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Una nuova fase dei rapporti post-brexit

A nove anni dal referendum sulla Brexit, l’unico sostanziale cambiamento sembra essere stato quello politico. L’alternarsi di sei primi ministri in nove anni, seppur non sorprenda noi italiani, rappresenta un’anomalia senza precedenti nella storia britannica. Per chi conosce la storia dell’integrazione europea, il rapporto tra Regno Unito e UE non è mai stato particolarmente armonioso, con il governo di Londra che ha spesso mostrato riluttanza a cedere porzioni di sovranità nazionale. Tuttavia, cinque anni dopo l’uscita formale dall’Unione, il Regno Unito e UE si ritrovano seduti allo stesso tavolo. I temi negoziati spaziano dalla pesca al commercio alimentare, dalla mobilità giovanile per studio e lavoro fino al tema centrale dell’incontro, ovvero, sicurezza, difesa e minacce strategiche. Il vertice UE-UK, tenutosi a Lancaster House il 19 maggio 2025, rappresenta una tappa cruciale nel percorso post-Brexit, segnando un potenziale cambio di paradigma nelle relazioni. Quello che emerge dall’incontro è che la cooperazione, con l’attuale contesto geopolitico, non è più una scelta strategica, ma una vera e propria necessità condivisa.[1]

Dopo anni in cui la difesa è rimasta ai margini del dialogo bilaterale, limitata a intese NATO o ad accordi piuttosto frammentati e flessibili, Bruxelles e Londra riconoscono finalmente l’urgenza di un quadro più strutturato e stabile. Questo passaggio riflette una visione di Europa compatta e unita nelle difficoltà, come affermato dall’Alto Rappresentante per la Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC) Kaja Kallas, e da Ursola Von der Leyen. Fattori come l’invasione russa dell’Ucraina, l’instabilità globale e soprattutto il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca hanno agito da fattori catalizzatori. L’imprevedibile politica estera del presidente repubblicano, tra guerra commerciale e disimpegno dalla NATO, ha resol’Europa diffidente nei confronti di Washington come garante della sicurezza del continente.

Il contesto internazionale è oggi più ostile che mai: l’emergere di potenze rivali in campo militare e strategico, l’insicurezza cibernetica, le crisi globali pongono come priorità il rafforzamento della resilienza strategica dell’Europa. In questo scenario, appare evidente che una potenza come il Regno Unito non possa più essere trattato come un semplice paese “terzo”. La sua centralità militare, tecnologica e diplomatica lo rende un attore imprescindibile per qualsiasi visione geopolitica credibile dell’Europa. Il rilancio della cooperazione UE-UK è anche un test: dimostrare che l’Unione Europea può agire come soggetto politico unito, anche al di fuori dei vincoli dell’integrazione formale.

Il vertice di Lancaster House, con tutte le sue ambiguità, che analizzeremo nei prossimi paragrafi, mostra come la Brexit abbia forse illuso molti sulla possibilità di un’Europa divisa e separatamente indipendente. Ma le necessità attuali ci indicano il contrario, ovvero che nessun Paese nel vecchio continente, ad oggi, può permettersi di agire da solo.[2]

Johnson, Sunak e Starmer: l’evolversi del posizionamento geopolitico del Regno Unito

In seguito alla Brexit, la Gran Bretagna ha avviato un percorso di ridefinizione del proprio posizionamento strategico, sia nei confronti dei partner europei sia nell’arena geopolitica globale. Se da un lato l’Accordo di commercio e cooperazione (TCA) del 2020 ha disciplinato le relazioni economiche post-Brexit con l’UE, sul piano della politica estera, di sicurezza e difesa Londra ha inizialmente optato per un approccio informale e frammentato, dettato dalla volontà del governo di Boris Johnson di evitare qualsiasi vincolo con Bruxelles e, di riflesso, con gli Stati membri. In questo periodo si è preferita la via dell’autonomia strategica e della tradizionale “special relationship” con gli Stati Uniti.[3]

