Introduzione
“Mi piacerebbe un accordo di pace solido. Ma non possono avere l’arma nucleare”. Con queste parole, a inizio maggio, il presidente statunitense Donald J. Trump ha confermato la volontà della sua amministrazione di firmare un accordo con Teheran per risolvere la disputa concernente la questione del nucleare iraniano[1]. Tale contesa dura ormai da diversi decenni: a partire dalla nascita della Repubblica Islamica nel 1979, il programma atomico iraniano ha destato diverse preoccupazioni nei paesi occidentali, soprattutto negli Stati Uniti, impegnati a evitare la proliferazione nucleare. Essi percepiscono come una forte minaccia la possibilità che tale piano di sviluppo non abbia solo scopi civili bensì anche (e soprattutto) militari. Infatti, nonostante Teheran abbia sempre dichiarato che il proprio programma atomico fosse volto a “scopi pacifici” in conformità con il Trattato di non proliferazione nucleare del 1968, il paese ha intrapreso negli anni diverse attività nucleari in segreto violandone gli obblighi, sviluppando tecnologie e accumulando materiale fissile[2].
Storia del programma nucleare iraniano
Il primo ambizioso programma atomico iraniano venne lanciato negli anni ’70 sotto lo Scià Reza Pahlavi, grazie al supporto degli Stati Uniti, all’epoca alleati dell’erede dell’Impero persiano. Già nel 1957 era stato firmato un accordo di collaborazione tra i due paesi per l’uso pacifico dell’energia nucleare. Lo scopo di Teheran era diversificare le fonti energetiche e ridurre la propria dipendenza dalle rendite petrolifere. Successivamente, la Rivoluzione Islamica del 1979 e i seguenti avvenimenti legati alla guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein (1980-1988) misero un freno allo sviluppo del piano energetico, posto che diverse infrastrutture nucleari vennero severamente danneggiate dai bombardamenti iracheni.
La rottura delle relazioni diplomatiche con Washington e l’introduzione delle sanzioni americani contro Teheran spinsero quest’ultima a richiedere l’assistenza di altri attori non occidentali, come Russia, Cina e Pakistan, soprattutto per il rilancio del programma nucleare. Lo sviluppo atomico ebbe una nuova ripresa grazie a nuove intese con tali attori e a fornitori tecnologici del mercato nero. A fine anni ’90 venne adottato il piano Amad il cui obbiettivo era costruire un arsenale di cinque armi atomiche entro il 2004. Il progetto venne portato avanti in segreto e in pochi anni produsse degli iniziali successi in merito a test e a esperimenti. L’ostacolo più grande però rimaneva la scarsa quantità di materiale fissile adatto per scopi militari a disposizione.
Nel 2002, però, un’organizzazione dissidente iraniana[3] rivelò al mondo l’esistenza di due siti nucleari in territorio persiano, seppur non vi fosse prova che fossero indirizzati verso scopi militari. Tale scoperta alimentò i sospetti della comunità internazionale, soprattutto dei nemici della Repubblica Islamica, come gli Stati Uniti, Israele o l’Arabia Saudita. Ciò spinse l’Iran a sospendere formalmente il piano Amad nel 2003 e a dichiarare all’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) la presenza di alcuni impianti nucleari per scopi civili sul proprio territorio. Eppure, in segreto continuarono le attività per lo sviluppo di capacità nucleari per fini militari.
Le tensioni, tuttavia, non cessarono. Teheran firmò un Protocollo Aggiuntivo con l’AIEA per la sospensione dell’arricchimento dell’uranio, ma nel 2005 l’Agenzia dichiarò l’Iran inadempiente e nell’anno seguente il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite comminò un pacchetto di sanzioni contro il paese. Negli anni seguenti la disputa si aggravò generando un clima di insicurezza generale; inoltre, aumentarono le sanzioni, a causa del proseguimento delle attività di arricchimento da parte di Teheran e la rivelazione di nuove installazioni atomiche iraniane.
