Cronaca di un assedio economico: la lunga marcia delle sanzioni contro Mosca

Fin dal 2014, a seguito delle azioni militari russe in Ucraina, la comunità internazionale ha imposto una serie di sanzioni crescenti contro Mosca. Le prime misure arrivarono dopo l’annessione della Crimea e il sostegno ai separatisti del Donbass, raggiungendo l’apice della tensione con l’abbattimento del volo MH17 nel luglio 2014. Tale gesto spinse l’Unione Europea (UE) a adottare il primo pesante pacchetto di sanzioni economiche: restrizioni all’accesso delle banche russe ai mercati finanziari europei, embargo sulla vendita di armi, divieto di esportazione di tecnologie sensibili  (ad esempio nel settore petrolifero) e prodotti di “dual-use” ad uso militare.[1] Queste pressioni non furono sufficienti per convincere la Russia a cambiare la propria linea, accumulando, di conseguenza, ulteriori provvedimenti punitivi a suo carico. Tra il 2014 e il 2022, le persone e le entità russe sanzionate dall’UE crebbero da poche decine a centinaia, ma, ancora una volta, senza smuovere la traiettoria del Cremlino.[2]

La svolta avvenne con l’invasione su larga scala dell’Ucraina il 24 febbraio 2022. In pochi giorni gli Stati Uniti, l’Unione Europea e i loro alleati coordinarono sanzioni senza precedenti sia in termini di ampiezza che di intensità. Drastico fu il congelamento di oltre 400 miliardi di dollari di riserve valutarie della Banca Centrale Russa detenute all’estero – una mossa definita da un ex viceministro delle Finanze di Mosca come “una sorta di bomba nucleare finanziaria che sta cadendo sulla Russia”.[3] Di fatto, sette banche russe vennero escluse dal sistema SWIFT, limitando la capacità di effettuare pagamenti internazionali e imponendo controlli sulle esportazioni di tecnologie avanzate verso la Russia. Nei mesi a seguire, di fronte al protrarsi dell’offensiva russa, al Massacro di Buda nell’aprile 2022 e agli innumerevoli bombardamenti su obiettivi civili, l’Occidente inasprì ulteriormente le sanzioni. Ulteriori sanzioni furono varate dall’Unione Europea nei mesi a seguire, fino ad arrivare al diciottesimo pacchetto nel 2025.[4] L’embargo sul carbone e il petrolio, i price cap al prezzo del greggio, i divieti di importazione di acciaio, oro ed altri beni, fino ad arrivare alle sanzioni individuali contro centinaia di oligarchi, funzionari e aziende del Cremlino sono solamente alcune delle misure più pesanti contenute in questi pacchetti. Provvedimenti analoghi furono presi da Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Giappone e altri partner, ma l’obiettivo era ormai chiaro: indebolire l’economia russa e privare Mosca delle risorse per finanziare la guerra, isolandola al contempo dal sistema economico internazionale.[5]

Vale la pena notare che, parallelamente, la Russia adottò altrettante contromisure. Già nel 2014 vietò l’importazione di molti prodotti alimentari occidentali in risposta alle sanzioni su Crimea e Donbass e a partire dal 2022, Mosca ha intrapreso una vera e propria “guerra economica” tentando di minimizzare l’impatto delle restrizioni esterne tramite misure intere e nuovi sbocchi diplomatici ed economici.[6] La realtà odierna non rende difficile immaginare che la Russia detenga il primato mondiale per numero di sanzioni, ma nonostante questo il Cremlino prosegue con la sua strategia militare, rifiutandosi di indietreggiare sul fronte ucraino. Ciò ha alimentato nel dibattito pubblico una domanda cruciale: le sanzioni hanno veramente messo in ginocchio l’economia russa o questa ha trovato il modo di resistervi?

