L’annuncio del presidente americano
Donald Trump, da quando è tornato alla Casa Bianca, ha spesso sorpreso il mondo con le sue affermazioni, ma ce n’è una in particolare che ha fortemente colpito l’opinione pubblica, pronunciata il 5 febbraio scorso durante il colloquio con Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, nello Studio Ovale. Difatti, di fronte allo stupore dei giornalisti presenti, il presidente Trump ha illustrato un piano per rivoluzionare completamente la Striscia di Gaza e trasformarla in un mega resort turistico di lusso. Questo rappresenta, indubbiamente, oltre che un progetto quasi sicuramente irrealizzabile, una proposta pericolosa per la stabilità della Striscia e delle relazioni tra Israele e Palestina, e dunque per le sorti del conflitto.
Il piano nel dettaglio
Trump ha illustrato il suo piano, suddividendolo in cinque punti. Prima di tutto, è necessario che gli Stati Uniti esercitino un controllo a lungo termine sulla Striscia di Gaza, in modo da poter portare stabilità in Medio Oriente. Gli USA, poi, sarebbero anche responsabili della bonifica del territorio da eventuali ordigni inesplosi e della successiva ricostruzione della zona. Il presidente repubblicano, inoltre, non ha negato il possibile coinvolgimento di truppe americane, aprendo ad un eventuale spiegamento delle proprie milizie. Nel secondo punto, Trump afferma che i palestinesi dovrebbero lasciare Gaza per sempre e spostarsi in un altro Paese, quale l’Egitto o la Giordania, che li voglia accogliere. Il terzo punto, invece, riguarda la ricostruzione della Striscia che, secondo il tycoon, dovrebbe avvenire in circa quindici anni; anche se, secondo alcuni studi, solo per rimuovere tutte le macerie prodotte dagli ultimi 15 mesi di conflitto, ci vorrebbero 21 anni.[1] Il progetto prevede, inoltre, di ricostruire la Striscia in modo ben diverso da com’era prima, trasformando Gaza nella Costa Azzurra del Medio Oriente, una vera e propria riviera. Il quarto punto prevede l’arrivo degli affari di lusso e della ricchezza vera e propria nella Striscia, con la possibilità di renderla sia una residenza che un luogo di villeggiatura per super ricchi. Infine, l’ultimo punto riguarda la manovalanza addetta alla ricostruzione, che dovrà essere a basso costo, ma non per forza palestinese.[2] Un piano decisamente complesso e che prevede l’impiego ed il consenso di molti Stati, risultato non semplice da ottenere. Successivamente, ha suscitato molto clamore anche la pubblicazione di un video creato con l’intelligenza artificiale, che rappresenta una versione ideale di Gaza, secondo il modello idealizzato da Donald Trump. [1]
Perché è un progetto impossibile?
Innanzitutto, il piano è irrealizzabile perché il presidente americano non ha il potere legale, militare o diplomatico per metterlo in atto. Infatti, Gaza non è un territorio degli Stati Uniti, che non hanno quindi alcuna giurisdizione in loco. Inoltre, molto difficilmente il Congresso concederebbe i fondi e le risorse logistiche necessarie per un progetto simile. Dal punto di vista tecnico del diritto internazionale, lo spostamento forzato dei palestinesi dal proprio territorio rappresenterebbe una violazione del diritto umanitario internazionale, dunque non sarebbe possibile; inoltre, un’iniziativa di questo tipo rappresenta un’ulteriore deportazione del popolo palestinese, che già nel 1948 ha visto ridotto della metà il proprio territorio a favore dello stato d’Israele. Inoltre, analizzando il lato più umano, molti palestinesi non hanno intenzione di lasciare la propria terra per nessun motivo e nessuno può, come specificato precedentemente, obbligarli a spostarsi. L’altro problema relativo allo spostamento risiede chiaramente nella necessità del consenso dei Paesi confinanti, che dovrebbero ospitare la popolazione uscente; anche in questo caso, gli USA non possono obbligare nessuno ad accettare.[3]
La reazione di Israele
Chiaramente, l’unico veramente soddisfatto da questa proposta è stato il primo ministro di Israele Netanyahu. Infatti, oltre all’idea della liberazione definitiva di Gaza e della sua trasformazione, i dettagli probabilmente più interessanti per il leader israeliano sono stati: la promessa di un miliardo di dollari in nuove armi da parte degli Stati Uniti, un ordine esecutivo molto duro nei confronti dell’Iran, l’uscita degli Stati Uniti dal Consiglio per i diritti umani dell’ONU , considerato “antisemita” da Trump, e infine lo stop definitivo ai fondi americani all’agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi (UNRWA), visto che Tel Aviv la accusa di collusione con Hamas.[4] Dopotutto, non è la prima volta che il pensiero di Trump riflette quello di Netanyahu; entrambi condividono una visione nazionalista e di sicurezza estrema riguardo la questione palestinese, che prevede l’adozione di approcci unilaterali, con la sovranità statale, insieme alla sicurezza nazionale, al centro della propria strategia. Dunque, le misure proposte da Trump hanno indubbiamente aggravato la situazione umanitaria nelle aree palestinesi ma, al tempo stesso, hanno rafforzato il rapporto tra Stati Uniti e Israele.[5]
