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Dazi Trump

Il ritorno dei dazi e l’effetto Trump

In queste settimane, gli Stati Uniti, l’Italia e l’Unione Europea rappresentano i luoghi salienti in cui è in corso una situazione di forte tensione economica che rischia di travolgere anche il Made in Italy.

Il ritorno di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti d’America ha riaperto il dibattito sui dazi e dopo aver deliberato la moratoria di 90 giorni che sarebbe dovuta scadere l’8 luglio, il presidente statunitense ha dichiarato che è “improbabile che venga prorogata di nuovo. […]Le cose stanno funzionando molto bene. La gente comincia a capire quanto siano utili i dazi per noi. Sapete, le tariffe sono state usate contro di noi per 50 anni. Non ho mai capito perché abbiamo permesso che ciò accadesse”. [1] Il 23 maggio scorso, Trump ha inoltre minacciato di imporre a partire dal 1° giugno delle tariffe del 50% sui prodotti europei, affermando che i colloqui in corso con l’UE non stessero producendo risultati concreti e, pertanto, il 25 maggio passato, in seguito a un colloquio telefonico tra Trump e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, è stata accettata un’ulteriore proroga dell’attuale situazione fino al 9 luglio, con lo scopo di trovare un accordo sui dazi, considerando che la presidente della Commissione ha affermato che l’UE e gli USAcondividono la relazione commerciale più importante e riservata al mondo. L’Europa è pronta a portare avanti i negoziati in modo rapido e deciso”.[2]

Dietro l’imposizione di queste tariffe piuttosto ferree vi è un piano ben preciso, ovvero non si tratta solo di una questione commerciale per proteggere la produzione interna statunitense dalla concorrenza esterna, ma si tratta di una pressione diplomatica basata su una visione strategica volta a rimodellare gli equilibri geopolitici, accusando i partners commerciali di pratiche scorrette e mirando a stabilizzare il deficit commerciale statunitense incrementando l’acquisto di prodotti interni.

Made in Italy nel mirino: settori e numeri a rischio

Nonostante l’ulteriore tregua, le tariffe più pesanti rimangono su alcuni comparti chiave per le esportazioni europee come le automobili, l’acciaio e l’alluminio e oltre a questi settori, si cela un possibile danno collaterale per l’Italia, ovvero quello riguardante il settore agroalimentare e manifatturiero, dato che tra i principali destinatari di queste misure vi è sicuramente il Made in Italy, un marchio notevolmente riconosciuto a livello globale che rappresenta un modus vivendi completamente italiano e che è sinonimo di tradizione, qualità ed eleganza. L’Italia si basa molto sull’interscambio commerciale con gli Stati Uniti, tanto che nel 2024 i prodotti Made in Italy esportati verso il territorio americano hanno generato più di 64 miliardi di euro di ricavi e, pertanto, con l’introduzione dei dazi, l’economia italiana principalmente basata su piccole e medie imprese volte all’export, rischia di trovarsi in difficoltà.[3]

Figura 1. I dati mostrano dove esporta di più l’Italia e come cambiano nel corso del tempo i mercati principali.

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Difatti, un aspetto spesso trascurato è che l’economia italiana è composta in larga parte da piccole e medie imprese, anche a conduzione familiare e questa struttura, pur rappresentando una grande ricchezza in termini di qualità artigianale, rende il settore produttivo più vulnerabile alle scosse commerciali. Mentre le grandi imprese riescono a orientare nuovamente la produzione o a trovare nuovi mercati di sbocco, le piccole e medie imprese italiane difficilmente possono sostenere dazi al 50% senza avere delle serie ripercussioni a livello di produzione, occupazione e investimenti.  

Secondo le ultime stime, se le nuove tariffe dovessero entrare in vigore, il settore agroalimentare italiano rischierebbe perdite superiori ai 2 miliardi di euro l’anno e il rincaro dei prezzi renderebbe meno competitivi prodotti tipici italiani come l’olio d’oliva, il vino e tanti altri anche nel settore della moda. Diversi imprenditori hanno manifestato la loro preoccupazione e la speranza di evitare tensioni che possano compromettere la stabilità delle filiere produttive, tutelando gli equilibri del commercio globale e proteggendo il lavoro di migliaia di imprese che contribuiscono alla reputazione del Made in Italy. A tal proposito, anche Lamberto Frescobaldi, presidente dell’Unione Italiana Vini (UIV) ha affermato che “Chiaramente, una minaccia di accisa al 50% – che più che un dazio sarebbe un embargo – sortisce l’immediato effetto di rinunciare, giocoforza, all’investimento. E con esso ai piani di sviluppo di un settore che vive sempre più di esportazioni. Chiediamo pertanto a Bruxelles e a Roma di intensificare le trattative, perché il fattore tempo rappresenta ormai sempre più una discriminante fondamentale”.[5]