Numeri alla mano: Mosca sfida le stime di FMI e OCSE

Nei primi mesi di guerra, proprio a seguito delle sanzioni, molti analisti internazionali prevedevano un crollo imminente dell’economia russa. Le proiezioni del Fondo Monetario Internazionale, ad esempio, ipotizzavano per il 2022 un tracollo del PIL russo intorno al -8.5%, con stime analoghe da parte della Banca Mondiale (-8.9%) e dell’OCSE (-10%).[7] La realtà è che queste previsioni sono rivelate, nella maggior parte dei casi, fortemente esagerate. Già nel corso del 2022 alcuni economisti avevano iniziato a dubitare di un simile cataclisma, stimando che la contrazione effettiva sarebbe stata molto più contenuta. E così è stato: a consuntivo: il PIL russo nel 2022 è sceso di appena il 2.1% secondo i dati ufficiali Rosstat – valore confermato anche da OCSE e FMI nelle revisioni successive.[8] Nonostante tutte le cautele da adottare in merito alla trasparenza delle statistiche di Mosca, la differenza rispetto al calo in doppia cifra inizialmente atteso è troppo ampia per essere solo il frutto di “creatività contabile”. Insomma, il collasso economico russo non si è materializzato: la recessione è indubbiamente avvenuta, ma ben lontana dalle proporzioni catastrofiche immaginate all’inizio.[9]

Contro ogni previsione, già nel 2023 il PIL è tornato a crescere registrando +3% secondo lo studio Bruegel e 3.6% secondo i dati forniti dal Rosstat.[10] L’insperata resilienza di Mosca va ritrovata in fattori concreti. Prima fra tutti la tempestività con la quale le autorità russe sono corse ai ripari con controlli sui capitali e un rialzo aggressivo dei tassi di interesse che hanno permesso di arginare la fuga di capitali sostenendo il rublo in evidenti momenti di difficoltà.[11] Parallelamente – e soprattutto – la Russia ha continuato a incassare ingenti proventi dalla vendita di energia approfittando anche dell’aumento globale del prezzo del petrolio e del gas. Malgrado l’embargo e le sanzioni, Mosca ha trovato acquirenti alternativi per il suo greggio, mitigando la perdita comportata dalla mancanza di esportazioni verso i mercati europei.[12] Terza, ma non per importanza, è stata la poderosa spesa pubblica destinata ai settori bellici che ha raggiunto, comodamente, il 6% del PIL della nazione, finanziando l’industria della difesa e mobilitando l’economia in uno sforzo bellico che ha controbilanciato il calo di numerosi altri settori. Questo stimolo bellico, che ricorda le cifre della precedente epoca sovietica, ha gonfiato la produzione industriale legata agli armamenti e ha permesso di sostenere artificialmente il PIL.[13] Infine, la rigidità delle sanzioni è stata facilmente aggirata sfruttando le triangolazioni con paesi terzi: merci e componenti banditi dall’Occidente hanno continuato a raggiungere le aziende russe tramite vie indirette, spesso passando per Turchia, Kazakistan o Armenia.[14]

Va sottolineato che questa tenuta ha un rovescio della medaglia interno. Il tenore di vita medio della popolazione russa si è evidentemente deteriorato: infatti, nel 2022 i consumi delle famiglie sono calati e l’inflazione è schizzata in doppia cifra, erodendo i poteri di acquisto e riflettendo una situazione che, seppur molto lontana dal collasso, non potrà perseguire un’ottica di lungo termine senza pagarne le conseguenze.[15] Evidentemente, molte aziende hanno faticato a rimpiazzare componenti e tecnologie occidentali le cui provvigioni sono state tempestivamente interrotte.[16] L’esempio più evidente riguarda indubbiamente la produzione di auto e veicoli pesanti che ha ricevuto, rispettivamente, un crollo del 28% e del 40% nell’ultimo anno, riflettendo una riconversione industriale fortemente rallentata.[17] Il 15% di inflazione che è stato raggiunto a metà 2025 ha costretto la Banca Centrale Russa a rialzare i tassi di interesse fino al 20% raffreddando l’economia e la circolazione di capitale.[18] Il bilancio statale non è stato da meno: l’incremento della spesa militare (che ha raggiunto e sorpassato il 40% dell’intero budget federale già nel 2024) ha aperto squarci nei conti pubblici, costringendo a tagli sul welfare e investimenti civili. Una prospettiva chiara viene fornita dalla cassa di riserva russa che si è ridotta da 135 a 35 miliardi di dollari di liquidità in soli tre anni, tracciando una linea inconfondibile del peso di un conflitto armato sulla liquidità di una nazione.[19]

