidente può emettere in autonomia ordini esecutivi. Trump quindi può saltare il voto del Congresso ed i normali passaggi democratici, prendendo le decisioni in totale autonomia.. Tra i continui annunci, ci sono quelli riguardanti i dazi, che dall’insediamento del tycoon nel gennaio 2025, stanno contribuendo ad aumentare la tensione riguardo il commercio internazionale.
La tematica non suona di certo nuova: durante le sue campagne elettorali, sia nel 2016, che nel 2024, Donald Trump ha fatto dei dazi un elemento centrale della sua retorica economica e politica, presentandoli come strumenti per proteggere l’economia americana e riportare lavoro e produzione negli Stati Uniti. Le sue promesse sui dazi rientrano pienamente nella dottrina America First e nella visione Make America Great Again, orientata a ridurre la dipendenza economica dall’estero e rafforzare l’autosufficienza nazionale.
Gli obiettivi dei dazi di Trump[1]
1. Proteggere e rilanciare l’industria americana
Uno dei cardini della politica economica di Trump è la volontà di “rivoluzionare” l’industria statunitense. Secondo il Presidente, il problema principale degli Stati Uniti è rappresentato da una forte dipendenza dalle importazioni, che porta a squilibri commerciali e a una perdita di competitività per le aziende locali. L’obiettivo principale è quello di incentivare le imprese a produrre sul territorio nazionale, proteggere i posti di lavoro e stimolare gli investimenti interni.[2]

I dazi, in questo contesto, non sono semplicemente un mezzo per tassare le merci in ingresso, ma un vero e proprio strumento per creare un ambiente economico favorevole alla produzione interna. L’idea è quella di rendere meno conveniente per le aziende straniere vendere negli Stati Uniti, costringendole a riconsiderare le proprie strategie di produzione e, possibilmente, a spostare parte della produzione sul suolo americano. In questo modo, si potrebbe ridurre la dipendenza dalle catene di approvvigionamento internazionali e rafforzare il “Made in USA”.
2. Incrementare le entrate per il bilancio federale
Oltre a proteggere l’industria nazionale, un altro aspetto fondamentale della strategia tariffaria riguarda l’aumento delle entrate statali. I dazi, infatti, rappresentano una fonte di entrate potenzialmente rilevante: applicando percentuali significative su prodotti chiave provenienti da paesi come Cina, Canada e Messico, il governo statunitense può raccogliere fondi che, in teoria, andrebbero a finanziare la spesa pubblica e, soprattutto, a compensare il costo dei tagli fiscali.
3. Utilizzare i dazi come leva diplomatica
Un terzo obiettivo, forse meno immediato ma altrettanto strategico, è quello di utilizzare i dazi come strumento di negoziazione internazionale. Trump ha spesso sottolineato che le sanzioni economiche tradizionali non sono sufficienti per ottenere concessioni concrete dai paesi con cui gli Stati Uniti hanno rapporti commerciali. Al contrario, la minaccia di imporre tariffe elevate su beni di importanza strategica diventa una leva potente nelle trattative diplomatiche.
4. Contrastare le pratiche commerciali ritenute sleali
Un ulteriore aspetto spesso evidenziato da Trump riguarda la necessità di contrastare quelle che considera pratiche commerciali scorrette, soprattutto da parte della Cina. In questo scenario, i dazi di Trump diventano uno strumento per “livellare” il campo di gioco, costringendo la Cina a riconsiderare alcune delle sue politiche economiche.
Misure adottate da Trump per raggiungere gli obbiettivi[3]
Uno dei provvedimenti più emblematici è stata l’introduzione di una tariffa generale del 10% su tutte le importazioni, una mossa presentata come necessaria per tutelare l’economia americana e riequilibrare la bilancia commerciale. Ma questa misura ha rappresentato solo l’inizio di un approccio più ampio e aggressivo.
In particolare, la Cina è stata nuovamente nel mirino di Trump: i dazi sui prodotti cinesi sono stati progressivamente alzati fino a raggiungere il 145%, con l’obiettivo dichiarato di ridurre la dipendenza americana dalle forniture asiatiche e costringere Pechino a concessioni commerciali. Questa linea dura ha però avuto effetti immediati: la Cina ha reagito con contro-dazi pesanti, pari al 125%, colpendo settori strategici dell’export statunitense come agricoltura, aerospazio e semiconduttori.