Tuttavia, con l’elezione del moderato Rouhani come presidente della Repubblica Islamica nel 2013 si arrivò a un punto di svolta. Nello stesso anno ci furono dei colloqui riservati tra gli Stati Uniti e l’Iran in Oman, che portarono a un primo accordo provvisorio, il JPOA (Joint Plan of Action) nel novembre 2013, il quale prevedeva misure temporanee di congelamento del programma nucleare in cambio di un alleggerimento parziale delle sanzioni. Dopo mesi di negoziati intensi, il 14 luglio 2015 fu firmato a Vienna il JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action) tra l’Iran e il gruppo P5+1 (Cina, Francia, Germania, Regno Unito, Russia, Stati Uniti), con l’Unione Europea come coordinatore. L’accordo mirava a limitare drasticamente le capacità nucleari dell’Iran per un periodo di tempo (10-15 anni), in cambio della graduale revoca delle sanzioni internazionali: vennero poste delle importanti limitazioni sull’arricchimento, le centrifughe e le scorte di uranio. Inoltre, vennero rafforzati i meccanismi di controllo e ispezione dell’AIEA sul programma atomico, al fine di aumentarne la trasparenza. A quel punto vennero sospese le sanzioni ONU[4], allentate le sanzioni occidentali (soprattutto sul commercio e sul petrolio) e sbloccati i fondi iraniani congelati all’estero.
L’accordo resse solidamente per tre anni in quanto l’AIEA confermò il rispetto degli obblighi da parte di Teheran. Nonostante ciò, il patto non affrontava taluni aspetti controversi della politica iraniana come lo sviluppo del programma missilistico balistico, il sostegno ai proxies regionali e i sospetti sulle attività clandestine precedenti al 2003. Per tali ragioni, gli Stati Uniti sotto la presidenza Trump decisero di ritirarsi dall’accordo nel 2018, accusando Teheran di mancata trasparenza e adottando un nuovo pacchetto sanzionatorio. La reazione iraniana portò alla ripresa dell’arricchimento senza limiti dell’uranio, accelerando il programma nucleare e avanzando la produzione di uranio metallico. Le tensioni salirono nel 2020 con l’uccisione del generale Soleimani e del fisico nucleare Fakhrizadeh. Successivamente, però, il presidente Biden tentò di rilanciare l’accordo, ma i negoziati si arenarono a causa delle richieste iraniane, del contesto geopolitico e del supporto di Teheran all’invasione russa dell’Ucraina. Nel frattempo, tuttavia, l’Iran è riuscito ad accumulare uranio arricchito fino al 60%, installare centrifughe avanzate (IR-2m, IR-4, IR-6) e sperimentare materiali altamente sensibili, avvicinandosi alla soglia di purezza (90%) necessaria per la costruzione di un ordigno nucleare[5].

Fonte: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/nucleare-usa-iran-tra-opportunita-e-rischi-205203
La questione nucleari ad oggi
Nonostante tutto, ad oggi l’Iran dà segni di debolezza. Le ingenti proteste interne, l’indebolimento dell’Asse della Resistenza a causa dello scontro con Israele e la caduta dell’alleato Assad in Siria non fanno che intaccare la credibilità di questa potenza che non sembra più rappresentare la minaccia di un tempo. È in questa cornice che si collocano i tentativi della seconda amministrazione Trump di riaprire i negoziati per porre fine alla questione nucleare. Desideroso di portare a casa dei risultati in campo politico-diplomatico, il tycoon ha utilizzato una strategia di maximum pressure per spingere la Repubblica Islamica a sedersi al tavolo delle trattative, sfruttando tale momento di vulnerabilità e arrivando a minacciare possibili attacchi militari sui siti nucleari iraniani. Lo scorso marzo, in una lettera indirizzata all’Ayatollah Ali Khamenei, Guida Suprema dell’Iran, il presidente statunitense ha imposto un ultimatum di due mesi per lo smantellamento completo del programma nucleare iraniano[6].