Con la caduta di Johnson, e lasciando da parte il governo meno duraturo della storia britannica guidato da Liz Truss, il primo ministro Rishi Sunak ha avviato una fase di maggiore apertura verso il dialogo con i partner europei. Pur senza formalizzare un nuovo accordo in materia di politica estera, il posizionamento strategico del Regno Unito si è fatto gradualmente collaborativo. A fare da catalizzatore a questo riavvicinamento è stato il conflitto in Ucraina, che ha mostrato la necessità di una cooperazione più stretta tra i paesi europei su diversi fronti. Londra ha difatti collaborato allo scambio di intelligence, al coordinamento delle sanzioni, fino al sostegno militare all’Ucraina. Tuttavia, è corretto sottolineare che tale cooperazione è rimasta prevalentemente contestuale e piuttosto limitata all’urgenza della guerra, non è stata accompagnata da un quadro istituzionale duraturo. In questa logica, la posizione del governo Sunak è stata quella di mantenere un certo grado di autonomia e flessibilità decisionale.[4]

Il nuovo partenariato nel dettaglio: Ambizioni e limiti

Dando uno sguardo più approfondito alle matrici del nuovo Security and Defence Partnership (SDP) tra EU-UK, emerge chiaramente la volontà di superare, seppur senza uno slancio particolarmente significativo, l’isolamento strategico post-Brexit e di riconoscere l’interdipendenza tra Londra e Bruxelles. L’accordo istituzionalizza canali di dialogo politico e militare, attraverso forum regolari e scadenze predefinite, tra questi; un Defence Forum annuale, incontri semestrali su politica estera e di sicurezza, e la partecipazione britannica allo Schuman Security and Defence Forum. La cooperazione si concentrerà su ambiti chiave, quali il settore marittimo, spaziale e cibernetico e sul contrasto alle minacce ibride, alla manipolazione dell’informazione ed alle interferenze straniere.[5]

È inoltre prevista l’eventuale partecipazione del Regno Unito a missioni e operazioni nell’ambito della PSDC, aprendo alla possibilità di un ritorno britannico in strutture multilaterali europee, come la PESCO; anche se su questo punto restano dubbi circa la reale fattibilità sia politica e tecnica dell’operazione.[6] In termini geopolitici, il partenariato riafferma il ruolo cardine della NATO nella difesa collettiva. Londra e Bruxelles continuano a riconoscere l’Alleanza Atlantica come architrave della deterrenza militare e sicurezza in Europa, nonostante le incertezze sulla politica statunitense e sulla sua affidabilità nel lungo periodo. È in questo contesto che il SDP può rappresentare un primo passo verso una maggiore autonomia strategica europea condivisa, pur senza mettere in discussione il legame con la NATO. Sebbene la volontà di riallacciare i rapporti ci sia, il partenariato appare privo di contenuti sia vincolanti che operativi, con diversi osservatori internazionali che hanno sottolineato la vaghezza dell’accordo, la mancanza di obiettivi misurabili e l’assenza di milestone chiare. Il rischio è quello di ridurre il SDP a uno strumento più simbolico che strategico.[7]

Tra i nodi più discussi c’è la questione dell’accesso del Regno Unito al fondo europeo SAFE (Security Action for Europe), un nuovo strumento da 150 miliardi di euro per finanziare la modernizzazione e il riarmo degli eserciti europei. Inizialmente pensato per le sole industrie dell’UE, il fondo potrebbe aprirsi ai produttori britannici, data la rilevanza strategica e la capacità industriale del Regno Unito. Ciò rappresenterebbe un incentivo decisivo per una cooperazione industriale integrata, ma al momento l’accesso è condizionato a ulteriori negoziati bilaterali. Gli ostacoli legati a questo aspetto di cooperazione non mancano. Tra i principali, la persistente frammentazione dell’industria della difesa europea e la tendenza di alcuni Stati membri ad agire in maniera autonoma e isolata. Per concretizzare il potenziale del partenariato sarà fondamentale superare le rigidità istituzionali.[8]

Oltre la difesa: cibo, pesca, giovani e mobilità al centro della normalizzazione post-Brexit