Anche altri partner commerciali storici degli Stati Uniti non sono stati risparmiati. L’Unione Europea ha visto applicarsi una tariffa del 20% su tutte le sue esportazioni verso gli USA, mentre il Giappone si è trovato a dover affrontare dazi del 24%. Il Regno Unito è stato colpito con una tassa più moderata, al 10%, ma comunque significativa. Canada e Messico, invece, hanno vissuto una situazione più instabile: inizialmente colpiti da dazi del 25%, hanno beneficiato di una sospensione temporanea di 90 giorni, che ha lasciato margine a possibili negoziati bilaterali[4].
A queste misure si sono aggiunti dazi specifici per settori particolarmente sensibili. Il settore automobilistico, ad esempio, è stato oggetto di un’imposta del 25% su tutti i veicoli importati, colpendo duramente le case europee e giapponesi. Anche acciaio e alluminio hanno subito nuove tariffe del 25%, scatenando la reazione dell’Unione Europea, che ha annunciato contromisure del valore di oltre 26 miliardi di euro.
Nel tentativo di aprire nuovi canali negoziali, Trump ha concesso una sospensione di 90 giorni dei dazi per la maggior parte dei paesi – esclusa però la Cina – con la promessa di abbassare le tariffe in cambio di accordi commerciali più favorevoli per gli Stati Uniti.
Queste politiche hanno alimentato un clima di incertezza sui mercati internazionali, con molte imprese che hanno rallentato gli investimenti in attesa di sviluppi. L’approccio di Trump ha segnato un ritorno deciso al protezionismo.
Una formula che fa discutere
Come accennato prima, con l’Executive Order del 2 aprile 2025, Trump ha imposto un dazio aggiuntivo ad valorem del 10% su tutte le importazioni da tutti i partner commerciali a partire dal 5 aprile e dal 9 aprile. Tale dazio è aumentato per le importazioni di tutti i prodotti dei Paesi elencati nell’Allegato I del EO, alle aliquote stabilite in tale documento. Durante la conferenza al Giardino delle Rose della Casa Bianca, Trump ha parlato di dazi reciproci, spiegando che il meccanismo è molto semplice: «loro fanno questo a noi e noi lo facciamo a loro». La critica comune fatta da economisti ed esperti è la modalità di calcolo dei dazi imposti dagli altri stati nei confronti degli Stati Uniti: attraverso il deficit commerciale degli USA verso un determinato paese, il quale viene diviso per il totale delle importazioni americane da quel determinato paese, e poi il risultato viene dimezzato. La formula completa include l’elasticità della domanda di importazioni, che misura quanto variano le importazioni al cambiare dei prezzi, e il coefficiente di trasmissione dei dazi, che indica quanta parte del dazio si trasferisce effettivamente sui prezzi finali. L’amministrazione Trump ha scelto un’elasticità pari a 4 (significativamente superiore al valore di 2 indicato dagli studi recenti) e un coefficiente di trasmissione di 0,25 (molto basso rispetto all’esperienza storica). Queste scelte parametriche, secondo il Financial Times, appaiono calibrate per ottenere risultati predeterminati piuttosto che per riflettere la realtà economica[5].
l problema non è nella matematica ma nell’applicazione politica di questa formula al commercio internazionale. Gli economisti criticano questo approccio perché utilizza un’equazione elementare per determinare tariffe che impattano su fenomeni economici complessi, presentando una scelta politica come se fosse un calcolo oggettivo. Trump ha trasformato la sua visione politica sul commercio in una formula, partendo dal presupposto che il deficit commerciale sia sempre indicativo di uno squilibrio da correggere. Le principali testate giornalistiche economiche sottolineano come questa visione contraddica la teoria economica moderna, secondo cui gli squilibri commerciali sono spesso il risultato naturale di differenze strutturali tra economie, non necessariamente di barriere o pratiche scorrette.
Gli esperti sottolineano anche aspetti problematici nella selezione dei dati. La formula, infatti, considera esclusivamente il commercio di beni fisici, escludendo il settore dei servizi dove gli Stati Uniti godono di un consistente surplus, citando già alcune tra le aziende più importanti del terzo settore: Microsoft, Apple, Amazon, Nvidia. Questa selettività induce a pensare la formula come uno strumento politico, non una misurazione economica oggettiva.
