Geopolitica terre rare
Geopolitica terre rare

Nel silenzio dei grandi equilibri globali, le terre rare sono diventate il centro della transizione energetica e della competizione tecnologica. Da smartphone e batterie elettriche ai sistemi d’arma avanzati, questi elementi chimici sono ovunque, eppure pochi ne conoscono il potere geopolitico. Mentre la Cina domina la catena del valore dei materiali critici, l’Occidente corre ai ripari stringendo alleanze, riscoprendo miniere e intrecciando diplomazie con paesi strategici come Ucraina, Groenlandia e Africa. Una corsa che ridisegna le nuove gerarchie globali.

Cosa sono le terre rare?

Secondo l’Unione Internazionale di Chimica Pura e Applicata, le terre rare sono un gruppo di 17 elementi chimici della tavola periodica (nello specifico: scandio, ittrio e i 15 lantanoidi). Non si tratta dunque né di vere “terre”, né di elementi particolarmente rari. Ciò che è raro è piuttosto il processo di estrazione: individuare giacimenti sufficientemente estesi da rendere l’estrazione economicamente sostenibile è complesso.In aggiunta, i processi estrattivi hanno un impatto significativo sia dal punto di vista ambientale che umanitario: per separare i materiali critici dagli altri minerali, è necessario ricorrere a sostanze chimiche e acidi che generano rifiuti tossici, perdita di biodiversità e disboscamento. Questo ha conseguenze dirette anche sulle popolazioni locali che hanno accusato problemi respiratori o gastrointestinali oltre che l’impossibilità di poter nuotare o pescare nelle acque della regione sfruttata per l’estrazione. Tuttavia, in maniera quasi paradossale, negli ultimi cinquant’anni si è affermata una nuova fase di transizione tecnologica ed energetica — talvolta definita “terza rivoluzione industriale” — nella quale questi materiali svolgono un ruolo cruciale, in particolar modo nelle tecnologie legate alla transizione ecologica. Il loro impiego spazia dal settore dell’automotive e della difesa fino a oggetti di uso quotidiano come televisori, smartphone e numerosi dispositivi high-tech. La domanda cresce in modo esponenziale, mentre l’offerta rimane nettamente più limitata. È in questo squilibrio che risiede la loro forza geopolitica.

Gli sconvolgimenti globali degli ultimi anni hanno aumentato la necessità di produrre tecnologie fondate sull’uso di terre rare e, solo recentemente, l’Occidente ha preso piena consapevolezza della propria quasi totale dipendenza dalla Cina. Pechino, infatti, controlla circa il 70% dell’estrazione e una quota ancora maggiore della raffinazione, esercitando quasi un monopolio su questo mercato. Ciò ha spinto diversi attori internazionali a cercare forme di indipendenza e ad avviare regolamentazioni più stringenti. La vulnerabilità di tale dipendenza è emersa con particolare evidenza nei momenti di tensione, come nel caso dei dazi imposti dal presidente statunitense Donald Trump, cui la Cina ha risposto limitando le esportazioni. Non si è trattato di un precedente isolato: già nel 2010, in seguito a un incidente diplomatico con il Giappone, Pechino sfruttò la propria posizione dominante per esercitare pressioni economiche su Tokyo, bloccando temporaneamente l’export di terre rare.

La corsa ai ripari dell’Occidente

Già dal suo primo mandato, Trump ha tentato di rafforzare la produzione interna statunitense, riavviando la miniera di Mountain Pass in California – una delle più grandi al mondo – e promuovendo accordi di cooperazione con Australia e Canada. Anche il suo dichiarato interesse per l’acquisizione della Groenlandia non è casuale: oltre all’importanza strategica legata alle rotte artiche, l’isola è ricca di terre rare, potenzialmente sufficienti a rendere gli Stati Uniti autonomi sul piano dell’approvvigionamento. La rilevanza geopolitica di queste risorse è emersa con chiarezza anche nell’accordo siglato tra il presidente ucraino Zelensky e Donald Trump, nel tentativo di imprimere una svolta al conflitto. Proprio il 30 aprile, dopo un incontro già entrato nella storia e avvenuto nella Basilica di San Pietro, i due leader avrebbero trovato un accordo in materia di risorse minerarie. Il documento prevede l’istituzione di un fondo di investimento congiunto per la ricostruzione, garantendo agli Stati Uniti un accesso privilegiato ai progetti relativi allo sviluppo delle risorse ucraine, in particolare terre rare, petrolio e gas naturale. Secondo il Washington Post, l’accordo non include garanzie concrete in materia di sicurezza, piuttosto un “allineamento strategico di lungo periodo”. Particolarmente rilevante è anche la clausola che tutela l’Ucraina da qualsiasi vincolo che possa ostacolarne l’adesione all’Unione Europea[1].