Nonostante queste fragilità, il sistema economico russo rimane complessivamente stabile. Come sostenuto dall’economista Paolo Guerrieri nota che non siamo di fronte a “un crollo imminente, ma a segnali crescenti di vulnerabilità”.[20] Analogamente, l’Osservatorio di Politica Internazionale RSI rileva che, pur in una situazione tutt’altro che rosea, l’economia russa risulta molto lontana dal collasso.[21] Le sanzioni occidentali, al netto della retorica, non hanno finora inciso come sperato dai leader euro-americani. I motivi sono molteplici: le contromisure russe e le falle nelle restrizioni hanno attenuato l’effetto delle penalità. Basti pensare che l’UE, per proteggere i propri interessi, non a mai sanzionato in modo totale il gas naturale russo (fondamentale per diversi paesi europei) e solo di recente ha bandito completamente il petrolio via mare, lasciando però aperta la porta all’importazione via oleodotti per alcuni stati membri.[22] Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno continuato ad acquistare uranio arricchito russo per le loro centrali nucleari, esentando questo settore dalle sanzioni.[23] Generalmente, molti settori chiave degli idrocarburi russi hanno continuato a trovare sbocchi, e ciò ha mantenuto in vita il flusso di valuta verso Mosca.[24] Non sorprende, quindi, che la popolazione russa abbia percepito parzialmente glie effetti delle sanzioni.[25]

Dal G7 ai BRICS: Mosca cambia orbita commerciale

Ai fini di comprendere l’evoluzione dell’economia russa, bisogna analizzare come Mosca ha riconfigurato i propri mercati di riferimento dopo le sanzioni. Se il colpo più duro per il Cremlino è stato perdere, almeno in parte, l’accesso ai ricchi mercati occidentali, la risposta russa è stata una “svolta a Est” accelerata che ha permesso di rafforzare le relazioni commerciali con potenze emergenti asiatiche e altri paesi non allineati alle sanzioni, in modo da compensare il vuoto lasciato dall’Europa.

Cina e India sono diventate le ancore del commercio estero russo dopo il 2022, con Pechino che, essendo già da anni partner strategico di Mosca, ha colto l’opportunità per aumentare esponenzialmente gli scambi.[26] Nei primi dieci mesi del 2023 il volume di interscambio tra Cine e Russia è cresciuto di quasi il 28% annuo, toccando la cifra record di 196.5 miliardi di dollari e nel corso del 2023 si sono superati i 240 miliardi di dollari.[27] La Repubblica Cinese ha incrementato gli acquisti di petrolio e gas russi (beneficiando di prezzi scontati a causa dell’embargo occidentale) e simultaneamente ha aumentato le esportazioni di beni verso la Russia.[28] Le vendite cinesi in Russia, compresi molti beni di consumo e componenti industriali, sono salite del 52% nel 2023, trascinandosi il boom di molti settori come quello automobilistico (+88%) ed elettronico.[29] In pratica, la Cina ha sostituito l’Europa e gli Stati Uniti come fornitore di riferimento per Mosca, creando una sinergia divenuta vitale per entrambi: da un lato la Russia può contare su un compratore enorme per le proprie risorse energetiche, dall’altro la Cina ottiene energia a buon mercato e rafforza la sua influenza su un vicino ricco di materie prime.

