Introduzione
In Sudan, le Forze di Supporto Rapido (RSF) hanno recentemente conquistato la città di El-Fasher, nel Darfur occidentale. Video diffusi nelle ultime settimane mostrano i miliziani delle RSF impegnati in esecuzioni di massa, uno degli episodi più recenti delle atrocità commesse nel conflitto che li oppone alle Forze Armate Sudanesi (SAF).
Come riportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, le milizie avrebbero ucciso oltre 400 persone nell’ospedale della città[1] . A distanza di oltre due anni dell’inizio dello scoppio del conflitto civile, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), si contano migliaia di sudanesi morti e quasi 25 milioni di persone sfollate con una grave insicurezza alimentare[2].
Nell’agosto 2025, la Food Security Phase Classification (IPC) sostenuta dalle Nazioni Unite ha dichiarato lo stato di carestia nei campi profughi fuori dalla città di El-Fasher: 12 Milioni di persone sono state sfollate con la forza; tra queste ci sono circa 3 milioni di rifugiati fuggiti nei paesi vicini come Ciad, Egitto, Sud Sudan ed Etiopia, insieme a 8,5 milioni di sfollati interni (IDP)[3].
Il Sudan ha un ruolo strategico per molti Paesi, sia in termini di sicurezza alimentare sia per le opportunità di investimento. Le alleanze esterne che hanno alimentato il conflitto e ostacolato i tentativi di risoluzione sono strettamente legate alla lotta di potere tra le SAF e le RSF. Fin dall’inizio della guerra, il 15 aprile 2023, dinamiche regionali e internazionali hanno inciso profondamente sull’evoluzione degli scontri, con entrambe le fazioni che continuano a ricevere sostegno finanziario e materiale militare da diversi attori esterni.
Gli sforzi di mediazione introdotti finora da Paesi terzi, inclusi gli Stati Uniti, si sono rivelati inefficaci. In collaborazione con Egitto, Emirati Arabi Uniti (UAE) e Turchia, l’amministrazione Trump ha promosso un piano di pace, fallito rapidamente fin dal principio. Una delle principali cause del fallimento risiede nella profonda frammentazione sociopolitica del Paese e nel persistere degli scontri armati.
L’esistenza di due eserciti e due Stati ha reso difficile il sostegno della popolazione per una delle due parti, in particolare per il sostegno dell’esercito nazionale, le Forze Armate Sudanesi (SAF). Molti cittadini temono difatti il ritorno della dittatura e delle violenze che caratterizzarono il precedente governo.
Contesto storico: dalla dominazione straniera alla dittatura
La forza paramilitare RSF nasce dal gruppo Janjaweed, costituito da forze sostenute dal governo, un raggruppamento arabo mobilitato da Omar Hasan Ahmad al-Bashīr all’inizio degli anni 2000 per sedare le rivolte dei gruppi ribelli del Darfur che protestavano contro la privazione e l’emarginazione. Il gruppo poi è stato organizzato sotto la guida di Mohamed Hamdan Dagalo, meglio noto come Hemedti, diventando di fatto un’altra base di potere per Bashir che poteva essere utilizzata come agenzia di sicurezza per mantenere l’ordine e la pace.
Per la prima metà del XX secolo, il Sudan fu un protettorato congiunto di Egitto e Regno Unito, noto come ‘Condominio Anglo-Egiziano’[4]. Nel 1956, i due Paesi firmarono un trattato con cui rinunciarono formalmente alla sovranità, dando vita alla Repubblica indipendente del Sudan. Il Sudan, indipendente dal 1956 dopo il dominio britannico-egiziano, fu governato per tre decenni da Omar Hasan al-Bashir, salito al potere con un colpo di Stato nel 1989. Bashir è stato partecipe dell’uccisione di massa, stupri e saccheggi contro i civili di Darfur tra il 2003 e il 2005, per i quali è stato accusato di genocidio da parte della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) ai danni delle popolazioni non arabe (tra cui i Fur, gli Zaghawa e i Masalit) nella regione occidentale del paese. Il suo potere si mantenne fino al 2019, anno in cui culmina la rivoluzione sudanese avvenuta con un colpo di stato attuato dalle SAF e dalle RFS, guidate rispettivamente dai generali Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan e da Hemedti.
