The Partition: una divisione forzata

L’India ed il Pakistan sono nati nel 1947 in seguito alla divisione del Raj britannico, un processo di decolonizzazione frettoloso e privo di garanzie strutturali. La “Partition” non fu esclusivamente territoriale, ma si legò fin da subito ad una dimensione identitaria: l’India si presentava come Stato secolare a forte maggioranza induista ed il Pakistan come Stato islamico. Le conseguenze della separazione furono fin da subito significative: circa 15 milioni di sfollati ed un numero imprecisato di morti, stimato intorno al milione.

La divisione ha origini più antiche: durante il colonialismo britannico per mantenere saldo il controllo sull’India si ipotizza che gli inglesi abbiano acuito le divisioni esistenti adottando una strategia di “divide et impera”; un esempio di questo fu la divisione del Bengala del 1905 che fu percepita come un tentativo deliberato di separare due comunità su base religiosa. [1] Prese piede la storica “Two-Nation Theory”, la quale sosteneva che musulmani ed indù dovessero appartenere a due nazioni separate, ciascuna con propria fede, cultura e tradizioni, e quindi incapaci di coesistere pacificamente in un unico Stato. Questa teoria fu promossa e sostenuta principalmente dalla All-India Muslim League e dal suo leader Muhammad Ali Jinnah, che divenne il principale fautore della creazione di uno Stato separato per i musulmani: il Pakistan.[2]

Il nodo del Kashmir

La complessità geopolitica della questione si riflette oggi sul Kashmir; la regione, composta da una maggioranza musulmana, è l’emblema della frattura mai sanata tra India e Pakistan. Al momento della “Partition” si trovava sotto il governo di un maharaja induista il quale optò per l’adesione del territorio all’India nel bel mezzo dei disordini del 1947; questo pose le basi per la prima guerra indo-pakistana.

Ad oggi il controllo del Kashmir è diviso tra India, Pakistan e Cina. Rispettivamente, la prima governa nell’area meridionale (Jammu, Kashmir e Ladakh), il secondo nell’area dell’Azad Kashmir e del Gilgit-Baltistan e la terza nel territorio corrispondente all’Aksai Chin.

La questione del Kashmir non è soltanto una disputa territoriale, ma rappresenta a pieno il macro problema derivante dalla “Partition”: un condensato esplosivo di memoria storica, appartenenza religiosa, controllo strategico delle risorse idriche e rivalità ideologica. Dimostra come la “Two-Nation theory”, anche nota come logica dei “due popoli, due Stati, due religioni”, non abbia risolto un conflitto identitario profondo ma lo abbia piuttosto concentrato in un’unica area geografica, trasformando la regione in una vera e propria trincea permanente tra due Paesi nucleari.

Due Popoli, due Stati, due Religioni

A seguito della riaccensione di un altro conflitto identitario annoso, la guerra israelo-palestinese, la teoria dei “due Popoli, due Stati, due Religioni” è oggi al centro del dibattito globale. L’idea nasce dalla necessità di garantire alla Palestina un riconoscimento legittimo e pieno da parte di tutta la comunità internazionale, garantendo una coesistenza ed un riconoscimento reciproco tra i due Stati. Tuttavia, l’esperienza del subcontinente indiano dimostra come, senza un processo reale di riconciliazione e giustizia, una simile divisione identitaria non può che rivelarsi fallimentare e persino distruttiva.

Infatti, nel caso di India e Pakistan, la divisione non ha pacificato, al contrario ha radicalizzato e posto le basi per un perenne conflitto. I confini tracciati per separare e pacificare sono diventati divisioni armate, dove a fare da protagonisti sono violenze, militarizzazione e terrorismo. Il Kashmir, in questo senso, rappresenta una terribile analogia con la Cisgiordania e con Gaza: territori contesi, militarizzati ed al centro di una guerra sanguinosa.

Il paradosso storico vede quindi il modello auspicato in Medio Oriente per garantire una pace solida e duratura applicato in Asia meridionale con conseguenze drammatiche. La lezione che ne emerge è evidente: una separazione religiosa e culturale senza un reale impegno politico e strutturale alla convivenza, al rispetto ed alla gestione condivisa delle risorse si trasforma in un moltiplicatore di conflittualità.

La differenza tra le due situazioni risiede tuttavia nel possedimento dell’armamentario nucleare da parte di India e Pakistan, che rende un’eventuale escalation potenzialmente pericolosa per il mondo intero. 

Il cammino verso una nuova guerra?