L’India rappresenta l’altro grande vincitore economico della situazione.[30] Prima del 2022 Nuova Delhi comprava quantità minime di greggio russo – meno dell’1% del suo fabbisogno totale, ma con le sanzioni europee sul petrolio, la Russia ha raggiunto una percentuale di esportazioni impressionante che corrisponde al 45% delle importazioni indiane, secondo quanto riportato dal New York Times.[31] Oggi la Russia è stabilmente il principale fornitore di petrolio dell’India, coprendo circa 36% del totale delle importazioni petrolifere indiane.[32] Anche questa relazione è reciprocamente vantaggiosa: l’India soddisfa il suo enorme appetito energetico a prezzi di saldo, mentre la Russia trova uno sbocco per milioni di barili che erano in passato diretti verso l’Europa. Inoltre, va sottolineato, che molte raffinerie indiane acquistano il greggio russo, lo trasformano in prodotti finiti (come gasolio e benzina) e poi li rivendono sui mercati internazionali.[33] Paradossalmente, diesel raffinato in India con petrolio russo finisce per essere esportato proprio in Europa e Stati Uniti, sfuggendo al regime sanzionatorio che vieta i prodotti russi, ma non quelli provenienti da paesi terzi. Nel 2024 l’India è diventata il secondo esportatore mondiale di raffinati con quasi 87 miliardi di dollari di vendite, e buona parte di questo boom è legato al petrolio russo “riciclato”.

Oltre ai giganti asiatici, altri mercati “amici” hanno contribuito a tenere a galla l’export russo. La Turchia in primis: Ankara non si è unita alle sanzioni e ha anzi sfruttato la situazione per aumentare scambi e ruolo di hub regionale.[34] Nel 2022 l’export turco verso la Russia è balzato da 5,8 a 9,3 miliardi di dollari (+62%), con un ulteriore aumento a inizio 2023.[35] La Turchia è diventata un canale fondamentale sia per i prodotti occidentali riesportati ufficiosamente in Russia, sia per l’acquisto di gas russo (che Ankara rivende parzialmente ad altri paesi) e altri beni energetici. Anche i paesi del Golfo Persico e dell’Asia Centrale hanno intensificato i rapporti: Emirati Arabi, Arabia Saudita e Qatar hanno accolto capitali russi in fuga e discusso investimenti, mentre Kazakistan, Armenia e Georgia hanno visto esplodere le proprie importazioni dalla UE e dagli USA, segno che fungono da rotte alternative per merci dirette in Russia.[36] La stessa Bielorussia, alleata di Mosca, è servita da ponte per importare in Russia beni banditi (ricevendoli formalmente per poi spostarli oltre confine). Il risultato complessivo è che la Russia è riuscita a riallacciare le proprie catene di approvvigionamento: se un bene non arriva più da Berlino o Parigi, può arrivare via Istanbul, Dubai o Astana.[37] Questa riorganizzazione richiede ingegno e maggiori costi di transazione, ma ha evitato il collasso del commercio estero russo. Emblematico il dato sulle importazioni russe: nei primi mesi dopo l’invasione erano crollate di circa la metà, ma nel giro di un anno hanno recuperato quasi tutto il terreno perduto. Nel 2023 le importazioni totali della Russia sono risalite al 99,7% dei livelli prebellici secondo la Banca centrale russa.[38] Ciò dimostra che Mosca, attraverso vie traverse, sta comprando quasi quanto comprava prima della guerra. In definitiva, la strategia di Putin di rivolgersi ai partner non occidentali – dall’Asia al Medio Oriente, dall’Africa (dove la diplomazia russa cerca nuove intese commerciali) fino all’America Latina – ha attenuato l’isolamento economico. I “mercati alternativi” hanno compensato solo in parte la perdita dell’Occidente (che resta un blocco economico più ricco e tecnologicamente avanzato), ma abbastanza da impedire alla macchina produttiva russa di fermarsi.