La speranza del Paese nel portare a termine il processo di democratizzazione si concluse nell’ ottobre del 2021 in seguito ad un successivo colpo di stato che vide la sospensione della Costituzione. In seguito, i due comandanti militari presero il potere del Paese. Mentre le SAF esercitarono il proprio potere nella parte orientale del Sudan, le RSF fu più influente nella parte occidentale. Questa dicotomia e spartizione di potere sfociò nell’attuale guerra civile le cui dinamiche interne sembrano lontane nel trovare un punto di equilibrio.
Motivi e conseguenze del conflitto
Il Sudan è stato teatro di conflitti a causa della cattiva gestione delle diversità etnica e dell’eredità coloniale che ha alimentato le tensioni, soprattutto tra il sud (con prevalenza africana) e il nord (con predominanza araba)[5]. Queste differenze sono state esacerbate dall’eredità dell’autorità coloniale, che ha visto l’Egitto e la Gran Bretagna governare il Sudan. Alcuni abitanti del nord hanno sviluppato un senso di identità e superiorità come risultato dei loro legami con il mondo arabo che spesso li ha portati a emarginare i gruppi etnici africani del sud. Allo stesso tempo, il sud si sentiva emarginato dai centri del potere del nord in quanto più vicino a credenze cristiane o animiste. Le guerre che hanno avuto luogo in Sudan sono state facilitate da questa divisione culturale e religiosa[6].
Non è ancora noto chi abbia sparato i primi colpi nella guerra civile sudanese. È però certo che la tensione tra i due schieramenti aveva raggiunto il punto di rottura, soprattutto dopo il rifiuto del generale Burhan di integrare nell’esercito nazionale le forze paramilitari guidate da Hemedti. Il 15 aprile 2023, le RSF avanzarono verso la residenza di Burhan e lo scontro a fuoco che ne seguì precipitò il Paese in una guerra civile su vasta scala. Nelle fasi iniziali del conflitto, i paramilitari riuscirono a prendere il controllo di gran parte di Khartoum, costringendo il governo sudanese a trasferirsi a Port Sudan.
Alla fine di settembre 2024, dopo una breve pausa durante la stagione delle piogge, il conflitto è riesploso in diverse zone, tra cui Kharthoum, Darfur settentrionale e Sennar. Il quadro generale è quello di un conflitto in cui entrambe le parti hanno registrato vittorie significative, ma nessuna delle due è in grado di ottenere un vantaggio decisivo[7]. Il conflitto sta, inoltre, aggravando le divisioni politiche, etniche e regionali che portano ad alimentare ancora di più lo scontro tra i due eserciti, non ricevendo una forte opposizione da parte della popolazione civile.
Il Sudan oggi sta affrontando una crisi economica, sociale e umanitaria. Il conflitto in corso ha devastato settori chiave come l’agricoltura e il commercio, causando perdite stimate in 15 miliardi di dollari[8]. Le infrastrutture, i mercati e le industrie sono stati paralizzati dalla guerra.
La dipendenza del Sudan dalle risorse naturali, soprattutto dall’oro, ha solo intensificato l’instabilità di uno sviluppo sostenibile[9]. La violenza protratta nel Paese è stata alimentata proprio da tale risorsa, che permette alle diverse fazioni di alimentare le rispettive macchine della guerra.
Il principale beneficiario è l’UAE, che si è sviluppato come centro di riciclaggio dell’oro trafficato sul mercato internazionale[10]. Il commercio dell’oro sudanese è fondamentale per comprendere cosa spinge la sua organizzazione a continuare la guerra.[11] L’oro estratto in Sudan viene venduto soprattutto a Dubai e in Russia attraverso la rete mercenaria del Gruppo Wagner. Proprio questo aspetto geopolitico non è stato preso in considerazione da parte dei fautori della pace (tra cui gli USA e UAE), che fin dal 2023 tentarono, inutilmente, di trovare un punto di incontro tra le due parti.