Principali contromisure dei paesi maggiormente colpiti dai dazi
Le politiche commerciali protezionistiche dell’amministrazione Trump, hanno innescato una serie di contromisure da parte di diversi paesi, intensificando le tensioni globali.
L’Unione Europea ha imposto dazi su prodotti americani (bourbon, jeans, Harley-Davidson) per un valore di 26 miliardi di euro, in risposta ai dazi USA su acciaio e alluminio. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha definito le tariffe USA “restrizioni commerciali ingiustificate” e ha sottolineato la disponibilità dell’UE a revocare le contromisure qualora si raggiunga una soluzione negoziata.
Il Canada ha reagito con tariffe su beni statunitensi per oltre 20 miliardi di dollari, colpendo acciaio, alluminio e tecnologia. Il premier canadese in pectore, Mark Carney, ha espresso la volontà di dialogare con Trump, ma solo in un contesto di rispetto reciproco.
La Cina, come già accennato, ha annunciato e implementato “contromisure corrispondenti”. Pechino ha inoltre dichiarato l’intenzione di ricorrere all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) per contestare le pratiche statunitensi, ritenute una violazione delle regole commerciali internazionali
Il Messico ha reagito alle accuse statunitensi di presunte alleanze con organizzazioni criminali e all’imposizione di dazi, annunciando l’implementazione di tariffe per difendere gli interessi nazionali. La presidente Claudia Sheinbaum ha respinto le affermazioni della Casa Bianca, sottolineando che le vere responsabilità risiedono nelle industrie delle armi statunitensi
Il Regno Unito, pur deluso dalle tariffe statunitensi, ha adottato un approccio pragmatico, cercando un accordo commerciale post-Brexit con Washington. Il premier Keir Starmer ha dichiarato l’intenzione di mantenere tutte le opzioni sul tavolo, sottolineando la necessità di un accordo che rispetti gli standard britannici, soprattutto in ambito alimentare.
In linea generale le tensioni hanno aumentato l’incertezza globale, ridotto investimenti e consumi, e spinto il FMI a chiedere una soluzione.
Perché nessuno in Europa, compresa l’Italia, tradirà Bruxelles?[6]
Per quanto riguarda l’Italia, all’inizio della presidenza Trump alcuni speravano in un possibile trattamento di favore vista la vicinanza politica tra l’amministrazione Trump ed il governo Meloni, con la speranza che Trump risparmiasse buona parte dei prodotti made in Italy. A marzo 2025 però, tramite svariate dichiarazioni di Trump ed esponenti del suo governo, risulta chiaro che non sarà così, se non ad una condizione. Per avere trattamenti di favore, ogni Stato dovrebbe fare trattative separate con gli Stati Uniti,e bloccando, inoltre, i dazi europei o facendo ostruzionismo. In pratica, il tycoon potrebbe star cercando di dividere l’Unione Europea, sperando che uno o più Stati membri decidano di fare gli interessi degli Stati Uniti pugnalando gli altri alle spalle, quindi assecondando la strategia del dividi et impera di Trump. Ma allontanarsi dagli alleati europei sarebbe una mossa folle per qualsiasi Stato del vecchio continente, e tutti i maggiori leader europei sembrano esserne ben consci.
Infatti, chi decidesse di assecondare questa strategia, finirebbe succube degli Stati Uniti. Per evitare che ciò accada, è necessario che l’Unione Europea si unisca ancor di più per poter pensare di mettere in difficoltà gli USA Inoltre, schierarsi contro l’UE potrebbe essere controproducente per uno Stato membro, che rischierebbe di subire sanzioni pesanti, quali la sospensione dal Mercato Unico Europeo. Il punto è che il commercio intra-europeo è molto più importante, a livello economico, di quello con gli Stati Uniti e questo vale anche per l’Italia, dunque, una sospensione di questo tipo comporterebbe danni economici ancora più gravi rispetto ai dazi americani.