Dalla “Partition” ci sono state quattro guerre che hanno segnato il conflitto tra i due Stati: 1947-48, 1965, 1971, 1999. A queste si aggiungono le “guerre a bassa intensità” ed il terrorismo. Gruppi come Lashkar-e-Taiba[3] e Jaish-e-Mohammad[4], responsabili di attacchi come Mumbai (2008) e Pulwama (2019), opererebbero secondo indiscrezioni con l’implicita, o esplicita, tolleranza degli apparati pakistani.[5]

Il 22 aprile 2025, un attacco terroristico ha colpito la zona turistica della cittadina indiana di Pahalgam, situata nel distretto di Anantnag (Jammu e Kashmir), causando 26 morti e 17 feriti. L’attentato, il più sanguinoso nella regione degli ultimi 25 anni, è stato rivendicato dal gruppo chiamato “The Resistance Front”, una cellula affiliata al più potente Lashkar-e-Taiba. Il governo pakistano si è affrettato a negare qualsiasi tipo di coinvolgimento, ma, secondo alcune fonti, le modalità di esecuzione farebbero pensare ad un collegamento con l’esercito.[6]

Questo attacco ha avuto un effetto detonante sul già precario equilibrio delle relazioni indo-pakistane; l’India ha reagito con una serie di misure coordinate su diversi livelli: diplomatico, militare e simbolico. Già nelle ore successive all’attentato, Nuova Delhi ha ordinato l’espulsione di numerosi diplomatici pakistani presenti sul territorio nazionale, contestualmente ha revocato tutti i visti ai cittadini pakistani e ha sospeso i rilasci futuri; ha in seguito chiuso lo storico passaggio frontaliero di Attari-Wagah, l’unico valico stradale operativo tra i due Paesi, in questo modo non solo ha bloccato i movimenti transfrontalieri civili, ma ha anche interrotto il flusso commerciale residuo. Dal punto di vista militare l’India ha dato un segnale forte, dispiegando la portaerei INS Vikrant nel Mar Arabico. [7]

Il Primo Ministro indiano Narendra Modi ha assunto un tono duro e deciso nei confronti della vicenda, venendo seguito dalla stampa nazionale che conseguentemente ne ha amplificato la narrativa della ritorsione.

Il Pakistan ha reagito con fermezza alle azioni di Nuova Delhi: oltre all’espulsione dei diplomatici ed alla chiusura dello spazio aereo ai voli indiani, ha annunciato la sospensione del commercio bilaterale ed ha ordinato l’elevazione del livello di allerta per tutte le unità militari lungo la Linea di Controllo (LoC).

La guerra dell’acqua

L’India non si è limitata alle misure sopra descritte, ma ha anche minacciato la sospensione unilaterale del Trattato delle Acque dell’Indo. L’Indus Waters Treaty è uno dei più longevi e importanti accordi bilaterali nella storia del subcontinente, fu firmato nel 1960 a Karachi e rappresentò un virtuoso esempio di diplomazia. L’accordo suddivise l’utilizzo delle acque del sistema fluviale dell’Indo assegnando al Pakistan circa il 70-80% del controllo del flusso idrico.

Il trattato è un pilastro della sicurezza idrica ed alimentare per Islamabad, esso permette l’irrigazione a circa il 90% delle terre agricole pakistane. Secondo la FAO, l’agricoltura rappresenta circa il 23% del PIL del Pakistan ed impiega il 37,4% della forza lavoro nazionale. [8]

La decisione dell’India sarebbe un gesto senza precedenti che avrebbe potenzialmente conseguenze devastanti per il Pakistan. Il Primo Ministro pakistano Shehbaz Sharif ha infatti affermato: “Ad ogni tentativo di interrompere, ridurre o deviare il flusso d’acqua che spetta al Pakistan ai sensi del trattato sulle acque dell’Indo si risponderebbe con la massima forza”.[9]

Le reazioni internazionali

La possibilità di escalation ha suscitato una vasta gamma di reazioni internazionali; la preoccupazione maggiore risiede ovviamente nel pericolo nucleare, per questo la comunità globale si è prodigata a sollecitare moderazione ed offrire una mediazione diplomatica.

A margine dell’attentato, il Segretario di Stato degli Stati Uniti Marco Rubio ha contattato il Ministro degli Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar ed il Primo Ministro pakistano Shehbaz Sharif, stimolando entrambe le parti a collaborare per un’indagine trasparente, esortando entrambe le nazioni ad evitare ulteriori escalation.[10] Una reazione simile è arrivata dal Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres e da molti Stati, tra cui Australia, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Arabia Saudita e Israele.[11]

La Cina, dal canto suo, appare estremamente preoccupata per la stabilità della regione, in modo particolare visto il suo rapporto di alleanza con il Pakistan concretizzato attraverso il Corridoio Economico Cina-Pakistan (CPEC), pilastro della strategia della Nuova Via della Seta, che ha l’obiettivo di collegare lo Xinjiang cinese con il porto di Gwadar sul Mar Arabico passando per il Gilgit-Baltistan, territorio conteso nel Kashmir.

