Le origini degli Houthi
Il movimento degli Houthi, negli ultimi anni, ha acquisito sempre più rilevanza nel contesto internazionale a causa dei suoi attacchi terroristici nel Mar Rosso. Ma, seppur sembri che sia una questione limitata all’area specifica, in realtà rappresenta un dilemma ben più ampio. Per comprendere meglio le dinamiche dietro questi attacchi, è necessario fare un passo indietro e approfondire le origini di questo movimento.
Gli Houthi si formano, all’inizio degli anni Novanta, come gruppo di seguaci della dottrina zaydita, che rappresenta una branca minoritaria dell’islam sciita. Il nome “Houthi” deriva proprio dal fondatore, Husayn Badreddin al-Houthi, fratellastro dell’attuale leader Abdel Malek al-Houthi. Negli anni Ottanta, Husayn studiò nell’Iran governato da Khomeini insieme a suo padre Badreddin, considerato come il vero ideologo degli Houthi. Nel 1992, Husayn costituisce la “Gioventù credente” all’interno della roccaforte di Sa’ada, nel nord dello Yemen. L’obiettivo è quello di far rinascere lo zaydismo, che aveva governato lo Yemen settentrionale dall’892 al 1962, in un Paese dove il 60% circa della popolazione è sunnita. Dunque, anche l’indipendenza e l’autonomia delle terre del Nord erano un obiettivo fondamentale.[1]
L’ideologia degli Houthi
L’ideologia degli Houthi si basa principalmente su uno slogan, che racchiude in gran parte il pensiero del movimento: “Dio è grande! Morte agli Stati Uniti! Morte a Israele! Siano maledetti gli ebrei! Vittoria per l’Islam!”. Infatti, come la maggior parte dei Paesi arabi, sono assolutamente contrari a Israele, anche se il vero nemico degli Houthi è l’Arabia Saudita, che considerano uno Stato corrotto e non in grado di governare un luogo sacro come La Mecca. Dunque, il loro pensiero coincide con quello iraniano, contraddistinto da un[1] forte antisionismo, che comprende una narrativa complottista per la quale gli ebrei controllerebbero segretamente le leve del potere globale . Ciononostante, il vero progetto[2] alla base della loro ideologia resta l’espansione a livello regionale.
Le lotte interne e la guerra civile
Il vero nemico degli Houthi è stato il presidente dello Yemen Ali Abdallah Saleh, che ha ricoperto il ruolo dal 1990 al 2012, imponendo un duro regime sul Paese. I cosiddetti “partigiani di Allah” erano invece totalmente contrari alla dittatura di Saleh, poiché basata sull’ideologia sunnita. Gli scontri veri e propri sono cominciati nel giugno del 2004 quando le forze dell’ordine yemenite hanno ucciso diversi membri degli Houthi, dando così il via ad un’escalation di violenze e ostilità che hanno contribuito alla forte radicalizzazione del gruppo. Un avvenimento fondamentale è stato indubbiamente l’assassinio di Husayn al-Houthi, colpito dalle forze governative il 10 settembre del 2004. È in questo momento che suo fratello Abdel ha preso il comando ed ha dato inizio ad una serie di scontri sempre più violenti, mietendo più di 1.500 vittime. Dopo una breve tregua all’inizio del 2007, gli Houthi hanno sferrato tre attacchi coordinati a degli edifici governativi, uccidendo 22 soldati yemeniti. Il governo ha cominciato allora una dura repressione, impiegando 30.000 militari; una scelta che ha causato molti morti, sia tra i le file governative che tra gli Houthi. Dopo altri anni di scontri minori, il risvolto più significativo si è registrato nel novembre del 2009, quando il gruppo sciita ha attaccato il confine con l’Arabia Saudita e conquistato l’area di Jebel al-Dukham. In risposta, il governo saudita ha lanciato diversi attacchi missilistici, uccidendo 40 ribelli. Da qui, sono partite accuse reciproche, con gli Houthi che hanno accusato l’Arabia Saudita di aver collaborato con il governo yemenita, mentre quest’ultimo ha accusato l’Iran di aver aiutato i ribelli.[2]
Dopo un successivo cessate il fuoco, la svolta decisiva è avvenuta durante la Primavera Araba, durante la quale gli Houthi hanno guidato la rivolta popolare, provocando sommosse di piazza contro Saleh, che ha portato alla fine del suo governo nel 2012. Dopodiché, gli Zayditi sono stati costretti a firmare un’alleanza di convenienza con Saleh stesso e le tribù che lo appoggiavano, per contrastare il governo di transizione sostenuto dall’Arabia Saudita. Non accettando questa situazione, nel gennaio del 2015 gli Houthi sono entrati nei palazzi di governo a San’a’, nel Nord del Paese, e hanno preso il potere nell’area. Si viene a creare dunque un bipolarismo in Yemen: da una parte gli Houthi sostenuti dall’Iran e dall’altra il governo riconosciuto a livello internazionale, sostenuto da una Coalizione guidata dall’Arabia Saudita. Questa serie di eventi porta all’inevitabile scoppio della guerra civile, che causa 160mila morti tra i combattenti e 16mila civili, oltre a tre milioni di sfollati interni. La guerra è terminata ufficialmente nel 2022 dopo un cessate il fuoco, ma gli Houthi controllano ancora una gran parte del territorio dello Yemen.[3]
Gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso
La questione che davvero spaventa l’Occidente ed i sostenitori d’Israele nel conflitto in Palestina, in corso ormai da più di tre anni, sono gli interventi degli Houthi nel Mar Rosso, dove questi ultimi effettuano attacchi, precisamente nel punto strategico dello stretto di Bab el-Mandeb, contro le navi legate a Israele, agli Stati Uniti e al Regno Unito. Questa escalation può essere suddivisa in tre fasi: la prima fase è caratterizzata da attacchi missilistici ed uso di droni contro Israele, in particolare sulla città di Eilat, che hanno avuto però poco effetto grazie alla contraerea israeliana e al supporto delle navi americane; la seconda fase ha visto azioni di pirateria contro le navi commerciali legate allo stato ebraico, tra cui il sequestro del cargo Galaxy Leader il 19 novembre 2023, tuttora sotto controllo degli Houthi; infine, la terza fase è quella attuale, che prevede attacchi di droni e missili, inclusi missili anti-nave, contro navi commerciali di qualunque nazionalità che transitano nel Mar Rosso. Questa strategia sta danneggiando pesantemente l’economia israeliana e colpendo anche il Mediterraneo e l’Europa in generale, a causa del necessario allungamento della navigazione. Infatti, le navi cargo sono ora costrette a circumnavigare l’Africa per evitare di essere affondate. In questo modo, gli Houthi hanno rinforzato il loro status nella regione, mantenendo allo stesso tempo la propria indipendenza dall’Iran, nonostante esso gli fornisca armi e addestramento per le truppe.[4]
La reazione dell’Occidente
Com’era prevedibile, questi attacchi hanno provocato una serie di esplicite condanne da parte della comunità internazionale, particolarmente da parte di Stati Uniti e Unione Europea, mentre Cina e Russia si sono astenute dall’intervenire su qualunque risoluzione, anche a livello ONU. Per rispondere agli attacchi, nel dicembre 2023 gli Stati Uniti hanno deciso di costituire un’operazione navale multinazionale, Prosperity Guardian, che ha visto la partecipazione di: Regno Unito, Bahrain, Canada, Francia, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Seychelles e Spagna, con l’aggiunta poi di Grecia, Danimarca, Sri Lanka, Australia e Singapore. Successivamente, Francia, Italia e Spagna si sono tirate indietro. Lo scopo della missione era quello di pattugliare il tratto fra Mar Rosso e Golfo di Aden per poter soccorrere eventuali navi in difficoltà e aveva solo uno scopo difensivo. Tuttavia, questa missione non ha avuto successo, ma, al contrario, i miliziani yemeniti hanno incrementato gli attacchi e si è dunque arrivati ad uno scontro diretto con gli Stati Uniti il 1° gennaio 2024 quando, dopo un attacco dei ribelli a degli elicotteri statunitensi, gli USA hanno risposto affondando tre piccole imbarcazioni e uccidendo tre miliziani del gruppo. A questo attacco, hanno fatto seguito due raid anglo-americani dell’11 e 12 gennaio, che hanno colpito una trentina di obiettivi militari Houthi nel nord ovest dello Yemen.[5]
Un conflitto senza fine?
Nonostante il cambio di amministrazione negli Stati Uniti e l’arrivo di Donald Trump, sembra comunque che questi attacchi non stiano cessando. Infatti, la Casa Bianca ha speso circa un miliardo di dollari da quando ha lanciato una controffensiva militare il 15 marzo, con l’impiego di: missili da crociera a lungo raggio Jassm, bombe plananti Jsow e missili Tomahawk, insieme a bombardieri B-2 e squadroni di caccia. Funzionari del Pentagono affermano che, nonostante gli attacchi abbiano eliminato membri della leadership degli Houthi, i ribelli hanno rafforzato i propri bunker e nascosto sottoterra le scorte di armi, rendendo praticamente vani i tentativi di indebolirli. Quindi, resta da chiedersi: questi attacchi cesseranno grazie all’intervento dell’Occidente oppure termineranno solo con la fine del conflitto israelo-palestinese?[6]
[1] Giudici, Cristina, “Chi sono e cosa vogliono gli Houthi?”, Gariwo Mag., Feb. 2024, https://it.gariwo.net/magazine/fondamentalismo-e-terrorismo/chi-sono-e-cosa-vogliono-gli-houthi-26871.html
[2] Bano, Madiya, “Clash Of Ideologies, Civil War and The Rise Of Houthis In Yemen: The Implications Of Regional and Internation”, NEU Journal of Social Sciences, Apr. 2024
[3] Giudici, Cristina, Ibidem
[4] Ardemagni, Eleonora, “Yemen: gli houthi agitano le acque del Mar Rosso”, ISPI, Gen. 2024 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/yemen-gli-houthi-agitano-le-acque-del-mar-rosso-162192
[5] Ibid.
[6] Vitale, Angelo, “Attacchi Usa agli Houthi: un miliardo e nessun risultato”, L’identità, Apr. 2025 https://www.lidentita.it/attacchi-usa-agli-houthi-un-miliardo-e-nessun-risultato/

Laureato in Relazioni Internazionali col massimo dei voti con una tesi sulla Guerra Ibrida e la rilevanza del fattore cyber, è appassionato di tutto ciò che riguarda la geopolitica, la sicurezza, la difesa e la cybersecurity, con particolare attenzione alle dinamiche riguardanti gli Stati Uniti e la loro politica estera. Ha inoltre collaborato con il MAECI e l’Ambasciata Italiana di Lima, dove si è occupato della redazione di documenti basati su report e dati di attualità.