Così, per quanto possano simpatizzare per Trump, nessun Capo di Governo europeo sta pensando di defilarsi dalle trattative comuni, inclusa l’Italia. Dunque, i dazi colpiranno anche il Bel Paese, influenzando soprattutto i prezzi dimarchi di lusso, prodotti agroalimentari, parmigiano, vino eolio d’oliva. Ma tra fine 2024 e inizio 2025, c’è stato un primo riscontro positivo: diverse associazioni di categoria, infatti, segnalano un netto aumento delle esportazioni. In pratica, a fine 2024 abbiamo assistito ad un forte aumento dell’export di vino, fino al 20%. Questo perché gli americani hanno cercato di comprare quanto più vino possibile prima dell’arrivo dei dazi Inoltre, i dazi assumono una maggiore rilevanza per l’Italia poichè gli Stati Uniti sono il secondo Paese verso cui esporta di più subito dopo la Germania; difatti, solo l’export agroalimentare nel 2024 vale 7,8 miliardi di euro. A conferma di questi dati, l’Italia risulta il maggiore esportatoreverso gli Stati Uniti rispetto agli altri Paesi europei. Considerando tutte le esportazioni fuori dall’UE, infatti, l’Italia nel 2024 ha venduto negli USA il 22,2% contro una media Europea del 19,7% della produzione.
Ma quindi questi dazi come arriveranno a colpire direttamente il cittadino italiano? L’aggiunta di dazi fa sì che gli importatori debbano pagare una tassa in più, che verrà però scaricata sui consumatori finali. Ciò comporterà, dunque, un aumento generale dei prezzi dei prodotti, non solo di quelli importati, a causa della convenienza sulla concorrenza. Questa regola spiega come, all’aumentare del prezzo della concorenza, anche chi subisce l’aumento, possa decidere di alzare il proprio prezzo per rimanere competitivo sul mercato, causando però un’inflazione importante.
Stati Uniti isolati o leader di un nuovo ordine commerciale?
Le prospettive future sui dazi imposti da Trump nel 2025 restano altamente incerte e dipenderanno dall’evoluzione del contesto politico ed economico globale. Se da un lato l’amministrazione statunitense sembra intenzionata a mantenere una linea dura per proteggere l’industria nazionale e ridurre il deficit commerciale, dall’altro le pressioni internazionali e interne — incluse le critiche da parte delle imprese statunitensi e il rischio di recessione — potrebbero spingerla a negoziare. Una possibile via d’uscita potrebbe essere rappresentata da nuovi accordi bilaterali o multilaterali che riequilibrino le relazioni commerciali senza ricorrere a misure punitive. Tuttavia, se il clima di scontro dovesse persistere, si rischia un’ulteriore frammentazione del commercio globale, con effetti duraturi sulla crescita e sulla stabilità economica internazionale.
[1] Fonte: MarcoCasario.com; Cosa Vuole Ottenere Davvero Trump con i Dazi?; Marco Casario; 2025; https://www.marcocasario.com/blog/dazi-trump-obiettivi/
[2] Fonte: Bureau of Economic Analysis; U.S. International Trade in Goods and Services, December and Annual 2024; 2025; https://www.bea.gov/news/2025/us-international-trade-goods-and-services-december-and-annual-2024
[3] Fonte: Wired; Che cos’è Project 2025, il piano della destra Usa per una “nuova America”; 2025; https://www.wired.it/article/project-2025-piano-destra-repubblicani-usa-america-trump/
[4] Fonte: Il Sole 24 Ore; Silvia Martelli; Dazi Usa, Macron a imprese francesi: stop a investimenti in Usa fino a chiarimenti. Spagna stanzia 14,1 miliardi per proteggere le aziende; 2025; https://www.ilsole24ore.com/art/dazi-usa-reazioni-internazionali-paese-paese-AGDwmJwD;
[5] Fonte: Financial Times; 2025; https://www.ft.com/;
[6] Fonte: Affari Internazionali; 2025; https://www.affarinternazionali.it/costruire-uneuropa-della-difesa-la-svolta-necessaria-dopo-il-vertice-di-parigi/;
IMMAGINE REALIZZATA CON L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Laureando in Economia Aziendale delle Imprese Sostenibili, ha sviluppato un forte interesse per la politica monetaria, l’economia, la finanza aziendale e i mercati finanziari, approfondendo tali ambiti attraverso studi extracurriculari e analisi dei protagonisti del settore. Un’esperienza in ambito militare ne ha rafforzato disciplina, leadership e capacità analitiche. Appassionato di astrofisica e astronomia, coniuga rigore scientifico e visione interdisciplinare.
Eccellente descrizione dell’approccio doganale della politica Trump di sostegno al made in U. S. A., con cenni incisivi alle ipotesi di tipo diplomatico generali o vs. China.