Il parere contrario del resto del mondo
D’altro canto, risulta ovvio come molti altri attori statali siano completamente in disaccordo con la proposta del tycoon. Oltre la chiara e prevedibile risposta di Hamas, che l’ha definita “una ricetta per il caos”, e dell’Autorità nazionale palestinese (ANP), che ha specificato come la Striscia rappresenti “una parte integrante della terra palestinese”, sono molti i Paesi della regione che si sono espressi contro questo progetto. In risposta alla proposta di Trump, l’Arabia Saudita ha dichiarato che “continuerà i suoi incessanti sforzi per creare uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est come capitale e non stabilirà relazioni diplomatiche con Israele senza che questo accada”. Anche Egitto, Giordania e Turchia hanno definito il piano inaccettabile, con il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, che ha dichiarato come nessun Paese arabo o musulmano oserebbe accettarli, anche perché sarebbero complici di una deportazione forzata della popolazione palestinese.[6] Inoltre, nel caso dell’Egitto, il governo del Cairo ha dichiarato di star lavorando ad una “visione più grande” della ricostruzione di Gaza, che non prevede lo spostamento della popolazione. Anche il Re di Giordania Abdullah II si è espresso contro l’idea di Trump, spiegando come la posizione unificata del mondo arabo è quella di ricostruire Gaza senza spostare i palestinesi e di risolvere soprattutto la grave emergenza umanitaria, che dovrebbe essere la priorità di ogni leader.[7]
Il summit arabo d’emergenza su Gaza
Una risposta formale alla proposta di Trump è stata formulata il 4 marzo scorso tramite il Summit Arabo d’Emergenza relativo alla ricostruzione di Gaza, dove l’incontro tra Egitto, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar ha prodotto un nuovo piano, che necessiterebbe di $53 miliardi di dollari per essere operativo. La proposta, guidata dall’Egitto, prevede un periodo iniziale di stop di sei mesi, seguito da un periodo di cinque anni da dedicare alla ricostruzione e allo sviluppo, senza dover spostare la popolazione palestinese. La grande somma da stanziare dovrebbe essere finanziata in parte dalle Nazioni Unite e dalle varie istituzioni finanziarie internazionali. Il punto cruciale della questione, però, rimane il ruolo di Hamas nella questione ed il suo futuro. Per permettere l’avvio di questo piano, sarebbe infatti necessario che Hamas si disarmasse completamente, unica condizione accettabile per Israele.[8]
Tuttavia, sia gli Stati Uniti che Israele hanno rigettato questa proposta, propendendo di più per il progetto di Trump. È chiaro, dunque, come il futuro di Gaza sia centrale per le dinamiche del Medio Oriente ma come, per ora, sia decisamente incerto e imprevedibile.
[1] De Luca, Alessia, “Trump, Gaza e la ‘Riviera del Medio Oriente’”, ISPI, Feb. 2025
[2] Brogi, Anna Maria, “Usa-Israele. Trump ha un piano per fare di Gaza la Riviera americana. Senza palestinesi”, Avvenire, Feb. 2025
[3] Al Jazeera, “Trump’s Gaza ‘plan’: What it is, why it’s unworkable and globally rejected”, Feb. 2025
[4] De Luca, Alessia, ibid.
[5] Macrì, Maria, “Perché il piano di Trump per Gaza sulla “Riviera del Medio Oriente” è difficile da realizzare”, Geopop, Feb. 2025
[6] De Luca, Alessia, ibid.
[7] Al Jazeera, Ibid.
[8] Gavito, Jennifer, “Emergency Arab Summit on Gaza”, J Street Policy Center Contributing Expert & Atlantic Council Nonresident Senior Fellow, Mar. 2025

Laureato in Relazioni Internazionali col massimo dei voti con una tesi sulla Guerra Ibrida e la rilevanza del fattore cyber, è appassionato di tutto ciò che riguarda la geopolitica, la sicurezza, la difesa e la cybersecurity, con particolare attenzione alle dinamiche riguardanti gli Stati Uniti e la loro politica estera. Ha inoltre collaborato con il MAECI e l’Ambasciata Italiana di Lima, dove si è occupato della redazione di documenti basati su report e dati di attualità.