In Europa, l’Unione ha iniziato a muoversi già nel 2020 con l’Action Plan on Critical Raw Materials[2], individuando possibili fornitori strategici (come Ucraina e Groenlandia), promuovendo partenariati con paesi terzi (Canada, Australia e alcuni stati africani come Ruanda, Congo, Namibia e Zambia) e lanciando la European Raw Materials Alliance che ambisce a sviluppare resilienza e autonomia strategica. Nel 2023, l’UE ha firmato un Memorandum d’Intesa con il Kazakistan[3] per avviare progetti di cooperazione nella ricerca geologica e negli investimenti nel settore estrattivo, analogamente a quanto avvenuto con il Ruanda. Tuttavia, nel caso di quest’ultimo, sempre in relazione al potere geopolitico di questi materiali, il Parlamento Europeo ha già chiesto alla Commissione di sospendere l’accordo, destinato a finanziare infrastrutture minerarie, poiché il Ruanda è accusato di finanziare i ribelli dell’M23 in cambio dei metalli delle terre rare estratti da territori occupati nella Repubblica Democratica del Congo. L’ultimo traguardo dell’Unione è l’adozione del Regolamento UE 2024/1252: anche qui è stata reiterata l’importanza della circolarità e del riciclaggio di questi materiali, la necessità di diversificare gli approvvigionamenti. L’obiettivo è, in sostanza, aumentare lo sfruttamento delle risorse geologiche europee per coprire almeno il 10% del consumo annuo, potenziare la capacità di trasformazione fino ad almeno il 40% e garantire che almeno il 25% del fabbisogno venga soddisfatto attraverso il riciclo. L’orizzonte temporale sarebbe il 2030, in linea con il quadro per il conseguimento della neutralità climatica[4]. Forse solo la recente scoperta di un vasto giacimento minerario in Svezia – il più grande mai individuato in Europa – potrà, nel medio-lungo termine, contribuire a svincolare l’Unione Europea dalla dipendenza cinese. Tuttavia, gli esperti stimano che saranno necessari almeno 10-15 anni di lavori prima che la miniera entri pienamente in funzione.

L’economia circolare come unica direzione plausibile? Nonostante il loro nome suggerisca un’esclusività, le terre rare sono oggi ambite da potenze globali e paesi in via di sviluppo, sia per il loro ruolo nella transizione energetica e nel riarmo tecnologico sia per il valore strategico che rappresentano nel tessuto della diplomazia contemporanea. La dipendenza dalla Cina ha acceso l’allarme nelle principali economie occidentali, spingendo Stati Uniti e Unione Europea a rivedere politiche industriali, accordi geopolitici e modelli di approvvigionamento. Ucraina, Groenlandia, Asia Centrale e, potenzialmente, alcuni paesi africani come Tanzania, Malawi e Angola rappresentano oggi le aree di maggiore interesse strategico per futuri approvvigionamenti; tuttavia il percorso è ostacolato da guerre, crisi ambientali e tecniche estrattive ancora lontane dalla sostenibilità. Vista la poca disponibilità di giacimenti, per l’Europa il vero tesoro potrebbe risiedere nel riciclo: secondo uno studio pubblicato su Nature Geoscience[5] nei prossimi 30 anni l’approvvigionamento di terre rare riciclate potrebbe crescere complessivamente di 701 mila tonnellate se si sfruttassero le strategie di economica circolare. Sono obiettivi ambiziosi ma più realistici della fiducia nell’estrazione. In particolar modo, considerando la diminuzione delle scorte di materiali critici nei paesi fornitori e il potenziale accumulo in quelli consumatori, un sistema di riciclaggio ben consolidato favorirebbe sicuramente un panorama geopolitico più equilibrato e meno polarizzato. La Commissione ha già investito 22 miliardi nella ricerca avviando molti progetti strategici finalizzati al recupero dei materiali, i beneficiari riceveranno supporto dall’Unione, dagli Stati e dalle istituzioni finanziarie insieme a semplificazioni nell’ottenimento delle autorizzazioni. Tra questi progetti, 4 che si sono distinti sono italiani: Alpha Project, Life22-Env-It-Inspiree, Portovesme CRM Hub e Recover-it[6]. La poca lungimiranza dell’Occidente nei confronti di questo delicato settore ha fatto sì che ci ritrovassimo con l’affanno di cercare un’alternativa in un momento storico dove le terre rare sono diventate le protagoniste dei rapporti diplomatici. Certo è che, in un mondo sempre più multipolare, tecnologico e competitivo, le terre rare si configurano come una cartina al tornasole dei futuri equilibri globali.


[1] Siobhán O’Grady and Jeff Stein, Washington Post (https://www.washingtonpost.com/world/2025/04/30/ukraine-trump-minerals-deal-agreement/ )

[2] Commissione Europea, Settembre 2020 (https://ec.europa.eu/docsroom/documents/42849).

[3] Commissione Europea, Maggio 2023, (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_23_2815).

[4] Regolamento (UE) 2024/1252 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 aprile 2024 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX:32024R1252)

[5] Nature Geoscience report https://www.nature.com/articles/s41561-023-01350-9

[6] Circular Economy Network https://circulareconomynetwork.it/2025/03/27/materie-prime-critiche-progetti-europei/#:~:text=La%20Commissione%20Europea%20ha%20pubblicato%20una%20lista,di%20accesso%20al%20credito%20per%20diventare%20operativi.&text=Diversi%20progetti%20riguardano%20litio%20(22%20progetti)%2C%20nichel,manganese%20(7%20progetti)%20e%20grafite%20(11%20progetti).

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