Anche l’economista e professore presso l’Università di Harvard negli USA, Dani Rodrik, ha affermato in un’intervista molto recente che «Il rischio più immediato di questa ondata di protezionismo innescato dal presidente Trump è il caos. Non si può nemmeno parlare di una vera politica commerciale: è una macchina che genera incertezza[6] e in un’epoca sempre più instabile e frammentata, il Made in Italy si trova di fronte a due problemi, ovvero salvaguardare l’identità produttiva nazionale e cercare di rimanere competitivo nei mercati globali. Secondo Rodrik, l’Europa non dovrebbe limitarsi a una risposta difensiva e a sperare nel ripristino di un ordine globale che ormai non esiste più, ma dovrebbe considerare questa situazione come un’opportunità per rafforzare il proprio sistema economico e per favorire la coesione tra Stati membri, investendo in innovazione e sostenibilità.[7] Lo stesso ex Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, Mario Draghi, ha affermato che l’Unione Europea deve continuare a cercare un’intesa con Washington, ma allo stesso tempo deve esplorare nuove opportunità sui mercati internazionali, dato che “è azzardato credere che i nostri scambi commerciali con gli USA torneranno alla normalità dopo una rottura così grave delle relazioni”.

L’Unione Europea tra unità e frammentazione

Il clima si è ulteriormente irrigidito dopo l’incontro promosso da Giorgia Meloni il 18 maggio scorso a Roma, con la presenza della presidente della Commissione Europea von der Leyen e del vicepresidente statunitense Vance, visto che la realtà sembra essere quella di un dialogo sbilanciato nonostante le dichiarazioni ottimistiche iniziali. Washington chiede molte concessioni che vanno dall’aumento delle importazioni energetiche fino all’agroalimentare e alle questioni legate al digitale e all’antitrust.

Questo nuovo scenario richiede ovviamente la considerazione di nuove strategie commerciali, sia a livello europeo che italiano e in teoria, riguardo quest’ultimo punto, l’Unione Europea dovrebbe rappresentare una sorta di scudo protettivo nei confronti del Made in Italy.

La strategia americana sembrerebbe quella di trattare bilateralmente con i principali partners commerciali, sfruttando le divisioni interne all’Europa, ma per l’Italia questo scenario apre un interrogativo determinante: può continuare a fare affidamento sullo scudo protettivo europeo o deve incominciare a muoversi autonomamente per difendere la propria produttività economica e il proprio patrimonio culturale? È ovvio che chiedere delle esenzioni dai dazi solo per il Made in Italy rischierebbe di rompere l’unità che vi è all’interno dell’Unione Europea, isolando l’Italia dagli altri Stati membri e, pertanto, non è una strada percorribile. D’altro canto, l’Italia, ma d’altronde anche il resto dell’Unione Europea, potrebbe approfittare di questo contesto pieno di incertezze per incrementare gli accordi con altri Stati, come i trattati UE – Mercosur, UEMessico, UeSingapore che potrebbero rappresentare un’alternativa valida per diversificare i mercati di esportazione. In questa prospettiva si inserisce l’attività diplomatica del ministro degli Esteri Antonio Tajani, recentemente impegnato in una missione a Città del Messico con l’obiettivo di rafforzare i legami economici e aprire canali commerciali privilegiati, considerando che l’economia italiana genera circa il 40% del proprio PIL grazie alle vendite all’estero.[8]      Siamo di fronte a un nuovo capitolo del commercio internazionale contraddistinto da una sempre maggiore agitazione tra le potenze economiche. Dunque, cosa ci possiamo aspettare? È difficile stabilirlo con chiarezza, ma possiamo immaginare due possibili scenari: o l’Europa sarà in grado di ricorrere a un accordo complessivo, al fine di garantire la tutela dei propri settori di eccellenza come il Made in Italy, oppure ogni Stato membro potrebbe ricorrere ad altre soluzioni singolarmente. In sostanza, il futuro del Made in Italy dipende dalla capacità sia dell’Italia che dell’Unione Europea di affrontare le sfide economiche in modo pragmatico, tenendo in considerazione le nuove evoluzioni del commercio globale e, come affermato precedentemente, se il rischio di un isolamento dovuto ai dazi statunitensi è reale, le soluzioni potrebbero essere quelle di diversificare le alleanze commerciali e di incrementare le relazioni con i Paesi emergenti. In questo modo l’Italia potrà tutelare la propria produzione, difendendo il Made in Italy in un mondo che sta diventando sempre più polarizzato.


[1] Ferraino G., “Dazi, così la trattativa su 18 fronti diversi”, Corriere della Sera, 27 aprile 2025, p. 37.

[2] Presidente Commissione Europea, Von der Leyen U., Twitter, 25 maggio.

[3] Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Osservatorio Economico, “Statistiche relative all’import/export di merci dell’Italia”, aprile 2025 Interscambio commerciale italiano con il resto del mondo infoMercatiEsteri – www.infomercatiesteri.it – infoMercatiEsteri – www.infomercatiesteri.it.

[4] Ibidem.

[5] Frescobaldi L., Wine News, 26 maggio 2025, https://winenews.it/it/dazi-usa-ue-trump-rimanda-fino-al-9-luglio-le-tariffe-al-50-ma-il-vino-e-in-allarme_558791/.

[6] Ferraino G., “Le tariffe? Danneggiano prima di tutto gli Usa Basta scontri con Powell”, Corriere della Sera, 24 aprile 2025, pp. 26-27.

[7] Ibidem.

[8] Sarcina G., L’Ue si cambi passo, Corriere della Sera, 26 maggio 2025, pag. 6.

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