La Turchia ha progressivamente ampliato e diversificato la propria politica estera, integrando nuove dimensioni alle tradizionali relazioni con l’Occidente. In questo quadro, il Mediterraneo rappresenta da sempre uno spazio di cruciale rilevanza strategica per Ankara, sia per la sua lunga linea costiera sia perché crocevia naturale di interessi convergenti e tensioni geopolitiche. Negli ultimi anni, la strategia turca nella regione mediterranea ha assunto un carattere più assertivo, alimentato dall’indirizzo politico promosso dal presidente Erdoğan con la visione della “Nuova e Forte Turchia”. Un tassello centrale di questo orientamento è la dottrina del Mavi Vatan (“Patria Blu”), formulata dall’ammiraglio Cem Gürdeniz, che ridefinisce il mare non solo come spazio geografico, ma come risorsa vitale per la sicurezza, la proiezione di potenza e la tutela degli interessi nazionali[1].
Un elemento chiave del rinnovato protagonismo turco riguarda la sicurezza energetica. La posizione geografica di Ankara, unita a un’infrastruttura capace di convogliare gas e petrolio, le conferisce il ruolo di hub energetico naturale tra le riserve dell’Asia Centrale – come quelle azere e turkmene – e i mercati europei. In tal modo, la Turchia utilizza la dimensione energetica come leva di influenza geopolitica e di peso negoziale nei confronti sia dell’UE sia degli attori regionali.
Il dossier libico
All’interno di questo scenario, la Libia costituisce forse il caso più emblematico del pragmatismo turco. Nel 2019, in una fase cruciale della guerra civile, Ankara siglò con Tripoli un protocollo d’intesa militare e marittimo che garantiva diritti di sfruttamento di zone economiche esclusive (ZEE) nel Mediterraneo, anche in acque rivendicate da Grecia e Cipro. Il sostegno turco al Governo di Unità Nazionale (GNU) fermò l’offensiva del generale Khalifa Haftar e consolidò la presenza militare e politica di Ankara nell’ovest libico. Negli ultimi mesi, però, Ankara ha aperto un canale di dialogo anche con la Cirenaica controllata da Haftar. Questa svolta non rappresenta un abbandono di Tripoli, bensì il riconoscimento dei limiti di un sostegno esclusivo alla capitale. L’instabilità del GNU, alimentata dalla politica accentratrice del premier Dbeibah e dalle lotte tra milizie, ha esposto personale e infrastrutture turche a crescenti rischi. L’obiettivo di Ankara è salvaguardare le proprie intese economiche e strategiche – a cominciare dal memorandum del 2019 sulle ZEE nel Mediterraneo orientale – che resta un pilastro della sua proiezione marittima ed energetica[2].
Le tensioni sull’accordo
Sin dalla sua firma, l’intesa turco-libica del 2019 – conclusa dal premier libico Fayez al-Sarraj e dal presidente Erdoğan – ha ridefinito i confini marittimi tra i due Paesi, estendendo la giurisdizione turca fino alle acque prossime a Creta, Rodi e Kastellorizo. Grecia ed Egitto hanno reagito siglando nel 2020 un proprio accordo per delimitare le ZEE, successivamente rafforzato tramite l’adesione di Cipro e con un’intesa trilaterale anche di natura militare[3].
Il memorandum resta, a sei anni di distanza, un nodo di tensione sia politica sia giuridica. Nel luglio 2025, il Parlamento libico di Tobruk, guidato da Aguila Saleh, ha annunciato l’intenzione di ratificare l’intesa – dopo anni di stallo – chiedendo però modifiche ad alcune clausole, tra cui quella che impone il consenso di Ankara per la stipula di nuovi contratti energetici con partner internazionali. Un’eventuale ratifica in Cirenaica, storicamente contraria all’accordo, trasformerebbe un’intesa di parte in un accordo nazionale, con rilevanti conseguenze per l’equilibrio interno libico[4].