La crisi umanitaria si è aggravata ulteriormente a causa delle ostruzioni alla distribuzione degli aiuti, con entrambe le parti – SAF e RSF – che hanno sfruttato burocrazia e posti di blocco per controllare l’accesso alle risorse. Nei territori sotto il controllo delle RSF, i civili hanno dovuto affrontare gravi carenze alimentari e livelli endemici di violenza, mentre i bombardamenti aerei indiscriminati condotti dalle SAF hanno distrutto infrastrutture essenziali, lasciando intere comunità urbane isolate e vulnerabili. Le RSF hanno potuto sostenere le proprie operazioni grazie a reti logistiche estese, appoggiandosi a collegamenti regionali e internazionali. L’accesso ad armamenti più sofisticati, unito a catene di approvvigionamento decentralizzate, ha consentito loro di ridurre in parte il vantaggio aereo delle SAF.
I maltrattamenti ai civili (inclusi stupri, omicidi, arresti, detenzioni e maltrattamenti), gli sfollamenti forzati e i saccheggi hanno costituito ulteriori crimini di guerra da parte delle fazioni in conflitto. Donne e ragazze sono state uccise negli attacchi indiscriminati delle parti in guerra mentre cercavano lavoro quotidiano o andavano a prendere cibo o acqua, o sono morte nelle loro case a causa di sparatorie, bombardamenti e attacchi aerei indiscriminati[12].
Recenti studi condotti dalle Nazioni Unite mostrano come gli attacchi delle RSF contro gli indigeni Masalit nel 2023, nella città di El-Geneina nel Darfur, hanno incluso torture, stupri ed esecuzioni sommarie, scatenando accuse di genocidio da parte del governo sudanese e poi successivamente da parte dell’ONU. Inoltre, il Panel[13], ha verificato schemi di stupro avvenuti durante le ostilità attive mentre RSF avanzava nei quartieri della città. Il numero dei casi di stupro è presumibilmente più alto, poiché le vittime non erano in grado di accedere all’assistenza sanitaria e affrontavano gravi limitazioni nelle comunicazioni, oltre allo stigma associato allo stupro. Circa 5,5 milioni di sfollati interni hanno sopportato povertà radicata, malnutrizione acuta, mancanza di accesso all’assistenza sanitaria e condizioni di vita sovraffollate a causa del conflitto prolungato.
Il ruolo strategico delle potenze straniere e la loro influenza
La lotta di potere tra l’esercito e l’RSF è legata alle alleanze esterne che hanno alimentato la guerra e reso più difficile la sua risoluzione[14]. I funzionari africani, arabi e occidentali ritengono che l’RSF dipenda dal sostegno degli Emirati Arabi (UAE) che il governo sudanese ha accusato di complicità di genocidio presso la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) nell’aprile del 2025[15]. Anche Israele si è affiancato all’UAE criticando l’esercito del governo associandolo alle forze di Hamas e sostenendo le RSF. L’esercito, invece, ha tra i maggiori alleati l’Egitto. Il Cairo considera la stabilità del Sudan fondamentale per la propria sicurezza rispetto al Nilo e alla costa del Mar Rosso. Il Qatar e la Turchia sono simpatizzanti dell’esercito e dei suoi alleati islamisti. Anche l’Iran ha venduto armi alle SAF, tra cui droni che, secondo la stessa RSF, sono stati di grande importanza per le recenti conquiste dell’esercito. L’Arabia Saudita, invece, ha influenza su entrambe le parti, ma è più vicina all’esercito[16], così come la Russia, con il gruppo Wagner.
Tuttavia, gli Emirati Arabi sono lo Stato più importante ad essere intervenuto. Nonostante abbiano a lungo negato il loro coinvolgimento nella guerra civile, molte prove evidenti mostrano il loro coinvolgimento, violando gli embarghi sulle armi. Così come riportato dal Middle Est Eye Journal[17], nel gennaio 2024, gli UAE stavano fornendo armi alla RSF, attraverso una complessa rete di rifornimento e alleanze con la Libia di Haftar, il Ciad, l’Uganda e le regioni separatiste della Somalia.
