Bandiera Germania

Il discorso pronunciato da Friedrich Merz al Bundestag il 6 maggio scorso è tutto un programma: rilancio della politica industriale, politica estera più chiara e sostegno incondizionato all’Ucraina. Poi l’inciampo: sono mancati 18 voti in Parlamento e per la prima volta nella storia della Repubblica Federale Tedesca il candidato Cancelliere non è stato eletto al primo turno. Nonostante l’elezione, arrivata solo qualche ora dopo, e l’appoggio dei socialdemocratici, la partenza del nuovo governo sembra un po’ in salita. Non solo per le difficoltà politiche interne, ma soprattutto per le grandi sfide che la Germania ha davanti.

L’economia è in crisi da 3 anni: nel 2023 il gigante tedesco ha perso lo 0,3% di Pil, nel 2024 lo 0,2%; nel 2025 chiuderà in stagnazione secondo le ultime stime, per tornare a crescere solo l’anno prossimo registrando un +1,1%. Per la terza economia del mondo è una crescita troppo debole, che rischia di compromettere la leadership economica tedesca in Europa. La perdita di potere della Germania è già visibile, dal punto di vista economico così come in politica estera, ma il processo non è irreversibile. Merz vuole riportare il Paese ad essere “la locomotiva d’Europa” e per fare questo ha un disperato bisogno di stabilità politica, una nuova strategia per il rilancio industriale e libertà di manovra su politica estera e investimenti in difesa. La crisi ucraina, la timidezza dell’UE nel conflitto israelo-palestinese e l’indecisione del governo Scholz, su questioni troppo cruciali per avere tentennamenti, richiedono un nuovo approccio e una visione chiara della politica estera.

Il leader della Cdu sa perfettamente che tutto, a partire dall’economia interna ed europea, è subordinato alla sicurezza esterna. Merz vuole essere il “Cancelliere della politica estera”, per soddisfare le speranze di chi si aspetta che la Germania torni ad avere la leadership di un tempo. Le critiche alla politica estera piuttosto lassista di Olaf Scholz sono chiare, anche se non dirette, e anche nelle file dell’Spd, che alle elezioni del marzo scorso ha ottenuto il peggior risultato della sua storia, c’è coscienza della debolezza del vecchio esecutivo.

L’importanza che i cristiano-democratici danno alla sicurezza continentale e al mondo delle relazioni internazionali è evidente se si guarda alla nuova composizione del governo, che per la prima volta dal 1966 vede la Cancelleria e il Ministero degli Esteri nelle mani dello stesso partito. Almeno su questo, bisogna evitare rotture interne alla maggioranza. La eventuale creazione di un National Security Council in seno alla Cancelleria Federale rafforzerebbe ancora di più la politica estera e favorirebbe un coordinamento anche con i ministri dell’Spd. Alle Finanze e alla Difesa il Cancelliere ha infatti nominato rispettivamente i socialdemocratici Lars Klingbeil e Boris Pistorius: non è un caso, dato che entrambi appartengono all’ala più moderata dell’Spd, sono pro-NATO e sostengono a spada tratta l’Ucraina. Lo stesso Pistorius ha più volte richiamato la necessità di aumentare gli investimenti in difesa e preparare un esercito “war ready”, pronto alla guerra.

Neanche sul piano economico il nuovo governo dovrebbe incontrare troppe resistenze interne: con la decisione bipartisan adottata nel marzo scorso dal Bundestag di allentare i vincoli alla spesa pubblica, sono state determinate l’esenzione dal deficit delle spese per la difesa fino all’1% del Pil[1] e la mobilitazione di 500 miliardi di euro da investire nelle infrastrutture del Paese. Un piano da 1000 miliardi di euro che potrebbe garantire alla Germania di aumentare le spese militari fino a un punto percentuale di Pil all’anno, l’equivalente di circa 45 miliardi di euro. Secondo le stime dello European Economic Forecast della Commissione europea della primavera 2025, solo l’aumento delle spese alla voce “difesa” garantirebbe alla Germania una crescita del Pil tra lo 0,3% e lo 0,6% entro il 2028.[2]