Oltre ai temi della difesa e della sicurezza, l’incontro ha sancito diverse novità su più fronti e in vari settori. Il settore agroalimentare è il primo a trarne vantaggio: grazie a un allineamento agli standard sanitari europei, Londra potrà ridurre drasticamente i controlli doganali. Ciò faciliterà le esportazioni verso il mercato europeo, che rappresenta il 57% del totale britannico, con un impatto economico stimato in circa 9 miliardi di sterline entro il 2040. Nel settore ittico è stato raggiunto un compromesso che tende a favorire i Paesi UE, attraverso l’estensione per dodici anni dell’accesso reciproco alle acque territoriali. Se da un lato è stato accolto positivamente dalle istituzioni europee, dall’altro ha generato alcune critiche tra i pescatori britannici, specialmente in Scozia, dove ha diviso gli allevatori di salmone.[9]

Un altro punto chiave e molto atteso riguarda la mobilità giovanile. Sebbene ancora in fase di definizione, l’intesa punta a ripristinare, almeno parzialmente, le condizioni pre-Brexit, offrendo nuove opportunità di studio, lavoro e volontariato per i giovani tra i 18 e i 30 anni, aprendo la porta anche ad un potenziale reintegro del Regno Unito nel programma Erasmus+. Dal punto di vista pratico, sono previste semplificazioni nei viaggi. Negli ultimi anni gli aeroporti britannici sono stati messi a dura prova dalle code interminabili ai controlli sui passaporti. L’introduzione dell’uso degli eGates per i cittadini britannici negli aeroporti UE ridurrà i tempi di attesa e faciliterà una maggiore fluidità nei collegamenti aerei.[10]

Sul fronte energetico e climatico, Londra mira a reintegrarsi nel mercato elettrico europeo e a mantenere il collegamento tra i rispettivi sistemi ETS (Emission Trading Scheme), allineandosi così agli obiettivi della transizione verde europea. Infine, l’accordo rilancia anche la cooperazione giudiziaria, prevedendo un maggior scambio di dati biometrici e incoraggiando il rafforzamento dei legami tra Europol e i servizi di intelligence britannici. Un elemento fondamentale per affrontare la crescente minaccia della criminalità organizzata transnazionale, sempre più potente e ramificata.[11]


[1] Stone, J., Vinocur, N., Gijs, C., & Inge, S., “EU and UK ink post-Brexit deal on security, fish and energy.” Politico, 19 May 2025. EU and UK ink post-Brexit deal on security, fish and energy – POLITICO

[2] Kundnani, H., “The EU-UK reset exposes the limits of a “geopolitical Europe”.” The New Statesman, 20 May 2025. The EU-UK reset exposes the limits of a “geopolitical Europe” – New Statesman

[3] Wachowiak, J., Whitman, R. G., & Grogan, J., UK-EU Foreign, Security & Defence Cooperation. UK in a Changing Europe, 27 March 2024.UKICE-Foreign-Security-and-Defence-Report.pdf

[4] Ibid.

[5] Montinari, V., “A New Chapter in EU-UK Relations? Insights from the 2025 EU-UK Summit.” Finabel, 2 June 2025. A New Chapter in EU-UK Relations? Insights from the 2025 EU-UK Summit – Finabel

[6] O’Sullivan, O., “The UK–EU summit will bring some progress on defence cooperation. But more could be done on aid and trade.” The Chantam House, 14 May 2025. The UK–EU summit will bring some progress on defence cooperation. But more could be done on aid and trade | Chatham House – International Affairs Think Tank

[7] Whitman, R., “A modest beginning: the new EU-UK Security and Defence Partnership.” UK in a Changing Europe, 19 May 2025. A modest beginning: the new EU-UK Security and Defence Partnership – UK in a changing Europe

[8] Grand, C., “Channelling security: A new era for EU-UK defence cooperation.” European Council on Foreign Relations (ECFR), 19 May 2025.Channelling security: A new era for EU-UK defence cooperation | ECFR

[9] Francis, S., “The new UK-EU deal at a glance.” BBC, 19 May 2025. The new UK-EU deal at a glance and European Council, “EU-UK summit, 19 May 2025: main results” press release, 19 May 2025.  EU-UK summit – Consilium

[10] Ibid.

[11] Ibib

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