Ulteriori studi presentati dal Guardian[18] mostrano come il governo britannico è anche indirettamente coinvolto, fornendo attrezzature paramilitari alle RSF. Questo coinvolgimento è reso ancora più evidente durante la conferenza internazionale[19], in cui il governo di Burhan non era stato invitato a partecipare alle trattative di pace insieme anche all’intermediazione dell’UAE. La conferenza fu un buco nell’acqua, “un fallimento diplomatico”: nello stesso giorno vide un’offensiva da parte delle RSF su El-Fasher, dove venne dichiarato la creazione di un secondo governo.
L’ambasciatore del Sudan negli Stati Uniti, Mohamed Abdalla Idris, ha esortato l’amministrazione USA a riconoscere le forze paramilitari RSF come organizzazione terroristica, cosa che Trump ha rifiutato di sostenere[20]. Recentemente, nel settembre del 2025, lo stesso presidente ha pubblicato un piano di pace redatto in collaborazione con Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Il piano propone una tregua umanitaria di tre mesi, seguita da un cessate il fuoco permanente e da un governo civile. Gli ultimi avvenimenti, mostrano che anche questo tentativo fu una débâcle diplomatica. In seguito ai risultati fallimentari nella firma di un trattato di pace, molti analisti ritengono necessario una cooperazione più stabile. Al momento, Ankara sembra nella posizione per guidare tale sforzo volto a mediare un accordo tra l’esercito e Abu Dhabi[21].
I primi tentativi di firmare un cessate il fuoco risalgono al 2023. All’inizio di maggio dello stesso anno si instaurarono a Gedda i colloqui per un cessate il fuoco e per l’assistenza umanitaria, sotto gli auspici delle autorità dell’Arabia Saudita e degli Stati Uniti. L’11 maggio, le parti firmarono la Dichiarazione di Gedda sull’Impegno a Proteggere i Civili del Sudan[22], con la quale consentivano l’accesso umanitario e a rispettare il diritto internazionale umanitario. La Dichiarazione non è stata attuata e i colloqui si sono interrotti dopo pochi mesi. Il principale ostacolo tra le due delegazioni è stato il rifiuto da parte di RSF di ritirarsi da Khartoum e da altre città, una richiesta chiave avanzata da SAF.
Perché l’Europa e l’Italia sono accusate di aver finanziato il conflitto
Dal 2014, l’Unione Europea (UE) ha finanziato programmi per gestire la migrazione nel Corno d’Africa. In Sudan, parte di quel sistema ha interagito con attori oggi coinvolti in crimini contro i civili. Nel 2014 l’Unione Europea ha inaugurato il Processo di Khartoum[23], cornice di cooperazione con i paesi del Corno d’Africa per contrastare traffici di esseri umani, rafforzare i confini e promuovere canali regolari. Dentro quella cornice è nato l’EU Emergency Trust Fund for Africa (EUTF), un fondo europeo che ha visto finanziare anche progetti in Sudan su gestione migratoria, frontiere e sicurezza[24]. L’obiettivo ufficiale del Fondo è quello di contrastare “le cause profonde dell’immigrazione irregolare e dello sfollamento di persone in Africa” attraverso la promozione di opportunità economiche e il rafforzamento della sicurezza[25]. Il processo decisionale del Trust Fund è considerato da molti non trasparente. Inoltre, i delegati dei paesi africani hanno solo potere consultivo, a differenza di quanto avviene nel Fondo Europeo per lo Sviluppo, esponendo il processo al rischio di decisioni prese da una prospettiva unicamente europea.
La strategia europea mira a rafforzare la cooperazione con i governi locali nella gestione dei flussi migratori. A tal fine, l’UE finanzia progetti di sviluppo nei Paesi di origine e transito e sostiene il potenziamento delle forze di polizia lungo le principali rotte verso l’Europa. Questo approccio, tuttavia, comporta il rischio di favorire regimi o leader con scarsa credibilità in materia di diritti umani, come è avvenuto nel caso del Sudan durante la presidenza di Bashir.