Zone grigie: l’Europa e le sue scorciatoie energetiche

Se l’approvvigionamento verso paesi terzi è sotto gli occhi di tutti, osservando i tracker di alcune navi LNG, possiamo osservare delle rotte che lasciano spazio a numerose interpretazioni. Un caso emblematico di come il gas russo continui a circolare nel mercato europeo è emerso nel luglio del 2025 con la vicenda della nave LNG Geneva e dell’impianto di rigassificazione di Ravenna.[39] Secondo un’inchiesta pubblicata da Domani, la Geneva ha agganciato il rigassificatore BW Singapore al largo della costa romagnola, trasferendo gas in forma liquefatta (GNL) che è poi stato immesso nella rete del gas italiano. La LNG Geneva, secondo gli scali ufficialmente dichiarati, sarebbe partita dal porto spagnolo di El Ferrol in direzione del rigassificatore a Ravenna; tuttavia, il tracking AIS (Automatic Identification System) racconta una storia diversa. La Geneva, dopo aver lasciato il porto spagnolo si dirige verso Nord, sorpassa la Norvegia e in prossimità del Mare di Barents spegne l’AIS, riaccendendolo solamente due giorni dopo. A poche migliaia nautiche dall’ultimo segnale della metaniera, si trova la penisola russa di Kola, che ospita il porto di Murmansk, famoso polo di approvvigionamento di gas russo. Il tracking viene riacceso solamente tre giorni dopo, ma il dato più interessante è fornito dallo stesso AIS, che indica un pescaggio della nave (quindi il metraggio dello scafo sotto il livello dell’acqua) superiore a quello con cui era partito, passando da 9.5 metri a 11.6 metri: un chiaro segnale che lascia pensare che la nave si sia rifornita di gas proprio dal porto russo. Al ritorno in acque italiane, la destinazione finale risultava il rigassificatore ravennate, facendo apparire il gas come proveniente da porti europei, occultando così la sua origine russa. Snam ha poi precisato che circa il 20 % dei carichi di GNL 2025 sono stati attribuiti a fonti non specificate, “alcuni” correlati alla Russia, ribadendo che non acquista direttamente gas ma offre il solo servizio di rigassificazione. Soprattutto, non esistono al momento divieti espliciti nell’UE alle importazioni di GNL dalla Russia, purché il terminale sia connesso alla rete nazionale: questo lascia una “zona grigia” che può essere sfruttata per mascherare flussi verso l’Europa occidentale nonostante l’intenzione politica di ridurre la dipendenza da Mosca.

Parallelamente, un articolo di High North News riferisce come una nave da trasporto GNL affiliata alla Russia, il Pioneer, abbia navigato per due settimane nel Mar del Nord mantenendo segnali falsi o spenti, nascondendo i suoi movimenti reali.[40] Le tracce AIS ufficiali mostravano curve simmetriche impossibili nella realtà, mentre tramite immagini satellitari è stato accertato che la nave si era diretta verso il progetto Arctic LNG 2, caricando gas in artico, per poi riapparire più tardi vicino alle coste norvegesi camuffando il percorso effettuato. Questo escamotage consente di “scomparire” agli occhi dei sistemi di monitoraggio e mascherare la provenienza reale del carico, che dunque può entrare nei circuiti internazionali come se provenisse da rotte non russe. L’operazione è tecnicamente illegale in base alle convenzioni marittime internazionali, ma la responsabilità di vigilanza cade sullo Stato di bandiera della nave (nel caso del Pioneer, Palau) più che sugli operatori finali del gas. Il Pioneer secondo gli esperti avrebbe anche ricevuto scorta di rompighiaccio per attraversare il passaggio artico, mostrando quanto sia orchestrata e sofisticata la strategia di aggiramento delle sanzioni russe via mare. Questo tipo di “gioco delle omissioni” dimostra che la rete di intermediazione marittima russa – e i suoi metodi opachi – è parte integrante del meccanismo di continuazione del commercio energetico russo nonostante le restrizioni ufficiali.