Tra l’altro, il Ministro degli Esteri tedesco, Johann Wadephul, ha già dichiarato che Berlino è disponibile a soddisfare la richiesta avanzata dagli Stati Uniti agli Stati membri della NATO di innalzare la soglia delle spese per la difesa al 5% del Pil[3]. Al di là delle buone intenzioni (per chi si oppone ai piani di riarmo neanche troppo buone), non sembra che esistano attualmente le condizioni per aumenti così sostanziosi, soprattutto in un periodo in cui la crescita è molto debole ed è fiaccata dal costo dell’energia e dalla scarsa competitività dei mercati europei.

A proposito di riarmo, il nuovo governo tedesco dovrà poi conciliare la necessità di una maggiore spesa a livello nazionale con la promozione di un sistema di interoperabilità e di produzione industriale congiunta con gli altri Paesi europei, al fine di evitare che gli investimenti militari vadano a rafforzare interessi nazionali divergenti, invece di contribuire alla costruzione di una vera capacità strategica comune in ambito NATO.

Sull’Ucraina la sfida sarà quella di riportare gli Stati Uniti su una linea di sostegno sia agli sforzi diplomatici, per una pace giusta, sia agli interessi europei in materia di autonomia strategica, per impedire che la minaccia di ridurre i finanziamenti all’Alleanza Atlantica, non così incombente come all’inizio del mandato di Donald Trump, diventi realtà. In ambito militare, il sostegno all’Ucraina continua a essere uno dei capisaldi della politica tedesca, come dimostrato anche nell’ultimo incontro avuto a Kyiv con i leader di Francia, Gran Bretagna, Polonia, i Paesi cosiddetti “volenterosi”, e la stessa Ucraina.

In casa propria, ciò con cui dovrà fare i conti Friedrich Merz è la difficoltà di governare un Paese fortemente polarizzato, che ha visto alle ultime elezioni l’exploit dell’ultradestra di AfD, addirittura davanti all’Spd. Il buon risultato ottenuto anche da Die Linke, partito di estrema sinistra, soprattutto tra i giovani potrebbe rappresentare una grana per un governo percepito distante dalle aspettative delle giovani generazioni, sia per il forte dissenso rispetto all’approccio occidentale sulla crisi di Gaza, sia per la stretta annunciata sugli ingressi degli stranieri, tema delicato anche nei rapporti con i socialdemocratici.

Anche a livello personale, la dottrina politica del leader della Cdu presenta caratteri che potrebbero portare a delle contraddizioni interne alla maggioranza di governo: un europeismo convinto, ma anche un conservatorismo sociale, pur mitigato dalla scelta quasi obbligata della “coalizione semaforo”. Al tempo stesso, un conservatore e rigorista come lui, che tiene molto al futuro della competitività economica europea e a una maggiore stabilità economica e fiscale potrebbe spingere ancora di più per un sistema politico europeo più forte, coeso ed efficiente. Anche nei rapporti con l’America di Trump, sarà questo il banco di prova per la capacità dell’UE – e in particolare della Germania sotto la guida di Merz – di affermare una reale autonomia strategica e una forza diplomatica, pur coltivando la speranza di poter continuare a fare affidamento sul suo alleato storico.


[1]G. Galli, F. Scinetti, Germania: fine del tetto del debito e rialzo dei tassi di interesse in tutta l’eurozona, Osservatorio CPI, 27 marzo 2025, disponibile all’indirizzo https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-germania-fine-del-tetto-del-debito-e-rialzo-dei-tassi-di-interesse-in-tutta-l-eurozona

[2] Spring 2025 Economic Forecast, maggio 2025, disponibile all’indirizzo https://economy-finance.ec.europa.eu/economic-forecast-and-surveys/economic-forecasts/spring-2025-economic-forecast-moderate-growth-amid-global-economic-uncertainty_en

[3] M. Ford, Germany backs 5% NATO defense spending target, DW, 15 maggio 2025, disponibile all’indirizzohttps://www.dw.com/en/germany-backs-5-nato-defense-spending-target/a-72549909

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