L’Italia, parallelamente, ha firmato nel 2016 un Memorandum d’Intesa con il Sudan per cooperare nella lotta al crimine, nel controllo delle frontiere e nelle operazioni di rimpatrio. Il contenuto dell’accordo, non divulgato pubblicamente all’epoca, è stato successivamente ricostruito da giuristi e organizzazioni indipendenti, che ne hanno messo in luce l’estensione e la scarsa trasparenza. Anche in questo caso l’approccio era di natura pragmatica: bloccare a monte le rotte migratorie dirette verso la Libia. Tuttavia, l’esperienza dimostra che la segretezza delle negoziazioni e l’assenza di meccanismi di controllo indipendenti aumentano il rischio di abusi, deviazioni operative ed effetti indesiderati sui diritti e sulle tutele dei migranti. Il Memorandum fu firmato a Roma il 3 agosto 2016 da Franco Gabrielli, allora capo della polizia italiana e direttore generale della pubblica sicurezza, e da Hashim Osman el Hussein, direttore generale della polizia sudanese.
In Italia qualsiasi misura legislativa volta a regolare la disciplina della gestione dei flussi migratori e del rimpatrio dei cittadini sudanesi deve seguire la procedura prevista dagli articoli 80 e 87 della Costituzione, inerenti alla ratifica di trattati internazionali. Tenuto conto del contenuto politico e finanziario del Memorandum, la decisione relativa alla sua ratifica e attuazione avrebbe dovuto essere stata sottoposta ad un controllo parlamentare. In mancanza, il Memorandum si pone in violazione dell’art. 10, co.3 Costituzione, che tutela gli interessi degli stranieri a che la loro condizione sia disciplinata dalla legge e non, come nel caso di specie, da accordi di polizia.[26]
L’implementazione del Memorandum che ha portato all’espulsione dei cittadini sudanesi ha dato luogo ad almeno tre possibili violazioni dei diritti umani: a) violazione del principio di non refoulement; b) violazione del divieto di espulsione collettiva; c) violazione del diritto a un ricorso effettivo. Per quanto riguarda la prima violazione, il Memorandum contiene varie disposizioni che sottolineano l’importanza del rispetto dei diritti umani e del rispetto del diritto internazionale applicabile, compreso il rispetto della Convenzione di Ginevra del 1951. Tuttavia, in nessun articolo del Memorandum vi è un riferimento diretto ed espresso al rispetto del principio di non refoulement. Questa pratica è esplicitamente vietata dall’articolo 4, Protocollo 4 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU)[27].
L’Italia ha sottoscritto un accordo con un Paese ancora segnato da conflitti interni e da una crisi politica irrisolta. Pertanto, le espulsioni di cittadini sudanesi effettuate in base al Memorandum devono considerare che la loro condizione personale potrebbe risultare compromessa dal contesto complessivo del Sudan, caratterizzato da instabilità, violenze diffuse e gravi violazioni dei diritti umani.
Le sanzioni europee contro individui ed entità della guerra sudanese dicono che l’Ue riconosce la natura criminale di molte condotte in atto. Il passo seguente sarebbe allineare l’intero portafoglio di cooperazione, inclusi i programmi migratori, a quelle stesse valutazioni. In altre parole, non finanziare se c’è anche un ragionevole dubbio che possa beneficiarne chi oggi perpetra massacri indiscriminati ai danni della popolazione civile.
Il (non) racconto della guerra: il ruolo dei media e del giornalismo
Mentre i conflitti a Gaza e in Ucraina hanno occupato le prime pagine di quasi tutti i giornali nazionali e internazionali, la guerra in Sudan rimane in gran parte ignorata, nonostante le sue conseguenze umanitarie e geopolitiche.
Le organizzazioni mediatiche e i cittadini fanno fatica a seguire contemporaneamente molteplici crisi internazionali e, negli ultimi tre anni, la guerra in Ucraina e gli orrori a Gaza hanno dominato l’attenzione pubblica. L’invisibilità totale o parziale di molte situazioni permette ai governi di rilasciare dichiarazioni moralistiche di condanna e destinare, a volte, fondi largamente insufficienti per gli aiuti d’emergenza. In realtà, l’uso del termine “guerra civile” da parte dei media per descrivere la situazione in Sudan è stato fuorviante. Ciò da cui il mondo ha distolto lo sguardo è una prolungata lotta di potere tra due generali brutali e le loro forze, con entrambe le parti responsabili di atrocità di massa contro civili innocenti — sebbene una delle due in misura significativamente maggiore rispetto all’altra[28]. La guerra in Sudan, iniziata il 15 aprile 2023, è oggi la più grande crisi di sfollamento al mondo, con oltre 11 milioni di persone costrette a lasciare le proprie case e un rischio crescente di carestia. Nonostante la gravità della situazione, il conflitto riceve minima attenzione internazionale. Questo non è dovuto a una semplice dimenticanza, ma a una combinazione di ignoranza, scelte politiche deliberate e dinamiche mediatiche che oscurano la realtà sudanese. L’attenzione globale e gli aiuti si concentrano soprattutto su Ucraina e Gaza, mentre gli appelli delle Nazioni Unite per il Sudan rimangono gravemente sottofinanziati.