Il primo round di colloqui tra i due governi si è tenuto il 12 aprile scorso in Oman, paese che si è imposto come principale mediatore sulla questione. Successivamente un secondo round di colloqui si è tenuto a Roma il 19 aprile e un terzo di nuovo in Oman una settimana dopo. Le negoziazioni proseguono e, sebbene le autorità iraniane rimangano caute nel commentare i colloqui in atto, entrambe le parti appaiono volenterose di trovare un’intesa[7]. Teheran, tuttavia, ha espresso chiaramente la propria indisponibilità a rinunciare ai propri diritti concernenti l’uso pacifico dell’energia atomica[8]. In risposta a ciò, gli Stati Uniti hanno accettato la possibilità che l’Iran mantenga il proprio programma nucleare ribadendo però il divieto allo sviluppo di armi atomiche[9]. Il possibile accordo potrebbe giovare al quadro di sicurezza regionale e costituire un primo passo per un futuro – ed eventualmente complesso – processo di normalizzazione delle relazioni iraniane con gli Stati Uniti e con Israele, paesi considerati ad oggi come le due più grandi minacce per Teheran. Nel corso delle negoziazioni, tuttavia, è probabile che la Repubblica Islamica non ceda facilmente alle richieste americane, a meno che non ottenga delle garanzie securitarie sufficienti, soprattutto dopo l’indebolimento dei suoi alleati regionali. Per ora, infatti, le infrastrutture nucleari di cui si è dotato garantiscono al regime degli Ayatollah una capacità di deterrenza che non può permettersi di perdere. D’altra parte, Trump difficilmente potrebbe accontentarsi di ottenere risultati circoscritti o addirittura minori rispetto a quelli ottenuti nel 2015 dall’amministrazione Obama, poiché ciò potrebbe incidere sulla credibilità della sua leadership[10]. La partita è ancora aperta…
[1] https://www.lastampa.it/esteri/2025/05/07/video/trump_avverte_liran_non_potra_mai_avere_latomica-15135150/
[2] Il materiale fissile a cui ci si riferisce è l’uranio altamente arricchito, usato in genere per produrre armi nucleari.
[3] L’organizzazione dissidente iraniana a cui ci si riferisce è il Consiglio Nazionale di Resistenza.
[4] In base alla clausola dello snapback, se l’accordo non fosse stato rispettato sarebbero scattate in modo automatico le sanzioni ONU.
[5] https://www.iranwatch.org/our-publications/weapon-program-background-report/history-irans-nuclear-program
[6] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2025/03/19/lettera-di-trump-alliran-concede-2-mesi-per-un-accordo-nucleare_7949b223-b9ca-4689-823f-7191ddc4ccd1.html
[7] https://iari.site/2025/04/30/trump-e-il-futuro-del-nucleare-iraniano-cosa-aspettarci-dai-nuovi-negoziati-intrapresi/
[8] https://www.rsi.ch/info/mondo/Nucleare-Iran-pronto-a-ridurre-non-a-sospendere–2767089.html
[9] https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2025/05/07/vance-liran-puo-avere-lenergia-nucleare-civile_1cd25f60-b6ef-48da-9e22-037ee5880acf.html
[10] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/nucleare-usa-iran-tra-opportunita-e-rischi-205203
Immagine in evidenza: https://www.radiondadurto.org/2025/04/19/nucleare-iraniano-colloqui-indiretti-con-gli-usa-mediati-dalloman-sullo-sfondo-le-minacce-israeliane/

Studente del Master in Relazioni Internazionali e Istituzioni Sovranazionali presso l’Università Sapienza di Roma. Nutre un profondo interesse per la geopolitica, la sicurezza internazionale e la diplomazia. Ha completato uno stage presso il Dipartimento per gli Affari Europei della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ed è anche membro dello Youth Council dell’Ambasciata degli Stati Uniti in Italia. Inoltre, è entrato a far parte dello IARI (Istituto Analisi Relazioni Internazionali) per essere formato come analista Junior Analyst e scrive articoli concernenti la politica internazionale per MSOI thePost, giornale di MSOI (Movimento Studentesco per l’Organizzazione Internazionale).