Resilienza a breve, incognite a lungo: alcune conclusioni dopo tre anni di sanzioni

In sintesi, tre anni di sanzioni non hanno prodotto il “collasso” annunciato dell’economia russa: hanno invece accelerato una riconfigurazione profonda fatta di nuovi mercati, catene logistiche alternative e un’economia di guerra che sostiene la domanda interna a costo di inflazione, tassi elevati e compressione del welfare. Il riorientamento verso Asia e Medio Oriente, l’uso di triangolazioni (commerciali e finanziarie) e gli escamotage nel trading energetico – compresi i “buchi” regolatori sul GNL – hanno preservato i flussi di valuta verso Mosca e limitato i danni immediati. Ma il prezzo è visibile: dipendenza più rigida dalle rendite energetiche, arretramento tecnologico, fuga di capitale umano e un’impostazione industriale che privilegia la produzione militare rispetto all’innovazione civile. È una resilienza che regge nel breve periodo, ma che rischia di tradursi in stagnazione strutturale se il conflitto e l’isolamento tecnologico si protrarranno.

Per l’Europa (e l’Occidente) la lezione è duplice. Primo: senza un’architettura sanzionatoria coerente – che chiuda le “zone grigie” su GNL, prodotti raffinati e riesportazioni via hub terzi – le misure perdono mordente e alimentano un’economia globale dell’opacità. Secondo: la riduzione della dipendenza energetica dalla Russia richiede più investimenti in infrastrutture, stoccaggi e contratti di lungo termine con fornitori alternativi, altrimenti la tentazione delle scorciatoie resterà alta. Guardando ai prossimi 12–36 mesi, lo scenario più probabile è una Russia non al collasso ma intrappolata in una crescita modesta, con finanze pubbliche sempre più assorbite dalla spesa militare e vulnerabile a shock sui prezzi dell’energia o a un’applicazione più stringente delle sanzioni. La vera partita si giocherà sulla capacità di Mosca di trasformare questa resilienza tattica in sostenibilità strategica – e sulla capacità occidentale di allineare obiettivi politici, strumenti economici e coerenza nell’applicarli.


[1]Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, MH17: una nuova prova e la diplomazia statunitense, Ispi, 2025.

[2] Wikipedia, “Conflitto russo-ucraino,” Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Conflitto_russo-ucraino.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.

[5] Ibidem.

[6] Antonino Alì, Dalle misure restrittive dell’Unione europea alla “guerra economica” nei confronti della Russia e della Bielorussia a seguito dell’invasione dell’Ucraina, Questione Giustizia, 15 aprile 2022, https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/dalle-misure-restrittive-dell-unione-europea-alla-guerra-economica-nei-confronti-della-russia-e-della-bielorussia-a-seguito-dell-invasione-dell’ucraina».

[7] Giampaolo Galli, Francesco Scinetti e Nicoletta Scutifero, Le previsioni sbagliate sull’economia russa, Osservatorio CPI, 22 marzo 2023, https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-le-previsioni-sbagliate-sull-economia-russa.

[8] Ibidem.

[9] Ibidem.

[10] Cinzia Arena, “Il flop delle sanzioni a Mosca: l’economia russa va con India e Cina,” Avvenire, 26 marzo 2024, https://www.avvenire.it/mondo/il-flop-delle-sanzioni-a-mosca-leconomia-russa-va-con-india-e-cina_75088.

[11] Reuters, “Putin says Russia’s economic growth will exceed 3% in 2023,” Reuters, 17 novembre 2023.

[12] Giampaolo Galli, Francesco Scinetti e Nicoletta Scutifero, Le previsioni sbagliate sull’economia russa (Osservatorio CPI, Università Cattolica del Sacro Cuore, 22 marzo 2023), https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-le-previsioni-sbagliate-sull-economia-russa.

[13] Paolo Guerrieri, “L’arma di pressione delle sanzioni e la vulnerabilità dell’economia russa,” Affari Internazionali, 24 settembre 2025, https://www.affarinternazionali.it/larma-di-pressione-delle-sanzioni-e-la-vulnerabilita-delleconomia-russa/.

[14] Giampaolo Galli, Francesco Scinetti e Nicoletta Scutifero, Le previsioni sbagliate sull’economia russa (Osservatorio CPI, Università Cattolica del Sacro Cuore, 22 marzo 2023), https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-le-previsioni-sbagliate-sull-economia-russa.