La narrazione dominante presenta tre grandi fraintendimenti. Il primo è l’idea che si tratti di un “conflitto dimenticato”, che suggerisce un’assenza accidentale di attenzione internazionale[29]. In realtà, la crisi è stata aggravata dalla repressione mediatica interna, dai tagli agli aiuti dei Paesi donatori e dalle politiche europee sulla migrazione che hanno favorito pratiche dannose e, indirettamente, l’ascesa di gruppi armati come le RSF. Tutto ciò contribuisce a un disinteresse che è più intenzionale che involontario.
Il secondo fraintendimento descrive la guerra come una semplice rivalità personale tra due generali, al-Burhan e Hemedti. Questa visione riduttiva non coglie la natura strutturale del conflitto, che affonda le radici in decenni di militarizzazione, autoritarismo e manipolazioni etniche promosse durante il regime di Omar al-Bashir. Il paese è frammentato da molteplici gruppi armati non pienamente controllati dai due leader, e le mediazioni internazionali incentrate solo su Burhan e Hemedti rischiano di escludere attori civili e regionali essenziali per una pace duratura.
Il terzo equivoco è l’idea che il Sudan sia principalmente un teatro di guerra per procura tra potenze straniere. Sebbene attori esterni come Egitto, Iran e Emirati Arabi Uniti abbiano un ruolo nel fornire armi e sostegno, sia le SAF sia le RSF combattono soprattutto per il controllo interno del potere. Definire il conflitto come una guerra per procura distoglie l’attenzione dalle reali priorità della popolazione civile sudanese e rischia di semplificare eccessivamente le dinamiche in gioco[30].
Dallo scoppio della guerra, il sistema mediatico sudanese è precipitato in una crisi profonda. Giornali, radio e televisioni hanno subito distruzioni, saccheggi e l’interruzione delle infrastrutture di comunicazione e di Internet. Numerose tipografie sono state costrette a chiudere e molti giornalisti hanno abbandonato la stampa tradizionale per lavorare in altri settori dell’informazione.
Il conflitto ha inoltre intensificato la violenza contro gli operatori dei media, con un aumento di furti, minacce, omicidi e attacchi mirati, in particolare contro chi documenta le violazioni commesse dalle RSF. Esperti sudanesi denunciano anche la mancanza di risorse, la scarsa formazione tecnica e il pesante controllo governativo sulla libertà di espressione, soprattutto nei settori radiofonico e televisivo, storicamente sottoposti a rigida censura.
Pur esistendo alcune testate indipendenti, il panorama mediatico rimane fortemente dominato dal governo, mentre le RSF cercano a loro volta di manipolare l’informazione, arrivando ad arrestare tecnici e a tentare di riattivare emittenti radiofoniche per orientarne i contenuti. In questo contesto, è a rischio un collasso totale, ostacolando gravemente il flusso di informazioni e la sicurezza dei giornalisti[31].
Narrazioni imprecise compromettono una reale comprensione della crisi sudanese e ostacolano l’elaborazione di una risposta internazionale efficace. Più che un conflitto dimenticato, quello in Sudan è un conflitto volutamente ignorato, radicato in una lunga tradizione di militarizzazione e ulteriormente aggravato dalle interferenze esterne. Un’analisi accurata è essenziale per costruire strategie di pace centrate sui civili e fondate su una conoscenza approfondita delle dinamiche interne del Paese.