La partita dell’energia
Nonostante le pressioni dell’Unione Europea, che giudica l’accordo lesivo della sovranità marittima greca, Ankara ha già iniziato a sfruttarne i contenuti: nel giugno 2025 la Turkish Petroleum (TPAO) ha firmato un memorandum con la National Oil Corporation libica per avviare rilevamenti sismici congiunti nelle acque contese, suscitando le proteste di Atene e Bruxelles. Ankara sostiene che l’intesa sia conforme al diritto internazionale e volta a difendere interessi legittimi nel Mediterraneo. La questione energetica resta al centro della strategia turca. Ankara considera le risorse del Mediterraneo un pilastro per consolidare il proprio ruolo di hub regionale, in competizione con i progetti di Grecia, Cipro e Israele – come il gasdotto EastMed. Una possibile ratifica libica rafforzerebbe le rivendicazioni turche sulle ZEE, ostacolando corridoi energetici alternativi e accrescendo il peso negoziale di Ankara verso l’UE[5].
L’attenzione si concentra oggi anche sui giacimenti offshore libici, definiti da molti analisti un vero “elefante” energetico per la loro vastità e per il potenziale ancora inesplorato. Negli ultimi mesi, si registra un progressivo avvicinamento di diversi attori interessati a valorizzarli: la Turchia, forte della sua presenza in Libia; il colosso ExxonMobil, che ha rilanciato la cooperazione con Tripoli dopo anni di stallo; e l’ENI, con il sostegno dell’Italia.
In questo contesto, i rapporti tra Ankara e Roma si sono intensificati, alimentati dalla comune esigenza di stabilizzare la Libia e le reti di traffico migratorio: elementi chiave per l’Italia, anche per il settore della sicurezza energetica europea[6].
Conclusioni
Se la Turchia riuscirà a bilanciare il sostegno a Tripoli con un dialogo costruttivo con Bengasi, potrà consolidare la propria influenza non solo in Libia, ma nell’intero Mediterraneo, diventando un partner indispensabile per l’UE e, in particolare, per l’Italia.
L’approccio turco in Libia è il frutto di pragmatismo e flessibilità: l’apertura all’est del Paese, senza abbandonare i legami con Tripoli, mira a estendere l’influenza di Ankara e a proteggere i suoi interessi strategici, superando l’isolamento degli anni passati. Per l’Europa – e per Roma in particolare – questa evoluzione rappresenta al tempo stesso un’opportunità e una sfida: da un lato, la Turchia può svolgere un ruolo chiave nella stabilizzazione libica e nella sicurezza energetica; dall’altro, l’ascesa di Ankara impone un dialogo strutturato che ne riconosca il peso come attore centrale nel Mediterraneo.
I prossimi mesi saranno determinanti per verificare la capacità della Turchia di mantenere questa posizione intermedia, con implicazioni di lungo periodo per la stabilità e la cooperazione nella regione.
[1] https://www.geopolitica.info/turchia-mediterraneo-eurasia/
[2] https://www.ispionline.it/en/publication/from-tripoli-to-benghazi-turkeys-expanding-footprint-in-libyas-fragmented-landscape-216638
[3] https://www.geopolitica.info/mediterraneo-grecia-turchia-cipro-egitto/
[4] https://libyareview.com/57075/will-libyan-parliament-ratify-maritime-border-deal-with-turkey/
[5] https://www.balcanicaucaso.org/aree/Turchia/Tra-Tripoli-e-Bengasi-la-Turchia-attore-sempre-piu-centrale-in-Libia-240025
[6] https://www.eastjournal.net/archives/144435

Laureata con il massimo dei voti in European Studies, è preparata in diritto europeo comparato e mediazione interculturale. Parla fluentemente inglese e francese. Ha approfondito il diritto penale europeo con una tesi sul nuovo concetto di ‘diritto’ della Corte EDU e l’overruling giurisprudenziale. Attiva nel Terzo Settore portando avanti le attività e i progetti con Medici Senza Frontiere, è interessata al di diritto umanitario.