[15] Ibidem.

[16] Paolo Guerrieri, “L’arma di pressione delle sanzioni e la vulnerabilità dell’economia russa,” Affari Internazionali, 24 settembre 2025, https://www.affarinternazionali.it/larma-di-pressione-delle-sanzioni-e-la-vulnerabilita-delleconomia-russa/.

[17] Ibidem.

[18] Stefano Grazioli, “Russia, il costo della guerra,” RSI, 24 agosto 2025, https://www.rsi.ch/info/mondo/Russia-il-costo-della-guerra–3059978.html.

[19] Ibidem

[20] Paolo Guerrieri, “L’arma di pressione delle sanzioni e la vulnerabilità dell’economia russa,” Affari Internazionali, 24 settembre 2025, https://www.affarinternazionali.it/larma-di-pressione-delle-sanzioni-e-la-vulnerabilita-delleconomia-russa/.

[21] Stefano Grazioli, “Russia, il costo della guerra,” RSI, 24 agosto 2025, https://www.rsi.ch/info/mondo/Russia-il-costo-della-guerra–3059978.html.

[22] Ibidem.

[23] Ibidem.

[24] Ibidem.

[25] Ibidem.

[26] Mauro Del Corno, “Record di scambi commerciali tra Russia e Cina nei primi 10 mesi del 2023. Vola l’export di auto made in China,” Il Fatto Quotidiano, 7 novembre 2023, https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/07/record-di-scambi-commerciali-tra-russia-e-cina-nei-primi-10-mesi-del-2023-vola-lexport-di-auto-made-in-china/7346358/.

[27] Senio Carletti, “L’Occidente ha regalato la Russia alla Cina…” QuotedBusiness, 13 gennaio 2024, https://www.quotedbusiness.com/thm-15-global/paese-13-mondo/art-11321-l-occidente-ha-regalato-la-russia-alla-cina.

[28] Mauro Del Corno, “Record di scambi commerciali tra Russia e Cina nei primi 10 mesi del 2023. Vola l’export di auto made in China,” Il Fatto Quotidiano, 7 novembre 2023, https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/07/record-di-scambi-commerciali-tra-russia-e-cina-nei-primi-10-mesi-del-2023-vola-lexport-di-auto-made-in-china/7346358/.

[29] Ibidem.

[30] Ibidem.

[31] Ibidem.

[32] Michele Bertelli, “Dazi USA: stangata indiana,” ISPI, 27 agosto 2025, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dazi-usa-stangata-indiana-216118.

[33] Ibidem.

[34] Roberto Italia, “Turchia: sul filo del rasoio moscovita,” ISPI, 17 marzo 2023, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/turchia-sul-filo-del-rasoio-moscovita-121300.

[35] Ibidem.

[36] Reuters, “Putin’s economic resilience rests on war addiction,” Reuters Breakingviews, 15 ottobre 2024.

[37] Ibidem.

[38] Olesya Shmagun, “Economia parallela. Come la Russia sta sfidando il boicottaggio dell’Occidente,” La Voce della Sera, 26 agosto 2025, https://www.vocedellasera.com/economia/economia-parallela-come-russia-sta-sfidando-boicottaggio-occidente/.

[39] Andrea Vignali, “Il gas del Cremlino usato per l’impianto GNL di Ravenna,” Domani / Editoriale Domani, 28 settembre 2025, https://www.editorialedomani.it/fatti/gas-russia-usato-impianto-gnl-ravenna-presadiretta-anticipazione-rai3-h6kh455b.

[40] Malte Humpert, “Russia’s Arctic LNG 2 Sees Flurry of Activity Following Alaska Summit, Including Shipment of Valuable Gas Condensate,” High North News, 19 agosto 2025, https://www.highnorthnews.com/en/russias-arctic-lng-2-sees-flurry-activity-following-alaska-summit-including-shipment-valuable-gas.

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