Conclusione
La soluzione più efficace per porre fine al conflitto richiederebbe una pressione coordinata da parte della Casa Bianca, affinché i suoi alleati arabi trovino un’intesa capace di fermare le ostilità. Tuttavia, il limitato interesse strategico degli Stati Uniti verso il Sudan ha frenato gli sforzi sia dell’amministrazione Biden sia, successivamente, di quella Trump. Funzionari egiziani hanno inoltre ribadito che l’esercito sudanese non accetterà mai un cessate il fuoco senza aver prima riconquistato Khartoum, sostenendo che le SAF e le RSF non debbano essere trattate come attori equivalenti.
La recente escalation del conflitto ha riportato una maggiore attenzione internazionale su una guerra sempre più brutale, considerata una delle peggiori crisi umanitarie del secolo. Ad oggi, una risoluzione appare estremamente complessa e difficilmente conciliabile con gli interessi dei due schieramenti, alimentati anche da tensioni interne alla società sudanese, segnate da ideologie radicate e da un forte senso di superiorità etnica. Le dinamiche che stanno alla base della guerra affondano infatti nella lunga storia di dominazione straniera, autoritarismo e polarizzazioni identitarie, che hanno generato un risentimento difficilmente superabile.
Oltre alle motivazioni geopolitiche ed economiche, la persistenza del conflitto è legata al fatto che il controllo totale del territorio rappresenta per entrambe le parti una dimostrazione di supremazia politica, culturale e ideologica sull’avversario. Dal punto di vista interno, molti civili non sostengono un ritorno al potere dell’esercito sudanese, temendo una nuova fase di autoritarismo; ciò contribuisce a rendere ancora più fragile il percorso verso un cessate il fuoco. Non esiste, in questo conflitto, una parte “giusta”: entrambe sono responsabili di violenze e atrocità. Il sostegno esterno a una delle due fazioni non fa che alimentare la macchina bellica e rafforzare logiche di violenza e irrazionalità.
La prosecuzione della guerra dipende infatti non solo dalla volontà delle due parti sudanesi, ma anche dal supporto dei loro alleati internazionali, attratti dall’accesso privilegiato alle risorse naturali — in primis oro e petrolio. La scelta di tacere o di distogliere lo sguardo da quanto accade è profondamente politica e risponde a interessi legati al controllo delle rotte migratorie, allo sfruttamento economico e alla competizione geopolitica tramite attori intermedi.
La Turchia potrebbe svolgere un ruolo di mediazione, essendo uno dei pochi attori con rapporti relativamente aperti con entrambe le parti. Tuttavia, i nodi da sciogliere rimangono numerosi e, allo stato attuale, nessun Stato coinvolto sembra realmente intenzionato a intraprendere un percorso serio verso la pace.
[1] Del Vecchio F., ‘Cosa sta succedendo in Sudan e come siamo arrivati a questo punto: storia di una guerra dimenticata’, (2025). https://www.geopop.it/sudan-rfs-paramilitari-cosa-succede-storia-guerra-immagini/
[2] Tester D. ‚Why ist the UAE involved in Sudan’s bloody civil war?’ (2025) https://www.middleeasteye.net/explainers/why-uae-involved-sudans-bloody-civil-war
[3] Hussien, H. H., & Ahmed, R. H. The humanitarian crisis in Sudan: Multifaceted impacts of armed conflict on health, education, and displacement. Sociological Research and Innovation, 3(1)( 2025), 76–99. https://doi.org/10.32350/sri.31.04
[4] Del Vecchio F., ‘Cosa sta succedendo in Sudan e come siamo arrivati a questo punto: storia di una guerra dimenticata’, (2025). https://www.geopop.it/sudan-rfs-paramilitari-cosa-succede-storia-guerra-immagini/
[5] Estifanos Balew Liyew (05 Mar 2025): Shattering impact of the Sudan conflict on regional stability, African Identities, DOI: 10.1080/14725843.2025.2473989
[6] Ibidem
[7] International Crisis Groups Sudan’s Calamitous War: Finding a Path toward Peace. Crisis Group Africa Briefing, n°204, (2025). https://www.crisisgroup.org/africa/horn-africa/sudan/b204-sudans-calamitous-war-finding-path-toward-peace
[8] Hussien, H. H., & Ahmed, R. H. (2025). The humanitarian crisis in Sudan: Multifaceted impacts of armed conflict on health, education, and displacement. Sociological Research and Innovation, 3(1), 76–99. https://doi.org/10.32350/sri.31.04
[9] Ibidem
[10] Estifanos Balew Liyew (05 Mar 2025): Shattering impact of the Sudan conflict on regional stability, African Identities, DOI: 10.1080/14725843.2025.2473989
[11] Zaidan Y., Abbas R., Rondos A., “Sudan’s Civil War: Mediation Challenges and the U.S. role”, (2023). https://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/sudans-civil-war-mediation-challenges-and-us-role
[12] United Nations Security Council Final report of the Panel of Experts on the Sudan, S/2025/239 https://docs.un.org/en/s/2025/239
[13] Ibidem.