Le possibili motivazioni di escalation e la deterrenza nucleare

Ci sono due strade che, sul piano politico e geopolitico, potrebbero condurre alla guerra. Da un lato il Pakistan sta vivendo in uno stato di emergenza economica grave, con il debito pubblico che ha superato il 77% del PIL, dunque la pressione sul Governo è massima ed il consenso politico è in continuo calo. Una guerra porterebbe ad un rinvigorimento del supporto politico a favore di una causa unificante contro un nemico comune. Resterebbe il problema finanziario: le guerre costano e trovare le risorse sarebbe molto complesso.

L’India potrebbe cavalcare l’onda dell’escalation per andare a minare ancor di più l’instabilità politica del Pakistan e mettere definitivamente in ginocchio la sua economia. Finora la risposta dura del Governo indiano, oltre ad aver colto la chance di un rafforzamento sul piano politico interno, ha rappresentato anche la volontà di mandare un messaggio alla Cina, che come si è visto è strettamente legata al Pakistan, per una logica di proiezione commerciale e contenimento strategico nei confronti di Islamabad.

Ciò che sicuramente fa mantenere i freni a mano tirati è il possesso di entrambi delle armi nucleari; l’atomica non ha impedito comunque il conflitto di Kargil del 1999 né gli attacchi terroristici, ma rimane la preoccupazione che una guerra limitata possa sfuggire di mano. Mentre Delhi mantiene la dottrina del “no first use”, Islamabad adotta una strategia flessibile, pronta ad una risposta preventiva. La deterrenza, seguendo la teoria di Kenneth Waltz, rimane la speranza a cui aggrapparsi, confidando che prevalga il buon senso e la diplomazia.

La lezione della “Partition”

Mentre continuiamo ad auspicare la soluzione dei “due popoli, due Stati” in Medio Oriente, in Asia meridionale, l’applicazione di un modello simile ha generato un conflitto più profondo e potenzialmente molto pericoloso. La “Partition” voleva essere il rimedio e si è rivelata una bomba ad orologeria. Non è la semplice spartizione di territori e risorse in sé a garantire la pace, ma la volontà politica e culturale di convivenza. La lezione è chiara: separare può dividere, ma non necessariamente pacificare; l’illusione della separazione rischia di trasformarsi in una condanna collettiva.


[1] Siddiqui K.; British Imperialism, Religion, and the Politics of ‘Divide and Rule’ in the Indian Subcontinent; World Financial Review; 2022; https://worldfinancialreview.com/british-imperialism-religion-and-the-politics-of-divide-and-rule-in-the-indian-subcontinent

[2] Perra D.; Radici storiche della teoria delle due nazioni; Eurasia Rivista; 2021; https://www.eurasia-rivista.com/radici-storiche-della-teoria-delle-due-nazioni/

[3] DNI; Lashkar-e-Tayyiba (LT); National Counterterrorism Center; https://www.dni.gov/nctc/groups/lt.html

[4] DNI; Jaish-e-Mohammed (JeM); National Counterterrorism Center; https://www.dni.gov/nctc/groups/jem.html

[5] Kronstadt K.A.; Terrorist and Other Militant Groups in Pakistan; Congress.gov; 2023; https://www.congress.gov/crs-product/IF11934

[6] Danesi M.; Attentato in Kashmir: si riaccende la tensione tra India e Pakistan?; ISPIonline; 2025; https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/attentato-in-kashmir-si-riaccende-la-tensione-tra-india-e-pakistan-206894

[7] Sabadin V.; Guerra dell’acqua tra India e Pakistan, ecco perché (e come) New Delhi vuole assetare Islamabad dopo l’attentato in Kashmir; Il Messaggero; 2025; https://www.ilmessaggero.it/mondo/guerra_acqua_india_pakistan_perche_come_fa_attentato_kashmir-8799566.html

[8] FAO; Pakistan at a Glance; https://www.fao.org/pakistan/our-office/pakistan-at-a-glance/en/

[9]La Stampa; Kashmir, premier pachistano minaccia l’India: “Pronti a rispondere con la massima forza”; 2025; https://www.lastampa.it/esteri/2025/04/26/video/kashmir_premier_pachistano_minaccia_lindia_pronti_a_rispondere_con_la_massima_forza-15120505/

[10] FT; A dangerous stand-off between India and Pakistan; Financial Times; 2025; https://www.ft.com/content/5972a5ce-64dc-4c2a-9fa0-80cb8ad575dc

[11] Reuters; What world leaders said after militant attack in India’s Kashmir; 2025; https://www.reuters.com/world/india/what-world-leaders-said-after-militant-attack-indias-kashmir-2025-04-23/

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