[14] International Crisis Groups, Sudan’s Calamitous War: Finding a Path toward Peace. Crisis Group Africa Briefing, n°204 (2025). https://www.crisisgroup.org/africa/horn-africa/sudan/b204-sudans-calamitous-war-finding-path-toward-peace
[15] Tester D. ‚Why ist the UAE involved in Sudan’s bloody civil war?’ (2025) https://www.middleeasteye.net/explainers/why-uae-involved-sudans-bloody-civil-war
[16] International Crisis Group (2025).
[17] Rickett O., ‘How the UAE kept the Sudan war raging’, (2024) https://www.middleeasteye.net/news/sudan-uae-war-arms-trade-rsf
[18] Townsend M., ‘UK military equipment used by militia accused of genocide found in Sudan, UN told (2025). https://www.theguardian.com/global-development/2025/oct/28/uk-military-equipment-rapid-support-forces-rsf-militia-accused-genocide-found-sudan-united-nations
[19] Mulla I., Hilton D., London conference on Sudan held as massacres unfold in North Darfur’ (2025), https://www.middleeasteye.net/news/uk-unveils-ps120m-aid-package-sudan-london-conference-begins
[20] El-Sabawi Y., ‘Sudan urges Trumo to designate RSF a terrorist entity as it rules out UAE-linked peace proposals’, (2025). https://www.middleeasteye.net/news/sudan-urges-trump-designate-rsf-terrorist-entity-pressure-peace-deal
[21] International Crisis Groups (2025).
[22] U.S. Departement of State, Jeddah Declaration of Commitment to Protect the Civilians of Sudan, 11 maggio 2023, Bureau of African Affairs. https://2021-2025.state.gov/jeddah-declaration-of-commitment-to-protect-the-civilians-of-sudan/
[23] https://www.khartoumprocess.net/
[24] Italia che Cambia, ‘Stanno emergendo collegamenti fra fondi Ue anti-migranti e le stragi in Sudan’, (2025) https://www.italiachecambia.org/news/collegamenti-fondi-ue-stragi-sudan/
[25]Luppi M., ‘Come viene usato il fondo Fiduciario per l’Africa?’ (2017) https://openmigration.org/analisi/come-viene-usato-il-fondo-fiduciario-per-lafrica
[26] Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, ‘Memorandum d’Intesa Italia-Sudan: un’analisi giuridica’, (2017)https://www.asgi.it/allontamento-espulsione/memorandum-sudan-italia-analisi-giuridica/
[27] Borletto Beatrice et al. Report (2017), Memorandum of Understanding between Italy and Sudan: A legal analysis. Associazione per gli studi Giudirici sull’immigrazione (ASGI). https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2017/10/Report-Memorandum-of-Understanding-Sudan-Italy-SL-Clinic-UniTO.pdf
[28]Mayroz E., ‘The absence of public attention on the atrocities in Sudan is having devasting consequences-what can be done?’ (2025) https://www.abc.net.au/religion/eyal-mayroz-australian-media-public-attention-war-in-sudan/105294248
[29] Kurtz G. ‚How (Not) to Talk About the War in Sudan’, (2024) https://www.swp-berlin.org/publikation/mta-spotlight-30-how-not-to-talk-about-the-war-in-sudan
[30] Ibidem
[31] Al-Awad M.B., ‘The Media Landscape in Sudan During the War’, (2025) https://institute.aljazeera.net/en/ajr/article/2875

